SALUTE

Dieta e predisposizione genetica all’obesità

Modelli dietetici sani potrebbero attenuare l'associazione genetica con l'aumento di peso. Un effetto particolarmente pronunciato nelle persone ad alto rischio genetico per l'obesità. Tuttavia – chiosano gli autori – siamo solo all'inizio.

Le bioattività benefiche delle abitudini alimentari sane, come il bilanciamento dell’apporto energetico, la regolazione del metabolismo e la riduzione del rischio cardiometabolico possono in parte spiegare il loro effetto modificante sulla predisposizione genetica all’aumento di peso. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – I giorni scorsi il British Medical Journal ha pubblicato i risultati di un lungo studio prospettico durato oltre vent’anni, che ha evidenziato la relazione fra una maggiore aderenza a modelli nutrizionali sani e i cambiamenti a livello di predisposizione genetica all’obesità. Attenersi a una dieta sana nel corso della vita può non solo aiutarci a mantenerci in salute ma addirittura ridurre il rischio inteso come predisposizione genetica, ad avere un indice di massa corporea alto.

Lo studio ha coinvolto due coorti di persone: 8828 donne presenti nel Nurses’ Health Study (noto studio prospettico americano iniziato nel 1976 sui principali fattori di rischio per le principali malattie croniche fra la popolazione femminile) e 5218 uomini partecipanti all’Health Professionals Follow-up Study, iniziato nel 1986 per testare una serie di ipotesi sulla salute dell’uomo riguardo alla relazione fra nutrizione e malattie croniche.

L’obesità è una malattia multifattoriale che ha una predisposizione genetica ma che necessita di condizioni ambientali, abitudini, per manifestarsi. Negli Stati Uniti per esempio negli ultimi decenni abbiamo assistito a importanti cambiamenti nelle abitudini alimentari, da un modello tradizionale ad alto contenuto di carboidrati e fibre verso regimi alimentari ad alto contenuto di zuccheri, grassi e prodotti animali, che hanno svolto un ruolo chiave nell’innescare l’ondata di obesità attualmente in atto. Diversi studi hanno dimostrato che alcuni fattori come il consumo di troppi zuccheri, cibi fritti e abuso di caffè possono modificare la suscettibilità genetica a sviluppare un indice di massa corporea elevato, aprendo la strada allo studio delle interazioni tra predisposizione genetica e schemi dietetici.

La novità di questo studio è stata valutare le interazioni tra i cambiamenti di aderenza a tre modelli dietetici in individui sani nel corso del tempo e la predisposizione genetica all’obesità a lungo termine, considerando 77 varianti genetiche associate all’indice di massa corporea.

Il primo di questi punteggi è l’Alternate Healthy Eating Index 2010 (AHEI-2010), che è stato costantemente associato a un rischio inferiore di malattia cronica nelle indagini cliniche ed epidemiologiche. Il punteggio AHEI-2010 si basa su 11 alimenti e principi nutritivi predittivi del rischio di malattia cronica, per la maggior parte verdure (escluse le patate), frutta, cereali integrali, noci e legumi, a cui si affianca un’assunzione moderata di alcol, poche bevande zuccherate, poche carni rosse e lavorate e poco sodio. A ogni componente è stato dato un punteggio da 0 a 10 in modo da ottenere un punteggio totale che va da 0 (non-aderenza) a 110 punti (massima aderenza).

Il secondo è il Dietary Approach to Stop Hypertension (DASH), volto a ridurre la pressione sanguigna. Ogni persona è stata valutata con un punteggio da 1 a 5 in base ai quinti di assunzione. 5 rappresentava il miglior punteggio dovuto a una maggiore assunzione di verdure, frutta, noci e legumi, cereali integrali e latticini a basso contenuto di grassi e a un minore consumo di zucchero bevande zuccherate, carni rosse e lavorate e sodio.
Il terzo modello considerato in questo studio è l’Alternate Mediterranean Diet (AMED) che prende come modello la dieta mediterranea. Questo modello includeva nove componenti e assegnava 1 punto per un’assunzione pari o superiore alla mediana specifica della coorte per verdura, frutta, cereali integrali, noci, legumi, pesce e rapporto tra grassi monoinsaturi e saturi, e 1 punto per un’assunzione al di sotto della mediana di carne rossa e lavorata e alcol. Il punteggio totale variava da 0 a 9 punti.

Come ci si aspettava, la correlazione fra dieta e predisposizione genetica c’è eccome. Il miglioramento della qualità della dieta nel tempo è stato associato a una diminuzione dell’indice di massa corporea e del peso corporeo, e tale effetto favorevole era più evidente nelle persone ad alto rischio genetico per l’obesità rispetto a quelle con basso rischio genetico. Queste conclusioni sono in linea con i risultati di una precedente meta-analisi (che ha incluso 6951 partecipanti da 10 studi) che dimostra che le persone portatrici dell’allele omozigote del gene FTO che predispone all’obesità possono perdere più peso rispetto ai non portatori attraverso interventi di dieta e stile di vita.

Al momento i meccanismi precisi alla base delle interazioni osservate rimangono ancora poco chiari. Le bioattività benefiche delle abitudini alimentari sane, come il bilanciamento dell’apporto energetico, la regolazione del metabolismo e la riduzione del rischio cardiometabolico possono in parte spiegare il loro effetto modificante sulla predisposizione genetica all’aumento di peso. Inoltre, è stato dimostrato che diversi geni associati all’indice di massa corporea sono coinvolti nella regolazione dell’appetito centrale e nell’omeostasi energetica, che può anche essere responsabile delle interazioni osservate.

Tuttavia – chiosano gli autori – siamo solo all’inizio.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.