California, lo scarso controllo sulle piantagioni di cannabis mette in pericolo la fauna selvatica
Sempre più foreste da legname vengono sostituite da piantagioni di cannabis illegali. C'è poco controllo su molti aspetti compreso l'utilizzo dei veleni per topi, che minacciano gli animali lungo la rete trofica
ANIMALI – Quando si parla di marijuana la discussione ruota in genere intorno alla salute umana: il consumo è pericoloso per noi? Può compromettere le funzioni del cervello a lungo termine? Qual è il rischio di dipendenza e quanta se ne può consumare in sicurezza? Ma ora che in California è stata approvata la California Proposition 64 – che rende il consumo, il possesso (fino a circa 30 grammi) e la coltivazione (fino a sei piante) legali per chi ha più di 21 anni, sia in casa che nei locali autorizzati – emerge qualcuno che di sicuro avrebbe votato contro. Sono varie specie di gufi che, secondo un nuovo studio su Avian Conservation and Ecology, sono minacciate dalle fiorenti quanto in gran parte illegali piantagioni della California Nord-occidentale, in contee come Humboldt, Mendocino e Del Norte.
Non è la pianta in sé a creare problemi agli uccelli bensì le grandi quantità di veleno per topi con il quale entrano in contatto attraverso la catena alimentare, mangiando i roditori che si aggirano nei campi. I ratticidi impiegati – spesso in abbinamento a cibi gustosi e attrattivi come il burro di arachidi – hanno effetti di disturbo sulla coagulazione: impediscono il riciclo della vitamina K creando coaguli e interferendo con la produzione dei fattori anticoagulanti nel sangue. Così gli animali che li ingeriscono muoiono a causa di emorragie interne oppure, se la dose è troppo bassa per ucciderli, risentono di importanti problemi di salute come anemia, affaticamento e cambiamenti comportamentali. Su 84 allocchi barrati (Strix varia) monitorati dagli scienziati, 34 mostravano segni di contaminazione: il 40%.
Questa specie compete per territorio e risorse con l’allocco macchiato, in particolare con la sottospecie Strix occidentalis caurina che è considerata a rischio di estinzione e protetta dagli Endangered Species acts e dalle leggi federali. Aver trovato una contaminazione così importante, dicono i ricercatori, fa sì che possiamo pensare di considerarla un “surrogato” di S. o. caurina e immaginare che anch’essa stia subendo lo stesso tipo di contaminazione.
Il termine marijuana è il nome colloquiale con il quale è nota la pianta Cannabis sativa, le cui parti contengono una delle sostanze psicoattive più utilizzate da ormai migliaia di anni – si stima intorno ai 12 000, prima in Asia, poi in Europa e nelle Americhe – ovvero il THC, tetraidrocannabinolo. Con la California Proposition 215 del 1996 era già stato legalizzato l’utilizzo a scopi terapeutici, ma oggi i conservazionisti sono particolarmente preoccupati da un trend recente, destinato probabilmente ad aumentare: sempre più foreste da legname private vengono convertite in siti per la coltivazione illegale, aree che spesso “si sovrappongono con habitat critici per l’allocco macchiato, che si nutre lungo i confini”, chiariscono gli autori dello studio in un comunicato.
Come spiega Mourad Gabriel, leader dello studio, ricercatore alla UC Davis School of Veterinary Medicine e direttore dell’Integral Ecology Research Center, è proprio il fatto di cacciare lungo i margini delle foreste a mettere questi uccelli particolarmente a rischio, perché gran parte delle piantagioni illegali sono circondate e nascoste da tratti di foresta molto fitta. Habitat di foresta che quindi non solo sono frammentati, ma interrotti da zone ricche di esche potenzialmente letali.
Non è la prima volta che il team di ricerca di Gabriel si dedica a questo tipo di indagine. In una serie di studi (2012, 2013 e 2015) insieme ai colleghi aveva mostrato una connessione tra il veleno per topi usato nelle coltivazioni illegali di marijuana e la morte delle martore di Pennant, mammiferi carnivori lunghi una sessantina di centimetri e diffusi nelle foreste dell’America settentrionale e del Canada. Nella contea di Humboldt si stima ci siano tra le 4 500 e le 15 000 piantagioni private, fanno notare i ricercatori, ma solo una piccola parte è dotata dei permessi necessari e riconosciuta. Si tratta di migliaia di colture senza licenze e senza appropriati controlli, e ora che gli effetti del Proposition 64 entreranno a regime c’è da aspettarsi che la situazione si inasprisca ulteriormente. La California si è unita a una schiera in crescita di Stati dove il consumo ricreativo è già legale, tra i quali ci sono Colorado, Washington, Oregon e Alaska.
“Se nessuno indaga sui livelli di sostanze chimiche utilizzati là fuori dai coltivatori privati, gli ambienti di foresta frammentati creati da questi siti diventeranno fonti di esposizione per i gufi e altri animali selvatici”, commenta Gabriel. In passato gli scienziati hanno sollevato preoccupazioni anche per altri animali come coyote, orsi, linci rosse e puma.
La zona studiata corrisponde grossomodo al famoso Emerald Triangle (letteralmente “triangolo di smeraldo”), un’area della California settentrionale chiamata così perché è la più grande regione per la produzione di marijuana in tutti gli Stati Uniti. Le condizioni climatiche sembrerebbero perfette per questo tipo di pianta ma l’esplosione dell’interesse e della domanda, che dà lavoro a moltissimi abitanti del luogo, ha anche causato non poche preoccupazioni dal punto di vista ambientale.
Le sostanze chimiche non finiscono solo nel corpo degli animali ma dilavate nei corsi d’acqua dove possono scatenare fioriture algali nocive, con la crescita incontrollata delle alghe e il progressivo calo dell’ossigeno per via dei numerosi nutrienti. In aggiunta alle conseguenze della deviazione dei corsi d’acqua, è evidente che per il paesaggio agricolo californiano l’impatto è stato e continua a essere notevole.
Secondo alcuni esperti, infatti, l’elevata richiesta di acqua delle piante non è il problema principale in uno Stato come la California, dove si crescono anche le mandorle che per richiesta d’acqua sono da tempo sotto i riflettori (tra il 2007 e il 2014 la copertura di terreno destinata alla coltivazione di mandorle è aumentata del 14%, ma la domanda d’acqua per irrigarle è stata di quasi il doppio). Per la marijuana, invece, il fulcro della questione è dove e quando viene coltivata. Come ha spiegato in un’intervista a Scientific American Van Butsic della University of California, Berkeley, un sito ogni 20 si trova a un centinaio di metri da habitat che ospitano pesci e uno su cinque su terreni in forte pendenza. Gran parte dell’irrigazione si svolge in prossimità di sorgenti e soprattutto nei mesi estivi, ha detto Butsic, che nel 2016 ha pubblicato uno studio al riguardo insieme al collega Jacob Brenner.
La progressiva legalizzazione della marijuana ricreativa migliorerà l’impatto ambientale delle colture, controllando le buone pratiche e regolando con severità l’utilizzo di sostanze chimiche, o finirà invece per peggiorarlo a causa dell’incremento di attività illegali? Sembra si cominci a delineare una risposta, e non fa ben sperare.
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