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Uomini e animali: storia di differenze o somiglianze?

Nel corso della storia l’essere umano ha sempre cercato di elevarsi e differenziarsi rispetto alle altre creature, ma quali sono davvero i nostri elementi distintivi? Il libro “Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie” sarà in grado di stupirci e di farci rivalutare l'intelligenza nelle altre specie

Da sempre gli esseri umani hanno posizionato se stessi all’apice del processo evolutivo, vedendosi i depositari di un’intelligenza – a loro dire – unica e superiore. Secondo Aristotele le differenze con gli animali erano molteplici: l’uomo era caratterizzato dalla posizione eretta, dal linguaggio, dalla capacità di deliberare, essere felice, ridere… Dall’idea di essere stati creati a immagine e somiglianza di una divinità siamo passati a quella di essere i soli ad avere una coscienza, fino ad arrogarci il diritto di scegliere ancora oggi se gli altri esseri debbano vivere o morire.

Con il supporto di calcoli e studi, quasi come in una gara, si è quantificato quale animale avesse il cervello di volume maggiore, o il numero più grande di neuroni, o riuscisse a imitare il più possibile quello che è il nostro concetto di intelligenza. Il tutto per disporre ogni vivente su una scala, per scoprire chi riesce ad avvicinarsi di più alla nostra perfezione. Leggendo “Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie” (Mondadori Education, 182 pagine, 16 €) si comprende come questo nostro continuo tentativo di differenziarci da chi è provvisto di squame, zanne o piume sia in realtà piuttosto ingenuo.

Tra le pagine del volume, scritto a quattro mani da Cinzia Chiandetti, ricercatrice nell’ambito della cognizione animale e docente all’Università di Trieste, ed Eleonora Degano, giornalista scientifica con una formazione da biologa, si scoprono talenti insospettati. Come per i tassi del miele, novelli Houdini, in grado di elaborare complessi piani di fuga che tengono conto della comprensione dei diversi stati della materia: impastano fango che, seccandosi, diventa una solida base per la scalata verso la libertà. O per le ghiandaie poco oneste, che hanno la chiara rappresentazione mentale delle proprie colleghe potenzialmente ladre e per questo spostano più volte le loro riserve di cibo. Per gli scimpanzé, in grado di individuare anche in foto i parenti dei membri della propria specie che conoscono. Per i polpi, invertebrati estremamente curiosi che, per esplorare oggetti ed esercitare i muscoli, giocano, o per elefanti e cacatua che sono in grado di ballare. O per la memoria episodica delle seppie, in grado di ricordare cosa hanno mangiato, dove e quando.

In quanto a memoria gli uccelli sono davvero in grado di stupirci: la nocciolaia di Clark (un corvide che vive in Nord America), per esempio, nasconde fino a 33mila semi ogni anno e riesce a recuperarli, con un’accuratezza del 90%, a distanza di mesi, anche in luoghi a 25 chilometri dal proprio nido. Cosa che noi faticheremmo probabilmente a fare armati di agenda e navigatore satellitare. L’abilità sviluppata da questo volatile ha qualcosa in comune con la capacità di muoversi nel traffico acquisita dai tassisti di Londra e si traduce, a livello anatomico, con un aumento di volume dell’ippocampo.

Il libro nasce come testo universitario, ma la scrittura scorrevole e l’interesse dei temi trattati sono in grado di catturare un pubblico estremamente più ampio. Si tratta di una lettura piacevole, perfetta per gli appassionati di animali, che riesce ad affrontare anche temi complessi grazie a un bilanciato alternarsi di aneddoti ed esperimenti scientifici. Anche le ricerche più curiose e apparentemente bizzarre servono a ricostruire un altro tassello in grado di farci comprendere meglio abilità e disabilità umane, partendo dalla manifestazione di quelle animali.

Sono numerosi i confronti tra le capacità di apprendimento dei neonati e quelle dei cuccioli di altre specie, dai quali non sempre usciamo vincitori. Ma, soprattutto, colpisce come questo libro cerchi di unire, più che di dividere:

“Alla luce di questa rassegna, non siamo propense a credere che troveremo la discontinuità tra umani e non-umani in una singola funzione cognitiva. Probabilmente possiamo definirci unici, in un certo senso, ma le differenze sono a nostro avviso qualcosa che deriva dalla particolare costruzione delle nostre menti. E questo non è niente più di quanto distingue anche le altre specie tra loro, soprattutto se prese a una distanza comparabile di anni dall’antenato comune.”

Insomma, in fin dei conti non siamo così speciali, o meglio lo siamo nella stessa maniera di tutte le altre specie, che sono diventate nel corso dei secoli le più adatte a vivere nel proprio ambiente, con abilità specifiche estremamente sviluppate.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.