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Una popolazione più sana? Meno spesa per l’assistenza sanitaria e di più per i servizi sociali

Spendendo anche solo un centesimo in più nei servizi sociali, rispetto a ogni dollaro speso per quelli sanitari, l'aspettativa di vita crescerebbe del 5% e in un solo anno le "morti evitabili" si ridurrebbero del 3%.

L’idea di fondo è andare a ricercare l’origine degli output sanitari in ambiti al di fuori della sanità stessa, spostando il perno del dibattito sulle disparità di accesso alle cure, non solo sulla possibilità economica al momento della malattia, ma sullo stile di vita. Crediti immagine: Pixabay

APPROFONDIMENTO – Michael Marmot, epidemiologo noto a livello mondiale, nel corso delle sue ricerche le ha dato addirittura un nome: “Status Syndrome”. Chi è più in alto nella scala sociale, percepisce una libertà di controllo sulle proprie azioni e nel concreto vive più a lungo rispetto a chi si trova a vivere uno status socio-economico peggiore nel corso della propria vita. Per citare un detto Newyorkese “Più piccola è la taglia del vestito, più grande l’appartamento”, ovvero – spiega Marmot – particolarmente fra le donne delle nazioni ad alto reddito, peggiore è lo stato sociale, maggiore è la prevalenza dell’obesità. La domanda da cui partì Marmot è la seguente: “Perché curare le persone e riportarle alle condizioni che le hanno fatte ammalare?” In altre parole, come eliminare lo svantaggio sociale, cioè la causa delle cause di anni persi in salute, se non addirittura di morte prematura?

Un anno fa esatto, uno studio pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista The Lancet e condotto nell’ambito del progetto Lifepath dell’Unione Europea, mostrava che nei paesi “ricchi”, fra cui anche l’Italia, le scarse condizioni socioeconomiche si tradurrebbero in 2,1 anni di vita persi fra i 40 e gli 85 anni.

Oggi un nuovo studio, questa volta canadese, pubblicato sul Canadian Medical Association Journal, evidenzia come l’aumento della spesa sociale (parliamo dei determinanti sociali della salute come il reddito, l’accesso all’istruzione, la dieta e l’attività fisica) sia stato associato a miglioramenti della salute a livello di popolazione, mentre gli aumenti della spesa sanitaria non sortirebbero alla prova dei fatti lo stesso effetto. Non solo dunque investire di più sui servizi per ridurre le disuguaglianze sociali di partenza è altrettanto importante rispetto a investire nell’assistenza sanitaria, ma addirittura produrrebbe effetti migliori in termini di salute generale della popolazione.

Lo studio ha esaminato i dati di 9 delle 10 province canadesi lungo un periodo di 31 anni dal 1981 al 2011, considerando tre aspetti: morti potenzialmente evitabili, mortalità infantile e aspettativa di vita. In Canada la spesa sanitaria pro-capite è aumentata di 10 volte nel periodo in esame rispetto alla spesa sociale. Tuttavia, i ricercatori hanno osservato che un piccolo aumento della spesa per i servizi per ogni dollaro speso in sanità era associato a migliori risultati sanitari a livello di popolazione in ogni provincia. “Abbiamo visto che se i governi spendessero anche solo un centesimo in più nei servizi sociali rispetto per ogni dollaro speso per i servizi sanitari l’aspettativa di vita crescerebbe del 5% e in un solo anno le morti cosiddette evitabili si ridurrebbero del 3%” racconta Daniel Dutton, della School of Public Policy dell’University di Calgary.

L’idea di fondo è andare a ricercare l’origine degli output sanitari in ambiti al di fuori della sanità stessa, spostando il perno del dibattito sulle disparità di accesso alle cure, non solo sulla possibilità economica al momento della malattia, ma sullo stile di vita. “Se la spesa sociale si rivolge ai determinanti sociali della salute, diventa una forma di spesa sanitaria preventiva andando a modificare la distribuzione del rischio per l’intera popolazione”.

Dati che confermano le ricerche dello stesso Marmot condotte nel lontano 2006, citate nel suo ultimo libro “La salute disuguale”. “Gli Stati Uniti – si legge – spendono il 17% del prodotto interno lordo per l’assistenza sanitaria. Il Regno Unito spende per ogni persona il 40% di quello che spendono gli americani. Che cosa ottengono gli Stati Uniti da questa spesa? Non molto. Abbiamo confrontato la salute dei bianchi americani con quella dei bianchi inglesi, uomini e donne di età compresa fra i 55 a i 64 anni, e abbiamo dimostrato per prima cosa che tra gli americani con copertura assicurativa c’era un gradiente sociale di salute legato al reddito e all’istruzione e, per seconda cosa, che anche se il 92% degli americani del nostro campione fosse coperto da assicurazione, gli americani sarebbero più malati degli inglesi. […] Il fatto che gli americani con copertura assicurativa e una spesa generosa per l’assistenza siano più malati degli inglesi con il loro modesto livello di spesa suggerisce che non sono le differenze in assistenza sanitaria che danno conto delle grandi differenze nelle condizioni di salute”.

Inoltre – commenta Paul Kershaw, della Scuola di sanità pubblica, dell’Università della British Columbia a Vancouver – i dati mostrano che l’aumento della spesa sanitaria è associato a opportunità perse nel migliorare la propria aspettativa di vita prevenendo le morti evitabili, rispetto a quello che si ottiene attraverso una distribuzione più equa tra investimenti medici e sociali. “Questi risultati aggiungono prove che dovrebbero spingere i governi a cercare un migliore equilibrio tra spese mediche e sociali. ”

Certo questo non significa che l’assistenza sanitaria non sia cruciale nell’ampliare o assottigliare le disuguaglianze di salute, che a loro volta si traducono in svantaggio sociale, in primis in minore attività lavorativa, facendo ripartire la ruota. Stando a quanto riporta il rapporto annuale di OCSE “Health at a Glance 2016”, in media in Europa chi è affetto più di due malattie croniche, anche solo diabete e obesità, presenta un tasso occupazionale della metà rispetto a chi non ha malattie croniche. Negli Stati Uniti, la produttività dei lavoratori obesi è circa il 12% inferiore rispetto a quella dei non obesi.

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Leggi anche: La salute diseguale, di Michael Marmot

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.