WHAAAT?

Ma i droni contano papere contraffatte?

Non siamo in un libro di fantascienza di Philip K. Dick, ma su una spiaggia australiana: i ricercatori hanno scoperto un metodo più accurato e meno noioso per contare gli animali selvatici

WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Una sterna, due sterne, tre sterne… Ma quella l’avevo già contata o no? Ecco, adesso devo ricominciare. Conteggiare gli animali selvatici è complesso, soprattutto quando si tratta di colonie di uccelli da migliaia di esemplari. Per questo, alcuni ricercatori dell’Università di Adelaide hanno messo alla prova esperti osservatori di fauna selvatica e droni, sfidando le loro abilità nella conta nella #EpicDuckChallenge, pubblicando i risultati sul British Ecological Society journal Methods in Ecology and Evolution. E indovinate? Esatto, hanno vinto i droni.

Per riuscire a testare l’approccio più tecnologico, però, non ci si poteva basare su reali colonie di sterne crestate: una stima sull’accuratezza di un conteggio è possibile solo quando si conosce il numero reale di entità, e con gli animali selvatici questo non sarebbe possibile. Quindi, sono state usate papere finte. A migliaia. Ma non come quelle gialle sgargianti che fanno compagnia al bagnetto dei più piccoli, bensì sono state utilizzate anatre da richiamo, a grandezza reale e in grado di simulare il più fedelmente possibile una colonia di uccelli marini. Disposte su una spiaggia di Adelaide da numerosi volontari, le varie colonie fittizie sono state conteggiate da terra – in punti con visuale ottimale e con binocoli e cannocchiali – da esperti osservatori e fotografate a diverse altezze dai droni.

Una reale colonia di sterne crestate, la specie di uccello marino che è stata imitata nell’esperimento (Cortesia: Jarrod Hodgson).

A quel punto c’è stato spazio anche per la citizen science: a partire dalle foto scattate i cittadini hanno fornito i numeri sulle dimensioni delle diverse colonie. Sembra che il punto d’osservazione privilegiato dei droni sia stato impagabile: i dati ottenuti erano tra il 43% e il 96% più accurati rispetto ai conteggi effettuati da terra. La grande variabilità è dovuta soprattutto al numero di pixel che rappresentavano ciascun uccello, legata all’altezza a cui volava il drone e alla risoluzione della macchina fotografica.

Questo risultato, comunque, non stupisce più di tanto: guardare dall’alto permette di non avere animali “oscurati” da quelli che stanno loro davanti, in più i citizen scientist avevano la possibilità di effettuare più volte il conteggio nella foto e consegnare il numero finale sul quale erano più sicuri. Però questo tipo di conta porta via molto tempo, oltre a essere terribilmente noiosa. Per questo i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo informatico che permettesse di aumentare l’efficienza, senza che la qualità dei dati ne risentisse in maniera negativa. Fornendo al sistema una porzione pari circa al 10% dei dati per imparare – in questo caso, una quantità di uccelli in ogni colonia sufficiente perché l’algoritmo riconoscesse come gli animali appaiono in foto – i risultati erano molto simili al conteggio umano sulle immagini.

Questo studio ha dei risvolti ancora più interessanti se si considera che, nel mezzo della sesta estinzione, la possibilità di avere dati più accurati sulle popolazioni delle specie a rischio – o che potrebbero diventarlo – assume ulteriore importanza. Bisogna cercare i piccoli cambiamenti nel numero degli animali per notare le diminuzioni: quando si vedono variazioni ingenti, potrebbe essere ormai troppo tardi per salvare una specie.

I droni già vengono utilizzati per monitorare diversi animali che possono essere osservati dall’alto, come elefanti, foche e dugonghi – c’è chi li utilizza addirittura per prelevare il materiale che le balene espellono attraverso lo sfiatatoio. Dopo aver verificato come potrebbero risultare utili nel conteggio, bisogna vedere se i risultati saranno ugualmente buoni anche con animali reali: stiamo ancora imparando come la fauna selvatica reagisce alla presenza dei droni, per cercare di stilare dei protocolli di monitoraggio che permettano di influire il meno possibile con il loro comportamento in natura. In ogni caso, chissà se i droni sono più bravi di noi anche a contare le pecore…

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.