#ClassiciRiscoperti: Frankenstein, o il moderno Prometeo. Con un’intervista a Chiara Valerio
A duecento anni dalla pubblicazione il romanzo di Mary Shelley continua a ispirare storie all'incontro tra fantastico e scienza, come quella raccontato in un recente radiodramma, la cui autrice dichiara: "Frankenstein è un prodotto radiofonico in sé, Frankenstein personaggio, perché è un assemblaggio di tanti pezzi diversi"
STRANIMONDI – Sconfiggere la morte, spingendosi in un territorio che sconfina nel divino, un’utopia con conseguenze inimmaginabili: è la molla alla base del romanzo di Mary Shelley, di cui quest’anno ricorre il 200° anniversario dalla prima pubblicazione. Quella del dottor Victor Frankenstein e del Mostro che ha creato è una storia che da allora è stata raccontata moltissime volte, non solo da autori di fantascienza, perché è uno di quei miti moderni che si è incastonato nell’immaginario collettivo. Tra la quarantina di versioni cinematografiche (limitandosi a quelle distribuite in Italia), ci sono da ricordare almeno il Rocky Horror Picture Show (assieme al musical) e la versione del 1931 con la regia di James Whale, in cui il ruolo del mostro è affidato a Boris Karloff.
Il personaggio partorito da Mary Shelley è anche protagonista di un recente radiodramma andato in onda in venti(*) puntate all’interno di Radio3Scienza, il quotidiano di scienza di Radio3 RAI, dal titolo Frankenstein serial. La creatura ha ancora bisogno di amore. La storia vede protagonista Nina, figlia di una coppia che ha deciso di andare a vivere in campagna, che incontra la Creatura, che per l’ennesima volta torna a incarnare le scoperte della scienza (e le loro conseguenze) che spaventano l’umanità. In questa situazione di stampo fantastico fanno capolino esperti di scienza per cercare di dare risposte a cinque quesiti: alle piante dell’orto fa bene essere accarezzate?, si può svaccinarsi?, chi dà la patente di genitori?, l’universo è elettrico?, che fine farà l’isola di plastica? A scrivere le puntate del radiodramma, interpretato da molte voci note di Radio3, sono stati Lorenzo Pavolini e Chiara Valerio. A quest’ultima abbiamo fatto qualche domanda.
Quali sono gli aspetti del personaggio o del romanzo che ti hanno mosso come autrice?
La sproporzione, la diversità, il pregiudizio, l’impossibilità che ha Frankenstein di andare oltre l’idea di sé stesso che gli occhi degli altri gli rimandano. D’altronde, Frankenstein viene prima del dottor Freud quindi la sua anima probabilmente somiglia di più allo sguardo degli altri che se fosse nato dopo Freud.
La serie è andata in onda all’interno di Radio3Scienza, un quotidiano di scienza appunto, e tu ti sei occupata spesso di rapporti tra fiction (chiamiamola così per semplicità) e scienza. Qui come hai lavorato? quali aspetti scientifici ti hanno colpito e ti hanno ispirato? Come li hai usati?
Non c’è mai stata nessuna differenza per me tra letteratura e scienza. Quando studiavo matematica, in mezzo a tutti quei simboli e a quelle implicazioni, io sapevo abbastanza bene che il linguaggio formale mi stava raccontando una storia, con principi di causa-effetto come le storie di genere realistico. Quando sono arrivata a Radio3, nel 2008, ho cominciato a lavorare proprio a Radio3 Scienza e sono stata molto fortunata perché in quella redazione, oltre Rossella Panarese, c’erano Marco Motta (che ora cura il programma con Rossella), Silvia Bencivelli e Costanza Confessore, e mi hanno insegnato, loro sì, con competenza e pazienza – io venivo da tutto altro ambito, un modo di connettere la scienza, non solo la matematica, al resto.
Frankenstein è un prodotto radiofonico in sé, Frankenstein personaggio, perché è un assemblaggio di tanti pezzi diversi. La scrittura, in questo caso, le competenze personali, le passioni personali, sono un pezzo, o un ingrediente, quello che mescola tutto insieme è la radio, e il lavoro di più persone. Quindi, rispondere a una domanda che presuppone un “io” nella risposta, in questo caso, non ha molto senso. Frankenstein è stato un lavoro collettivo, anche con gli scienziati che hanno risposto alle telefonate, che si sono prestati a rispondere con la verità dei loro studi in un formato narrativo, inventato… un formato collettivo, dicevo, tenuto insieme e poi animato dal fulmine della radio.
Il lavoro tuo e di Lorenzo Pavolini ha anche previsto una relazione con i giorni nostri e il contemporaneo. Come avete lavorato su questo fronte? Che cosa c’è di attuale oggi in Frankenstein e cosa invece non ci parla più direttamente?
Con Lorenzo abbiamo lavorato in maniera molto naturale e libera a partire dalla considerazione che Frankenstein è un romanzo che nasce quando il dottor Viktor Franlenstein, lo studioso, lo scienziato, il fisiologo, non accetta la morte di una persona amata. Non accetta che non esistano cure efficaci per tutte le malattie. Dunque siamo partiti dalle malattie, sopratutto da cose che possono essere viste come malattie e dall’ambientazione. Frankenstein, il mostro, osserva una famiglia in una casupola al limitare di un bosco e tutto va bene fino a quando il suo aspetto non rivela agli occhi di chi lo guarda non solo bruttezza, ma cattiveria.
Per la registrazione delle voci avete lavorato con tantissimi collaboratori. Come avete scelto a chi affidare le parti? E quanto vi siete divertiti poi a registrare?
Della registrazione e della scelta delle voci si sono occupati Johnathan Zenti che ha curato anche tutta la regia, Fabiana Carobolante e Anna Antonelli con le quali, io e Lorenzo Pavolini curiamo Ad Alta Voce. Il progetto è stato in effetti un progetto nato in seno al programma Ad Alta voce, e lo abbiamo portato avanti tutti inseme come facciamo anche con i romanzi, volta per volta. Io purtroppo ho seguito le registrazioni solo una volta, ed è stato molto istruttivo e divertente, credo, come sempre in queste cose, il divertimento si accompagni e stemperi pure la fatica che c’è nel compiere un’operazione come quella di Frankenstein. Suonava completamente diverso dal resto dei programmi, anche di Ad Alta voce, è una specie – noi l’abbiamo chiamata serie – ma in fondo è una specie di sit-com. Ha mai sentito una sit-com in radio? Noi abbiamo cominciato.
Qual è il tuo rapporto con il Frankenstein della Shelley? E quali sono i tuoi Frankenstein preferiti?
Non ho Frankenstein preferiti. Né Junion né altri.
Oltre ad ascoltare il vostro lavoro, se ti va, mi dici tre motivi perché bisogna leggere il romanzo della Shelley?
Perché è una storia avvincente. Perché racconta come la felicità porti alla bontà e la tristezza renda cattivi, e dunque perché essere felici deve essere una forma di responsabilità. Perché prova a vincere la morte e sbaglia; in effetti sbaglia perché, come ripeteva mia nonna, la morte è una cosa che capita ai vivi.
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(*) il numero delle puntate è stato coretto dopo una segnalazione il 28 marzo 2018