SALUTE

Infarto: come capire chi colpirà

Come possiamo prevedere dunque se una persona che oggi ha una lesione coronarica iniziale e silente, domani svilupperà una qualche malattia cardiaca?

Una squadra di cardiologi, radiologi, emodinamisti e ricercatori, individuerà le caratteristiche radiologiche, molecolari o genomiche che identificano precocemente i soggetti a maggior rischio di sviluppare un infarto a medio-lungo termine. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – Il problema principale per un cardiologo è capire quando una persona che non presenta sintomi è verosimilmente a rischio di essere colpita da infarto miocardico. Sebbene vi siano dei fattori di rischio ben noti, come il diabete, l’ipertensione o avere il colesterolo alto, non è al momento possibile capire se un individuo sano svilupperà o meno un evento cardiaco importante.

Anche sottoponendo tutta la popolazione sana a coronarografia o tac coronarica (cosa evidentemente impossibile e inopportuna dato il rapporto costo-efficacia, oltre che per l’elevata invasività della coronarografia non saremmo comunque in grado di affermare in maniera deterministica se una persona asintomatica svilupperà una patologia cardiaca grave oppure no.
Sappiamo che statisticamente all’interno di una certa popolazione una percentuale avrà un infarto, ma non siamo in grado di dire chi sarà colpito.

Come possiamo prevedere dunque se una persona che oggi ha una lesione coronarica iniziale e silente, domani svilupperà una qualche malattia cardiaca? Se finora non era possibile dare risposta a questa domanda, oggi una strada per riuscire a prevedere con precisione il rischio soggettivo di una persone ci potrebbe essere e passa per la genetica.

È quello a cui sta lavorando un team di ricercatori del Centro Cardiologico Monzino di Milano, dove una squadra di cardiologi, radiologi, emodinamisti e ricercatori, individuerà le caratteristiche radiologiche, molecolari o genomiche che identificano precocemente i soggetti a maggior rischio di sviluppare un infarto a medio-lungo termine. L’idea di fondo è quella di studiare il trascrittoma, cioè le caratteristiche dell’RNA circolante in persone senza alcuna manifestazione di malattia cardiaca, ma con TAC coronarica indicativa di parziale ostruzione delle coronarie, per poi seguire la persona per un certo periodo sottoponendola a tac coronarica periodica, e osservare se ci sono correlazioni fra i pattern di RNA e l’insorgenza di eventi cardiaci nel futuro.

Lo studio in questione si chiama EPIFANIA ed è già stato avviato, coinvolgendo 400 persone, con l’obiettivo di raggiungerne 1000, e seguirà i pazienti per un periodo di 5 anni.

“Quello che stiamo facendo è coinvolgere persone che non hanno mai avuto sintomi cardiologici, e che quindi dal punto di vista soggettivo stanno bene, ma per le quali la Tac coronarica ha evidenziato una malattia aterosclerotica coronarica iniziale” spiega a Oggiscienza Paolo Ravagnani, cardiologo dell’Unità Operativa 2 di Cardiologia interventistica. “Per ognuno di loro studieremo uno o più marker, o “firme” molecolari, da associare al quadro evidenziato dalla Tac.”

Esistono dei dati preliminari che hanno studiato l’RNA di persone che avevano avuto un infarto, confermando che questi marcatori che segnalano l’arrivo di un evento cardiaco ci sono.
“Al Monzino il team del dottor Gualtiero Colombo ha già condotto uno studio, di prossima pubblicazione, di confronto tra il paziente infartuato e il paziente con angina stabile” continua Ravagnani. Abbiamo scoperto che in questi pazienti le forme di aterosclerosi, cliniche, acuta e stabile, sono diverse dal punto di vista del trascrittoma ed è possibile distinguerle dal punto di vista genetico”. Questo risultato ha permesso quindi di presumere che esistano delle “firme” molecolari che caratterizzano diversi sottotipi di malattia coronarica e che, se identificate, ci permettano di prevederne le differenti evoluzioni.

“Con EPIFANIA compiamo però il processo inverso – conclude Ravagnani – studiamo l’RNA di soggetti al momento sani e li seguiamo nel tempo per verificare se effettivamente chi possiede certi marcatori possa essere a maggiore rischio di sviluppare infarto o altri eventi acuti.

È evidente che siamo davanti a risultati che se confermati potrebbero davvero cambiare le cose, permettendo introdurre il concetto di “screening” anche in ambito cardiologico. Grazie ai marcatori individuati, potrebbe diventare possibile identificare questi pazienti davvero a rischio con un semplice esame del sangue, agendo con una prevenzione davvero mirata.”

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.