Colombia, una catastrofe ambientale dai confini incerti
A oltre un mese di distanza dallo sversamento di greggio misto ad acqua e fango in alcuni affluenti del Magdalena, principale fiume della Colombia, l'unica certezza è paradossalmente l'incertezza.
ATTUALITÀ – Nonostante alcuni tasselli del rompicapo siano ormai noti, le ombre sulla vicenda rimangono fitte, prima tra tutte la natura dell’incidente e lo spaventoso ritardo nell’attivazione delle procedure di emergenza. Ma andiamo con ordine.
Il punto zero della catastrofe ambientale è il villaggio La Fortuna nel comune di Barrancabermeja, nel dipartimento di Santander. Oltre un migliaio di pozzi fanno della regione il cuore nero del Paese sudamericano. Dove non a caso ha sede la Ecopetrol – Empresa Colombiana de Petróleos – colosso mondiale del settore petrolchimico a partecipazione mista tra pubblico e privato. Il 2 marzo 2018 i tecnici della Ecopetrol rilevarono una contenuta fuoriuscita di idrocarburi dal pozzo 158 del giacimento “La Lizama”. Secondo la ricostruzione fatta da Felipe Bayón, presidente della compagnia petrolifera, sul quotidiano colombiano “El Espectador”, sul momento l’evento fu derubricato a normale routine, dandone comunque comunicazione all’autorità competente. Le perdite tuttavia proseguirono per una decina di giorni fino a tramutarsi in emergenza l’11 marzo quando una marea nera si riversò sui torrenti Lizama e Caño Muerto. Il protocollo di emergenza, attivato con colpevole ritardo, fu vanificato dalle forti piogge dei giorni successivi che resero inutili le barriere posizionate lungo i due torrenti: lo sversamento raggiunse il Río Sogamoso, principale affluente del Magdalena, uccidendo alcune migliaia di animali lungo un tragitto di quasi 30 chilometri. Inspiegabilmente, lo stato di calamità fu però dichiarato solamente il 20 marzo, cinque giorni più tardi dal dirottamento della fuoriuscita lontano dai corsi d’acqua. La perdita del pozzo fu interrotta del tutto il 30 marzo e ad oggi, tra Lizama e Caño Muerto sono stati posti 14 punti di controllo e 127 barriere fisiche. Altri tre punti di controllo sorgono sul Río Sogamoso. Alle operazioni partecipano 768 persone, di cui 424 volontari.
Il costo sia ambientale sia economico dell’accaduto non è stato ancora definito ma si preannuncia salato. Per il momento 81 persone sono state evacuate preventivamente da La Fortuna ma il disastro si innesta in un’area densamente popolata caratterizzata da una grande ricchezza agricola e zootecnica. I corsi d’acqua Lizama e Caño Muerto sono siti riproduttivi di numerose specie ittiche, dalla cui abbondanza dipende la sorte della maggioranza degli abitanti che non lavora per Ecopetrol. Come sempre accade in questi casi, le operazioni di bonifica saranno lunghe e costose. Alla rimozione del greggio dovrà seguire infatti la pulizia dei sedimenti e della vegetazione. L’ecosistema potrebbe impiegare decine di anni per riprendersi e comunque non tornerà mai allo stato originario. Le foto scattate da giornalisti e associazioni ambientaliste hanno per protagonisti tartarughe, caimani e aironi ma anche boa arborei, rane velenose e granchi boccheggianti e impiastricciati. La regione si trova alle porte del parco nazionale della Serranía de los Yariguies e sono perciò numerosi gli animali endemici che la abitano. La più famosa delle foto, che ritraeva un tigrillo (Leopardus tigrinus) moribondo, si è rivelata tuttavia una fake news. Così come il video nel quale si vede sgorgare petrolio dai rubinetti delle abitazioni nel vicino comune di Lebrija. Destreggiarsi tra realtà e menzogna è complicato perché sono gli stessi protagonisti a nascondere le carte.
Sebbene le prime stime quantificassero lo sversamento in circa 23mila barili di greggio, cioè 3.657 metri cubi, Bayón ha dichiarato che la percentuale di idrocarburi fuoriuscita da Lizama 158 fosse minoritaria rispetto ad acqua e fango e ammonti ad appena 550 barili, circa 88 metri cubi. Il mistero si infittisce perché il pozzo in questione risulta inattivo, ufficialmente perché poco produttivo, dal 2015. Tuttavia, un’indagine dello stesso anno condotta dall’Agenzia nazionale per gli idrocarburi individuò guasti meccanici e falle nel rivestimento di alcuni pozzi contigui. La chiusura tecnica del pozzo avvenne nel febbraio 2016. Per questo motivo Óscar Vanegas, ingegnere petrolifero e consulente dell’Universidad Industrial de Santander, è convinto che l’incidente non sia dipeso da cedimenti strutturali bensì da un test di fratturazione idraulica – il cosiddetto fracking – andato male. In un’intervista rilasciata alla rivista ambientalista “Mongabay Latam”, Vanegas ha affermato che il rischio più serio è che le fratture indotte dal fracking si connettono a quelle naturali, formando una sorta di autostrada per il greggio. Con destinazione la superficie. In attesa che l’inchiesta della magistratura faccia il suo corso, il ministero dell’ambiente ha imposto a Ecopetrol di sospendere l’esplorazione e lo sfruttamento nella zona. Una misura cautelativa che tuttavia non rassicura: dall’Arauca al Guisa passando per il Bogotá che bagna l’omonima capitale, i fiumi colombiani rimangono tra i più inquinati del pianeta.
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