SALUTE

Quando gli antibiotici diventano tossici

Storia e linee di ricerca sui fluorochinoloni, farmaci che possono causare effetti collaterali gravi su alcuni pazienti lasciando altri "immuni". l'Italia è tra i Paesi che li usano di più.

Dagli anni ’80 alla fine del 2015 la FDA ha ricevuto segnalazioni da più di 60.000 pazienti che hanno descritto centinaia di migliaia di “eventi avversi gravi” associati ai cinque fluorochinoloni ancora sul mercato, tra cui 6.575 segnalazioni di decessi. Crediti immagine: Pixabay

Un articolo, pubblicato i giorni scorsi su Nature, riprende la fila sulla querelle intorno ai fluorochinoloni, antibiotici prescritti per infezioni dovute a Escherichia coli, Proteus, Enterobacter, Klebsiella, Citrobacter, Salmonella, Shigella, Yersinia, ma anche Neisseria, Haemophilus, Pseudomonas, anaerobi, Mycobatteri, cioè specialmente per combattere le infezioni delle basse vie urinarie e intestinali.

Gli effetti avversi dei fluorochinoloni

La questione riguarda la tossicità di questa classe di farmaci, evidenziata da diverse prove ottenute negli ultimi decenni. Diverse persone hanno iniziato a raccontare gli effetti avversi, anche gravi, dopo l’assunzione di antibiotici. Su siti web e gruppi Facebook migliaia di persone – ammalatesi dopo il trattamento con fluorochinoloni – si sono riunite per condividere le loro esperienze.

Molti descrivono una condizione devastante e progressiva, che comprende disturbi psichiatrici e sensoriali, problemi muscolare, ai tendini e ai nervi che continuano anche dopo aver smesso di assumere i farmaci. Dagli anni ’80 alla fine del 2015, la Food and Drug Administration statunitense (FDA) ha ricevuto segnalazioni da più di 60.000 pazienti che hanno descritto centinaia di migliaia di “eventi avversi gravi” associati ai cinque fluorochinoloni ancora sul mercato, tra cui 6.575 segnalazioni di decessi.

Le agenzie di regolamentazione sono rimaste a lungo scettiche sulla possibilità che un breve ciclo di antibiotici potesse avere un impatto così devastante a lungo termine. Ma dopo una persistente campagna da parte di gruppi di pazienti, gli atteggiamenti hanno iniziato a cambiare: nel 2008 l’FDA ha annunciato il primo di una serie di forti allarmi sugli effetti collaterali dei fluorochinoloni. Nel 2013 questi comprendevano il rischio di danni irreversibili ai nervi.

Nel novembre 2015, sulla base di 178 casi gravi, la FDA ha votato per riconoscere l’esistenza di una sindrome potenzialmente permanente denominata FQAD (FluoroQuinolones Associated Disability): chi assumeva i fluorochinoloni aveva una percentuale molto più elevata di disabilità rispetto a chi assumeva altri antibiotici. Per questo nel 2016 l’agenzia ha raccomandato che i farmaci fossero prescritti unicamente per infezioni molto gravi. Questa mossa ha innescato altre agenzie di regolamentazione a rivedere gli antibiotici: a inizio 2017 Health Canada ha avvertito i medici di rari casi di effetti collaterali persistenti o disabilitanti .

Quest’anno anche l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) dovrebbe pubblicare i risultati di una revisione di sicurezza in seguito a un’udienza pubblica prevista a giugno, scrive su Nature la giornalista Jo Marchant.

La tossicità dei fluorochinoloni

Il punto nodale della faccenda è che i fluorochinoloni non sembrano essere tossici per tutti, ma solo per una minima parte dei pazienti, che rischiano però danni importanti. Da qui il problema di capire chi può essere toccato da problema e chi no. Negli ultimi 30 anni alcuni fluorochinoloni approvati dalla FDA sono stati rapidamente ritirati dal mercato dopo gravi reazioni avverse e diversi decessi. La trovafloxacina, ritirata nel 1999, danneggiava il fegato. Sempre nel 1999 la GlaxoSmithKline ha ritirato la grepafloxacina, dopo che un monitoraggio post-marketing aveva rilevato un certo numero di eventi cardiovascolari gravi.

Oggi i fluorochinoloni sono fra gli antibiotici più frequentemente prescritti. Negli Stati Uniti, nel 2015, i medici hanno distribuito 32 milioni di prescrizioni rendendoli la quarta classe di antibiotici più popolare. Anche in Italia ne facciamo ampio uso. Secondo un recente rapporto ECDC, EFSA ed EMA siamo in pole position per il consumo di una delle categorie più nuove di antibiotici di uso umano (cefalosporine di terza e quarta generazione) e tra i primi proprio per il consumo di fluorochinoloni.

Oggi una delle linee di ricerca riguarda il danno mitocondriale. Beatrice Golomb dell’Università della California di San Diego lavora da un decennio con le persone affette da fluorochinoloni, come David Melvin, un ufficiale di polizia e appassionato ciclista ora in sedia a rotelle dopo aver assunto levofloxacina per sospetta epididimite nel 2007. Le prove accumulate – afferma Golomb – suggeriscono che i fluorochinoloni danneggino i mitocondri, quegli organelli all’interno delle cellule umane che si sono evoluti a partire da miliardi di cellule  simili ai batteri.

Questo tipo di danno può colpire dunque ogni cellula del nostro corpo. Si tratta però di un approccio discusso, dal momento che non esiste ancora un biomarcatore affidabile che i ricercatori possano utilizzare per testare il danno mitocondriale negli esseri umani, come invece possiamo fare studiando le linee cellulari.

Le conseguenze per il DNA

C’è poi la questione sul danno al DNA. Uno studio del 2015 su cellule renali umane ha mostrato che i fluorochinoloni possono legarsi agli atomi di ferro dai siti attivi di diversi enzimi che modificano il DNA, portando a cambiamenti epigenetici che potrebbero essere correlati ad alcuni degli effetti collaterali dei farmaci.

La strada più promettente passa per la genetica. Nel settembre 2017 Charles Bennett, ematologo della University of South Carolina, ha presentato dei dati preliminari che potrebbero suggerire perché solo alcune persone sviluppano gravi effetti collaterali. Bennett è anche direttore della Southern Network on Adverse Reactions, un organismo per la sorveglianza farmaceutica finanziato dallo Stato che lavora con persone affette da fluorochinoloni dal 2010. I ricercatori hanno prelevato campioni di saliva da 24 persone che hanno riportato effetti collaterali neuropsichiatrici (perdita di memoria, attacchi di panico, depressione) e scoperto che 13 di loro (il 57%) condividevano una variante genica di solito visibile solo nel 9% della popolazione.

Bennett non ha rivelato l’identità del gene perché ha una domanda di brevetto in corso, dice Marchant,  ma sembra essere un sito correlato al metabolismo dei chinoloni. Tale mutazione potrebbe causare livelli pericolosamente elevati di accumulo del farmaco nelle cellule, incluse quelle del cervello. Bennett sta conducendo un altro studio, su un campione di 100 partecipanti, per confermare il risultato. In caso affermativo potrebbe arrivare a un test genetico per identificare le persone suscettibili a questi farmaci.

In genere – conclude Nature – il supporto per la ricerca sulla sicurezza dei farmaci è comunque scarso e indagare quelli presenti sul mercato ormai da anni non è una priorità. I produttori non sono incentivati ​ a finanziare studi sulla sicurezza post-commercializzazione, in particolare per farmaci non brevettati dove la maggior parte delle vendite proviene da aziende di farmaci generici.

Se da una parte c’è la concreta possibilità di effetti collaterali anche gravi, dall’altra stiamo vivendo un’epoca dominata dalla farmaco-resistenza: anno dopo anno siamo minacciati da nuove forme batteriche resistenti agli antibiotici, anche per un consumo troppo massiccio e sregolato di questi farmaci prima di tutto per l’allevamento di bestiame.

Al tempo stesso la corsa verso la sintesi di nuovi farmaci procede troppo lentamente, come affermava l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2017, e fra i pochi antibiotici in fase di studio ci sono anche nuovi fluorochinoloni. Per questa ragione è fondamentale investire nella ricerca sulla presunta tossicità di questa classe di farmaci. Nel frattempo si può agire in via “preventiva”, prescrivendoli solo in caso di infezioni molto gravi e in mancanza di alternative valide.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.