Infiammazione in gravidanza: i possibili effetti sul cervello del figlio
È una normale risposta del nostro corpo, ma in gravidanza è associata a una maggiore probabilità di disturbi nello sviluppo neuronale del bambino
RICERCA – A confermarlo uno studio guidato dai ricercatori della Oregon Health & Science University di Portland pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience.
L’infiammazione fa parte della normale risposta che il nostro corpo mette in atto contro infezioni, stress cronico e obesità. Se fino a qualche anno fa si pensava che questa condizione fosse associata a infezioni o a ferite, oggi sappiamo che elementi ambientali e psicosociali, come dieta povera, obesità, status socioeconomico basso, stress fisici e mentali, inquinamento, stimolano alterazioni nel sistema immunitario che causano un aumento del livello di infiammazione. Nelle donne in gravidanza, questa condizione espone il bambino a un maggiore rischio di sviluppare malattie mentali o problemi nello sviluppo del cervello. Lo studio pubblicato su Nature Neuroscience ha confermato, in particolare, una possibile influenza sul modo in cui i neuroni del nascituro si organizzano a formare delle reti.
Il gruppo di ricerca, guidato da Damien Fair della OHSU di Portland e Claudia Buss della tedesca Charité – Universitätsmedizin Berlin, ha raccolto campioni di sangue da 84 donne a ogni trimestre della gravidanza. Nei campioni è stato misurato il livello della molecola IL-6, un marcatore di infiammazione coinvolto anche nei meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello. I ricercatori hanno poi analizzato, tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI), i pattern di connettività cerebrale dei bambini all’età di quattro mesi. L’analisi è stata ripetuta all’età di due anni, quando è stata testata anche la memoria di lavoro, una capacità associata all’apprendimento scolastico, spesso compromessa nel caso di ritardo mentale.
Dati ricavati da campioni delle mamme e dalla risonanza magnetica mostrano come i livelli dei marcatori infiammatori siano correlati a differenze nella connettività cerebrale dei neonati e, nei bambini più grandi, a differenze nella memoria di lavoro. In particolare, livelli più alti del marcatore corrispondono a inferiori capacità di apprendimento. Come spiega Alice Graham, ricercatrice in neuroscienze comportamentali presso la OHSU School of Medicine e autrice dello studio, ciò non significa che ogni esposizione a una infiammazione abbia una conseguenza immediata sul cervello del bambino. I risultati della ricerca, infatti, rappresentano un punto di partenza per ricerche successive, che potranno aiutare a chiarire come e quando il livello di infiammazione diventi critico. Il modello sviluppato nel corso dello studio, che sfrutta un sistema di intelligenza artificiale noto come machine learning, permette di risalire in modo sufficientemente accurato a informazioni sullo stato infiammatorio della madre durante la gravidanza, a partire da analisi di risonanza magnetica del neonato. In questo modo è possibile predire quali saranno le sue capacità di apprendimento due anni più tardi e indagare eventuali interventi clinici precoci.
In futuro la ricerca dovrà concentrarsi sullo studio di fattori sociali e ambientali che intervengono durante e dopo la gravidanza, influenzando le funzioni cognitive e neuronali dei neonati – spiega Damien Fair. Come ricorda Anthony J. Hannan, ricercatore della Melbourne University non coinvolto nello studio, le implicazioni di ricerche come questa riguardano il modo in cui consideriamo la salute dei genitori, prima e dopo la nascita. Sempre più studi, infatti, confermano come lo stile di vita delle future mamme, ma anche dei futuri papà, abbia un ruolo molto importante nella formazione del cervello del bambino e nella predisposizione a sviluppare disturbi psichiatrici.
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