Nanotubi e supereroi
Ovvero, di come i nanotubi possano essere impiegati in varie applicazioni di notevole portata, e di come vari team di ricerca in giro per il mondo siano al lavoro per consentirne lo sfruttamento delle potenzialità in modo sostenibile.
TECNOLOGIA – L’idea di un gruppo di ricercatori del College of Engineering and Applied Science dell’Università di Cincinnati: nell’ambito di un programma quinquennale congiunto con l’Air Force Research Laboratory, hanno pubblicato i risultati di uno studio, dal titolo “Improved dry spinning process at elevated temperatures for making uniform and high strenght CNT fibers“, che potrebbero avere un impatto notevole sia in applicazioni militari, sia, più a lungo termine, nella nostra vita quotidiana.
Nanotubi di carbonio: cosa sono
OggiScienza ha già affrontato il tema in diverse occasioni, descrivendo varie applicazioni di queste strutture, caratterizzate da alcune proprietà davvero notevoli, che le rendono adatte a realizzare componenti e sistemi innovativi. In effetti, i nanotubi possono essere utilizzati per creare superfici ampie, con spessori minimi, estremamente resistenti e conduttive: quest’ultima caratteristica, in particolare, li rende adatti all’impiego per la realizzazione di dispositivi elettronici.
Inoltre, grazie alla loro resistenza al calore, essi si rivelano particolarmente utili in applicazioni che prevedono elevate dissipazioni termiche, come ad esempio i sistemi di generazione e distribuzione dell’energia.
Lo studio di Cincinnati
Tornando allo studio dei ricercatori di Cincinnati, il ‘dry spinnin process’ menzionato nel titolo del lavoro è nient’altro che il processo di filatura a secco, impiegato nella realizzazione delle fibre sintetiche per applicazioni tessili: infatti, molti degli abiti che indossiamo sono realizzati con processi similari.
La novità consiste nell’introduzione dei nabotubi di carbonio: in pratica i ricercatori, sfruttando un processo denominato deposizione chimica da vapore, hanno sfruttato una base costituita da wafer di silicio, su cui ad alta temperatura sono riusciti a far depositare gas di carbone, creando nanotubi sulla superficie del silicio.
Successivamente, mediante una bobina industriale, le piccole superficie realizzate sono state ridotte a fili simili alla tela di un ragno, utilizzabili appunto per realizzare tessuti indossabili.
Grazie a questa procedura, quindi, è stato possibile creare delle fibre che conservano buona parte delle caratteristiche sopra descritte, conducibilità elettrica e resistenza al calore in primis.
Le applicazioni
Come spesso accade, in questo caso anche per la natura stessa del progetto di ricerca, le prime applicazioni di questo tessuto innovativo potrebbero essere in ambito militare: in effetti, la possibilità di rimpiazzare pesanti batterie e altre apparecchiature con tessuti in grado di accumulare e conservare carica, o di realizzare (o fornire il substrato per realizzare) sensori di peso e dimensioni contenute per la misura di parametri ambientali o sistemi di visione notturna è decisamente di importanza strategica nel contesto specifico.
Tuttavia le applicazioni non sono di certo limitate a questo ambito: basti pensare, ad esempio, alla possibilità di realizzare dispositivi elettronici indossabili, la cui struttura di fatto è immersa nel tessuto dei nostri stessi abiti, oppure è realizzata a partire dal substrato di materiale conduttivo resistente, e che possono ricaricarsi senza la necessità di ingombri legati alla presenza di batterie tradizionali.
Ancora più affascinanti sono i potenziali impieghi in ambito biomedicale: ad esempio, microstrutture di nanotubi potrebbero essere usate come materiali intelligenti in composti con molecole utilizzate per i farmaci tradizionali, consentendo di regolare in modo ottimale l’assorbimento dei principi da parte dell’organismo, intervenendo in modo locale su tessuti o cellule malate, aiutando a neutralizzare in modo molto più efficace diverse tipologie di cancro.
Altro caso applicativo interessante è stato portato avanti in un’altra ricerca, stavolta dell’Università di Tokyo: la realizzazione di imagers, ossia dispositivi in grado di catturare la presenza di metalli all’interno di contenitori o materiali, di dimensioni estremamente contenute.
Passando a un ambito ancora diverso, quello dell’automobile o in generale dei sistemi di trasporto, l’utilizzo di rivestimenti basati su nanotubi, in combinazione con l’adozione di leghe a memoria di forma o ad elevata resistenza agli urti, o di altri compositi basati ancora sul carbonio, potrebbe consentire di potenziare i veicoli in due direzioni fondamentali: la capacità di monitorare l’ambiente esterno, mediante sensori di misura distribuiti su tutta la loro struttura esterna e in essa immersi, e quella di auto-riparare alcune parti danneggiate.
Passando a scenari più fantascientifici, c’è già chi si chiede, come in questo articolo, se i nanotubi non possano essere il componente fondamentale da integrare nell’organismo umano per conferirgli capacità straordinarie, in termini di forza, resistenza e agilità: insomma, per trasformare un Peter Parker qualunque in Spiderman.
Stiamo, quindi, per assistere alla realizzazione tecnica di una robotic suit intelligente simile a quella indossata da Tony Stark/Iron Man, o alla messa a punto di farmaci con aggiunta di nanotubi per sconfiggere in modo mirato tutte le patologie, o al sospirato epilogo delle spese talora ingenti per la riparazione della carrozzeria delle auto dopo urti o incidenti? O addirittura a vedere esseri umani che si arrampicano agevolmente sulle pareti verticali degli edifici?
Non proprio, come del resto descritto anche nell’articolo pubblicato dai ricercatori di Cincinnati: esistono, infatti una serie di limiti tecnici e intrinseci tutt’altro che banali, che rendono onerosa o, al momento, infattibile una produzione di massa di dispositivi a nanotubi.
In primo luogo, per quel che riguarda le applicazioni medicali, uno dei problemi principali è appurare la loro eventuale tossicità per l’organismo umano.
Sul versante delle applicazioni in elettronica di massa, invece, resta un vincolo fondamentale, costituito dal costo di produzione, che non costituisce il problema principale nell’ambito militare (in cui la performance viene prima di ogni altra cosa, e di fatto le risorse disponibili sono ingenti) ma che è, al contrario, un fattore chiave nella maggior parte degli ambiti industriali e manifatturieri.
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