ANIMALIDOMESTICIRUBRICHE

FIV: cos’è e come si tratta l’AIDS felino

È una patologia ormai molto nota, che rende il gatto più suscettibile alle infezioni. Come prevenire il contagio e come comportarsi con un gatto FIV positivo, per migliorare la sua qualità della vita?

Dopo aver parlato di FIP, la peritonite infettiva felina, ci dedichiamo a una patologia che colpisce il gatto domestico molto più familiare a chi ha un gatto nella propria vita: la FIV, causata dal virus dell’immunodeficienza felina da cui prende il nome (Feline Immunodeficiency Virus).

La percentuale di gatti infetti varia molto: i dati sugli Stati Uniti ci mostrano che ha la FIV tra l’1,5 e il 3% dei gatti sani, per passare a un 15% o più tra i gatti malati o ad alto rischio di infezione.

Foto: Pixabay

Conoscere la FIV

La FIV si trasmette soprattutto attraverso il morso, più di rado è mamma gatta a trasmetterla ai piccoli durante il parto o con il latte. Per questo motivo è anche sconsigliabile far testare i piccoli per FIV sotto i sei mesi d’età: c’è il rischio di un falso positivo se gli anticorpi della madre malata sono ancora presenti. In un gatto più grande la presenza di anticorpi è in genere sufficiente per arrivare a una diagnosi; in casi molto rari, e solo negli stadi più avanzati dell’infezione, è possibile che il gatto non produca più livelli rilevabili di anticorpi pur in presenza di FIV.

I gatti che vivono fuori casa a contatto con altri gatti – specialmente i maschi non sterilizzati e più aggressivi – sono maggiormente a rischio di contagio, mentre per gli indoor cats il rischio è ridotto. È sempre buona pratica, se si pensa di adottare un nuovo gatto, farlo testare per accertarsi del suo stato di salute prima di introdurlo in casa.

A volte ci si accorge della presenza della patologia molto tardi o una volta che il gatto è già inserito: come spiegano gli esperti del Cornell Feline Health Center, tuttavia, la trasmissione da un gatto infetto a un gatto non infetto è molto meno probabile nelle unità familiari con strutture sociali stabili, ovvero laddove i gatti di casa non litighino tra loro. Il contagio sessuale, aggiungono gli esperti, non è una delle vie di trasmissione più diffuse.

Una delle credenze scorrette, che mette ancora in allarme molti, è che la FIV si possa trasmettere dal gatto all’essere umano. “La FIV non è trasmissibile all’uomo né ad altri animali che non siano il gatto o altri felini”, spiega a OggiScienza Marco Martini, docente del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova. Il motivo di questo fraintendimento è probabilmente che “il virus è l’agente di una sindrome, la sindrome da immunodeficienza acquisita del gatto, simile a quella che l’uomo sviluppa in seguito all’infezione da HIV”.

Non a caso ci si riferisce alla FIV anche con il nome di AIDS felino. “HIV 1 e 2 e FIV sono entrambi classificati tra i lentivirus”, prosegue Martini. “Hanno pertanto alcune caratteristiche genomiche, biochimiche, morfologiche e patogenetiche comuni”.

Dopo la diagnosi

Un gatto contagiato da FIV ha un’aspettativa di vita che in media si aggira sui cinque anni, ma la situazione varia molto di caso in caso: il virus causa un’immunodeficienza, rendendo quindi il sistema immunitario meno competente nel combattere gli agenti patogeni. Per un gatto con FIV batteri, funghi e virus normalmente innocui e spesso presenti nell’ambiente, che un gatto sano “sconfiggerebbe” senza problemi, possono avere effetti molto gravi.

La diagnosi di FIV in un gatto esige comportamenti responsabili da parte di chi ne ha cura. Occorre essere consapevoli che la durata e la qualità di vita del gatto infetto dipendono anche dalle attenzioni prestategli e possono essere assolutamente soddisfacenti e non significativamente inferiori a quelle di gatti non infetti”, conferma Martini, aggiungendo alcune indicazioni per una buona cura del gatto di casa.

  • Evitare il più possibile contatti con altri gatti, per non favorire la trasmissione di infezioni ai quali i soggetti immunodepressi sono altamente suscettibili.
  • Sterilizzare i soggetti infetti per ridurre i comportamenti aggressivi, quindi il rischio di trasmissione di FIV attraverso il morso, di gran lunga la modalità principale.
  • Prestare attenzione anche ai minimi mutamenti dello stato di salute e del comportamento del gatto e segnalarli al medico veterinario curante.
  • Prevedere visite veterinarie semestrali per verificare lo stato sanitario dell’animale, anche sulla base di esami di laboratorio.
  • Evitare la somministrazione di cibi crudi per ridurre il rischio di trasmissione alimentare di possibili agenti patogeni.
  • Evitare ogni genere di stress all’animale e offrirgli il massimo benessere affettivo, relazionale, ambientale e alimentare possibile.

Dal contagio al trattamento

Agli inizi dell’infezione il virus arriva ai linfonodi dove si riproduce nelle cellule note come linfociti T. Da qui passa ad altri linfonodi del corpo del gatto, che aumentano di dimensione, una reazione spesso accompagnata dalla comparsa di febbre nel gatto. Ma se i linfonodi non si gonfiano molto o non ce ne accorgiamo, è anche possibile che il contagio passi inosservato a lungo e la diagnosi arrivi così in ritardo.

I gatti infetti mostrano sintomi molto diversi dalle gengiviti e stomatiti, infiammazioni a carico rispettivamente di gengive e bocca, fino a diarrea, problemi agli occhi, disturbi comportamentali e neurologici.

Le linee di ricerca in corso per il trattamento della FIV e attive per comprenderne meglio i meccanismi patologici sono diverse. “Lo studio dei reservoir cellulari e tissutali di FIV nei gatti infetti, la struttura delle proteine virali, la loro funzione e interazione con le cellule dell’ospite rappresentano aree di ricerca della patogenesi di FIV utili anche alla messa a punto di strategie antivirali”, conferma Martini.

“Queste sono oggi piuttosto avanzate nei confronti di HIV, non invece nei confronti invece di FIV, e ciò giustifica la mancanza, per quest’ultima, di efficaci terapie antivirali”.

Se infatti per gestire l’HIV abbiamo oggi a disposizione validate e accessibili terapie antiretrovirali, non si può dire lo stesso per il trattamento dell’equivalente felino. A oggi per la FIV non c’è cura, si agisce invece sulle infezioni che il gatto immunodepresso è più a rischio di contrarre. Come per altre patologie veterinarie, non ci sono prove che approcci “alternativi” come l’omeopatia sortiscano alcun effetto sui gatti affetti da FIV.

Quali opzioni dunque? “Diversi approcci, basati sull’uso di interferone-ω felino o sulla somministrazione al gatto di farmaci antivirali per uso umano, hanno ottenuto, in diversi studi pubblicati, esiti controversi relativamente ai sintomi clinici, alla sopravvivenza, allo stato di infezione e all’eliminazione virale”, spiega Martini. “Non hanno mai offerto risultati tali da consentire di mettere a punto un protocollo terapeutico condiviso di efficacia riconosciuta e con effetti collaterali accettabili”.

Anche per quanto riguarda i vaccini per prevenire il contagio da FIV i risultati sono a oggi insoddisfacenti: il vaccino, a oggi, non è purtroppo un’arma di prevenzione efficace.

Oltre 30 anni di FIV

La FIV è stata descritta nel 1986, e nel corso degli anni è molto aumentata la consapevolezza da parte di chi ha gatti sia nel conoscere la malattia sia nel gestire il gatto infetto nel migliore dei modi per migliorare la qualità della vita e far sì che sia il più lunga e serena possibile. “Secondo diversi studi la prevalenza dell’infezione da FIV in gatti di proprietà è nel corso del tempo diminuita”, rassicura Martini.

“Probabilmente una maggiore educazione dei proprietari, anche come conseguenza delle aumentate conoscenze dei medici veterinari, è uno dei fattori che contribuiscono a questo risultato. La mia impressione è che su alcuni aspetti fondamentali – la necessità di ricorrere al veterinario in caso di mutamenti dello stato di salute degli animali in generale, l’assenza di rischio per l’uomo e la possibile buona aspettativa di vita per i gatti diagnosticati – vi sia tra i proprietari una buona coscienza diffusa”.


Leggi anche: Test dello specchio per i pesci pulitori

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".