La storia dell’uomo che digiunò per 382 giorni consecutivi
Il lunghissimo digiuno di Angus Barbieri non fu altro che una terapia: quando smise di alimentarsi pesava 207 chilogrammi, ma digiunando riuscì a perderne ben 125.
RICERCA- Un essere umano può resistere senza bere e senza mangiare per circa una settimana. Il record assoluto appartiene all’austriaco Andreas Mihavecz che lo stabilì, suo malgrado, nel 1979 in circostanze tragiche, quando non toccò cibo e acqua per 18 giorni. Uno dei più lunghi digiuni volontari e assistiti fu documentato nel 1966 in Scozia e lo compì Angus Barbieri, che all’età di 27 anni sopravvisse senza mangiare per 382 giorni, dal 24 giugno 1965 all’11 luglio 1966.
Il lunghissimo digiuno di Angus Barbieri avvenne in condizioni controllate e deve essere inteso come una cura a cui si sottopose. Barbieri, infatti, pesava ben 207 chilogrammi e si rivolse allo University Department of Medicine della Royal Infirmary di Dundee per perdere peso e risolvere i problemi causati dalla sua condizione di severa obesità. Il dottor William Kinnear Stewart e la sua assistente Laura Fleming si presero carico del paziente e lo sottoposero a un digiuno che, nelle intenzioni iniziali, sarebbe dovuto durare al massimo 40 giorni.
Il limite era imposto dalle conoscenze dell’epoca, secondo la quale brevi periodi di digiuno di circa un mese erano un toccasana privo di rischi. Barbieri andò ben oltre a questa soglia di sicurezza. Si adattò così bene a una quotidianità priva di cibo al punto da proseguire il digiuno a oltranza, di comune accordo con i due medici da cui era seguito. Fu così che per 382 giorni consecutivi Angus Barbieri si sostenne solo con liquidi pressoché privi di calorie, integratori di vitamine e minerali, lievito, pastiglie di potassio (dal 93° al 162° giorno) e un modesto supplemento di sodio (dal 345° al 355° giorno).
Barbieri passò i primi giorni di digiuno in ospedale ma venne quasi subito dimesso per proseguire la terapia da casa. Per più di un anno si sottopose a regolari esami delle urine (raccolte nelle 24 ore) e del sangue, nonché a periodiche visite in ospedale. Il dottor Stewart e la dottoressa Fleming non eseguirono mai gli esami delle feci, principalmente perché Barbieri evacuava una volta ogni 37/48 giorni.
Alla conclusione del digiuno Angus Barbieri raggiunse il suo peso ideale: 82 chili. In 382 giorni riuscì a perdere 125 chili. Stewart e Fleming continuarono a seguire il loro inusuale paziente e dopo cinque anni, nel 1971, constatarono come il peso di Barbieri si fosse mantenuto quasi stabile. All’ultimo controllo il peso registrato dai medici era di 89 chili. Il trattamento fu considerato un successo e i suoi dettagli descritti in una pubblicazione del 1973 sul Postgraduate Medical Journal.
Secondo i due medici scozzesi l’esperienza pluriennale appena conclusa forniva la dimostrazione dell’efficacia di un lungo digiuno per il trattamento dell’obesità. Solo dalla seconda metà degli anni ’70 la pratica venne progressivamente abbandonata a causa dell’insorgenza di complicazioni spesso gravi e in alcuni casi fatali.
Digiuno, forza di volontà e conseguenze
Lo studio di Stewart e Flemming faceva riferimento a una tradizione di ricerca sui digiuni terapeutici tipica dell’epoca in cui fu redatto. Ricerche simili a questa erano già state pubblicate negli anni precedenti e la comunità medica tendeva a essere concorde sull’efficacia senza grosse conseguenze di questo trattamento radicale.
L’opinione cambiò nei tardi anni ’70, quando i decessi collegati ai digiuni prolungati non poterono più essere ignorati. In quel periodo un’indagine condotta negli Stati Uniti della Food and Drug Administration (FDA) e dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) dimostrò senza dubbio che ben 58 persone erano morte dopo essersi imposte di non nutrirsi per mesi per perdere peso, facendo affidamento solo su un modesto supplemento proteico.
Oggi la medicina ufficiale considera pericoloso il digiuno prolungato. Prima di sottoporsi a una dieta drastica è bene consultare il proprio medico, il punto di partenza per intraprendere un percorso di dimagrimento dettato dal regime alimentare più adatto alle esigenze di ognuno.
Nelle conclusioni del loro articolo, Stewart e Flemming dichiararono che il digiuno prolungato avrebbe potuto essere una terapia promettente contro l’obesità, ma da considerare con grande prudenza.
Secondo i due medici scozzesi, inoltre, si doveva riconoscere che «in molti pazienti obesi esiste una ‘barriera’ alla perdita di peso, rappresentata dall’equilibrio tra il desiderio di perdere peso da una parte e il desiderio di mangiare dall’altra. Quando il primo desiderio (inteso come pulsione n.d.a.) continua a sopraffare il secondo, non bisognerebbe escludere il proseguimento del digiuno terapeutico. (…) Desideriamo esprimere la nostra gratitudine al sig. A.B. per la sua allegra collaborazione e per la sua applicazione costante nel compito di avere un fisico normale».
In sostanza, per Stewart e Flemming il motto in queste occasioni doveva essere “volere è potere” e il merito del successo di Barbieri risiedeva nella sua instancabile tenacia nel volere raggiungere il peso forma.
Pane, burro e uova
Dopo questa esperienza Laura Flemming e William Stewart proseguirono la propria carriera nella medicina e fondarono, assieme al professor Charles Forbes, lo University of Dundee Medical Museum. Graham Lowe, dermatologo in pensione e curatore del museo, ha raccontato a OggiScienza che sia Stewart che Flemming sono mancati alcuni anni fa, così come sono venuti meno i membri del personale che avevano seguito la vicenda all’epoca. Al dipartimento di medicina dell’Università di Dundee rimane il ricordo dei colleghi e la loro gratitudine per il lavoro svolto negli anni.
Angus Barbieri mantenne un peso forma per tutta la vita. La mattina dell’11 luglio 1966 al termine del digiuno, mangiò un uovo sodo, una fetta di pane e burro e bevve una tazza di caffè. Secondo un articolo apparso sul Chicago Tribune il 12 luglio 1966, raccontò che «il mio uovo mi è piaciuto molto e mi sento davvero pieno!». Angus Barbieri morì il 7 settembre 1990. Lasciò sua moglie, Mary Gentle, e i suoi due figli, Andrew e Fraser.
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