Nobel per la Pace 2018 per la lotta contro la violenza sessuale usata come arma
Il riconoscimento è andato a Denis Mukwege e Nadia Murad, che hanno messo a rischio la propria sicurezza per aiutare le vittime e far loro ottenere giustizia.
ATTUALITÀ- Dopo medicina, chimica e fisica è stato attributo anche il premio Nobel per la Pace. Il comitato del prestigioso riconoscimento lo ha consegnato a Denis Mukwege e Nadia Murad, per il loro instancabile sforzo nella lotta contro la violenza sessuale usata come arma, in guerra e nei conflitti armati.
Entrambi i vincitori hanno dedicato enorme impegno nel contrastare e far conoscere questi crimini di guerra, l’uno tutelando le vittime e l’altra come testimone per se stessa e le altre vittime colpite. Mukwege e Murad, con i loro preziosi contributi alla causa, hanno messo la propria sicurezza a rischio per aiutare le vittime e ottenere per loro giustizia.
La chiave in questa battaglia è stata proprio dare visibilità al problema, portando allo scoperto i colpevoli in modo che dovessero rispondere delle loro azioni. L’uso della violenza sessuale come arma è condannato chiaramente dallo UN Security Council, che nel 2008 l’ha dichiarato crimine di guerra e minaccia a pace internazionale e sicurezza. Servirsi della violenza sessuale è una violazione grave delle leggi internazionali.
Denis Mukwege
Mukwege è un medico e insieme al suo staff del Panzi Hospital, fondato nel 1999 a Bukavu, ha aiutato migliaia di vittime di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo. Il suo impegno lo ha reso un vero e proprio simbolo, a livello nazionale e internazionale, il cui pensiero si riassume bene nella sua frase “justice is everyone’s business” [la giustizia è una questione che riguarda tutti].
Il conflitto in atto era la sanguinosa guerra civile iniziata nel 1998 e costata la vita a più di sei milioni di congolesi; più volte Mukwege ha apertamente criticato il governo congolese e altri governi perché non facevano abbastanza per fermare la violenza contro le donne usata come “strategia” e arma bellica.
Nadia Murad
Murad è anch’essa un simbolo, oltre a essere una vittima, ed è membro della minoranza Yazidi dell’Iraq. Le donne che subiscono violenza restano in silenzio e la società richiede loro di chiudersi nella vergogna dell’abuso subito senza denunciarlo. Ma lei ha parlato, dimostrando un enorme coraggio nel parlare delle violenze sessuali subite da migliaia di donne e da quelle che ha subito lei in prima persona.
Era il 2014 quando lo Stato Islamico (ISIS) ha lanciato un brutale attacco sui villaggi del distretto in cui viveva con la sua famiglia, massacrando centinaia di persone. Le donne più giovani, bambine minorenni comprese, sono state catturate come schiave sessuali. Murad è stata violentata più volte e ha subito diversi abusi, comprese le minacce di morte se non si fosse convertita all’Islam predicato dai suoi rapitori.
L’esercito ISIS, secondo le stime più recenti, ha inflitto questi trattamenti a qualcosa come tremila donne, ragazze e bambine Yazidi, come parte della propria strategia militare. La prigionia di Murad è durata tre mesi, dopo i quali ha deciso di parlare per raccontare gli abusi subiti da lei e dalle altre donne. Nel 2016, quando aveva 23 anni appena, è stata nominata prima Goodwill Ambassador for the Dignity of Survivors of Human Trafficking.
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