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Conflitti di interesse e salute, un libro per capire meglio il rapporto tra medici e case farmaceutiche

Decifrare una condizione di conflitto di interesse è come scogliere un intrecciato gomitolo di lana. Per capire bene la questione, è importante non banalizzare.

In questi giorni è balzata di nuovo alle cronache, come avviene ciclicamente, la questione del conflitto di interesse in ambito biomedico. A riportare l’attenzione sulla faccenda è stata una puntata della nota trasmissione Le Iene, che metteva sotto i riflettori il presunto conflitto di interesse del Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi, che il 19 dicembre ha annunciato che lascerà la guida dell’istituto ben prima della naturale scadenza del suo incarico nell’agosto 2019.

La motivazione fornita è “per potersi dedicare pienamente all’attività di ricerca e accademica”, anche se non si esclude che al centro della decisione non ci sia anche un rapporto non felice con l’attuale governo. Non ci sono dunque relazioni con l’attacco mediatico subito.

La puntata de Le Iene ha lasciato nei giorni successivi una scia importante di commenti e considerazioni. In particolare, al centro della diatriba sono state le domande che la giornalista scientifica Amelia Beltramini, che da una vita si occupa di conflitti di interesse in ambito sanitario, ha sollevato dai microfoni del programma. A partire dal fatto che nelle pagine dell’ISS non è pubblicato un elenco completo dei conflitti di interesse del suo presidente, né questi ultimi sono stati elencati all’atto della nomina.

I file “trasparenza”

È stata l’occasione per leggere qualche considerazione puntuale sul problema molto più ampio dei conflitti di interesse in ambito sanitario, fra cui spicca quella di Salvo Fedele, pediatra ed esperto del tema, che sul suo profilo Facebook ha raccolto ordinatamente i noccioli della questione. In particolar modo in relazione alla logica degli ECM, i crediti formativi che ogni medico deve totalizzare ogni anno partecipando a corsi e seminari, che molte volte sono organizzati da realtà legate a Big Pharma.

Il post di Fedele, arricchito dagli utili commenti di Beltramini stessa e di altri esperti del problema, aiuta a comprendere meglio la complessità della faccenda e la difficoltà di fare un lavoro serio come quello svolto dalla giornalista intervistata, che si basa sulla consultazione dei file “trasparenza” presenti nei siti web delle varie aziende farmaceutiche dove si elencano (o si dovrebbero elencare) in dettaglio i pagamenti effettuati ai medici italiani.

“In questo genere di file trovate tutti i nomi dei medici italiani che sono stati pagati dall’industria? Non esattamente” scrive Fedele. “Trovate molte società che incassano e che non sappiamo come distribuiscono il denaro incassato. Alcune di queste società risultano organizzatrici di eventi ECM, altre titolari di ricerche scientifiche, altre si occupano di lobbying, ma l’elenco non è sempre riconducibile a queste semplici distinzioni: alcune società scientifiche incassano poco come società scientifiche, ma con lo stesso nome trovate SRL che incassano decisamente di più”.

Un libro per approfondire la questione

Questo dei crediti ECM è solo un esempio per capire da subito che decifrare una condizione di conflitto di interesse è come scogliere un intrecciato gomitolo di lana rimasto a lungo in fondo al baule. Proprio nelle settimane in cui Le Iene montavano la loro puntata, il Mulino pubblicava un piccolo libro, ma importantissimo dal titolo “Conflitti di interesse e salute. Come industrie e istituzioni condizionano le scelte del medico” scritto a sei mani da tre fra i maggiori esperti in materia: Nerina Dirindin, professore Scienza delle Finanze all’Università di Torino, Luca De Fiore, direttore de Il Pensiero Scientifico Editore e presidente dell’Associazione Alessandro Liberati Cochrane e Chiara Rivoiro, medico ed esperta di Economia e politica sanitaria.

Un libro che si prende il tempo per affrontare anzitutto il problema della definizione di conflitto di interesse, che non designa un comportamento specifico ma una condizione, per poi esaminare come questa condizione si declina nella ricerca scientifica, in ambito accademico, clinico e nella comunicazione.

Nell’obiettivo di spiegare ai non addetti ai lavori la varietà di declinazioni e di aspetti delle condizioni di conflitto di interessi (o di convergenza degli stessi), che rende banalizzante la generalizzazione, il binomio che il libro mantiene come sfondo è (1) evitare la facile equazione secondo la quale il conflitto di interesse è sempre foriero di comportamenti inopportuni; (2) evitare di assolvere chi ritiene che le relazioni con portatori di interessi diversi da quelli dei malati siano sempre e solo benefiche.

Ma se il CdI è una condizione e non un comportamento, che atteggiamento dobbiamo avere davanti a una situazione come quella descritta dal servizio de Le Iene? In questa direzione Luca De Fiore commenta per esempio a Salvo Fedele che “collaborare con industrie configura un CdI ma non una corruzione e che ‘dimenticare’ di dichiarare compensi può destare sospetti ma non è un’ammissione di colpa.”

Gli autori spiegano per esempio molto bene il ruolo che le riviste scientifiche più importanti giocano nella consapevolezza del problema, nello sdoganare comportamenti che non devono essere scontati. Gli esempi del British Medical Journal da una parte e del New England Journal of Medicine dall’altra mostrano chiaramente che non esiste oggi una posizione comune e condivisa sul problema, che rende estremamente complesso per un medico di medicina generale o per uno studente capire come agire al meglio.

I problemi sviscerati dagli autori sono diversi: dal reale pericolo di integrità, al reale problema della pubblicazione dei dati laddove lo sponsor della ricerca sia privato, a come l’ossessione dell’impact factor possa finire per premiare condizioni conflittuali. Senza dimenticare l’universo delle linee guida e –  come si accennava – il mercato della formazione continua del medico, a cui si lega la comunicazione scientifica interessata. Insomma: ogni storia va valutata nella sua peculiarità ed evitando banalizzazioni.

Sicuramente in questi giorni parleremo molto di questo tema. Ma non basta. È necessario che si parli di CdI non solo in relazione alle singole storie, ma come condizione intrinseca della nostra sanità. Il libro in questione è sicuramente un primo modo utile per iniziare a discutere con cognizione di causa.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.