STRANIMONDI

Black Mirror: Bandersnatch

Il nuovo episodio-film di Black Mirror, Bandersnatch, è stato pubblicato su Netflix il 28 dicembre 2018 e ha già fatto parecchio parlare di sé.

Bandersnatch è la prima puntata della serie Black Mirror dove l’utente non si limita a guardare, ma come in un libro game può fare delle scelte per indirizzare le azioni dei personaggi. L’andamento – e perfino la durata – dell’episodio cambiano, generando fino a cinque finali alternativi.

Colpo di genio? Manierismo? I commenti all’ultima novità legata a Black Mirror sono stati molto eterogenei: c’è chi ha urlato al miracolo ma anche chi è rimasto molto deluso.

La realizzazione tecnica

Le voci che volevano Charlie Brooker al lavoro su un prodotto interattivo da inserire nel progetto Black Mirror si inseguivano già da qualche mese. Allo stesso tempo c’era molta curiosità per capire come sarebbe stata la resa tecnica e la fruizione per lo spettatore. Non ci sono dubbi: l’esperienza interattiva funziona fluida e senza intoppi.

C’è solo una limitazione. A differenza del normale streaming, Netflix richiede la visione su smart tv, computer, tablet o smartphone, ma non consente la trasmissione tramite dispositivi connessi alla televisione come i Chromecast, perché evidentemente il passaggio e il caricamento di dati da trasmettere al dispositivo sarebbero stati troppi, rallentando la fruizione.

A parte questo, tutto fila liscio. Per fare la propria scelta si ha a disposizione qualche secondo, non troppi, ma sufficienti per non rallentare in modo innaturale la narrazione. Questo è un primo punto che denota la cura maniacale dei dettagli da parte degli sceneggiatori. Fin dalla prima scelta, ovvero due marche diverse di cereali per la colazione del protagonista, Stefan Butler (interpretato da Fionn Whitehead, già visto in Dunkirk).

Mentre noi – e di conseguenza lui – pensiamo a quale scegliere tra due tipi di fiocchi d’avena la scena non si blocca, ma il nostro interlocutore (il padre di Stefan) ci incalza e non si blocca in modo innaturale. Un piccolo dettaglio, ma che fa la differenza: tutto è stato pensato in modo estremamente curato. Questa caratteristica si trova puntuale a ogni bivio: le scelte sono realistiche, le reazioni di chi sta aspettando una nostra decisione sono parte integrante della nostra partecipazione.

La storia, scelte a bivi

La storia è molto semplice. Per la prima volta in Black Mirror l’episodio è interamente ambientato nel passato, più precisamente negli anni Ottanta. Stephan Butler è un giovane programmatore al lavoro sulla realizzazione di un videogame, Bandersnatch, tratto da un libro game omonimo. Sia il libro, sia il videogioco, sia l’episodio si chiamano Bandersnatch e, in tutti e tre i casi, il lettore, il giocatore e lo spettatore sono chiamati a fare scelte a bivi.

Nelle demo del videogame, mostrate nell’episodio, chi gioca si trova davanti a una schermata con due scelte che compaiono in una banda nera in basso, come succede a chi guarda l’episodio su Netflix.

Questo mostra una delle principali caratteristiche del film: è un’opera metanarrativa a più livelli, con continui rimandi ai vari piani della costruzione. Non mancano anche gli easter eggs e le citazioni interne alla serie (vedi alla voce “Metalhead”, “Nosedive”, “San Junipero”, “White Bear”). A seconda delle scelte che facciamo possiamo incappare in vicoli ciechi – e i personaggi a volte ce lo dicono direttamente, come a schernire chi guarda di aver preso una via sbagliata – o possiamo addentrarci in situazioni con esiti multipli, o ricorsivi, a seconda dell’opzione intrapresa.

Per buona parte dell’episodio sembra che ci sia una via maestra sulla quale gli sceneggiatori vorrebbero indirizzarci, ma sul finale le varie biforcazioni e le conclusioni alternative sembrano un po’ attenuare questa presunta corsia preferenziale.

Black Mirror siamo noi

Dare un giudizio qualitativo su questo episodio è difficile, e questo è già in partenza un punto a suo favore. Per provare a farlo occorre ripensarlo, rivederlo, analizzarlo, sminuzzarlo e ricomporlo. Black Mirror: Bandersnatch è riuscito a generare una vasta gamma di reazioni anche estreme e contraddittorie a partire da una storia complessivamente banale – una delle più banali della storia della serie – con personaggi nemmeno troppo curati e innovativi, anzi, decisamente ordinari.

Abbiamo il programmatore nerd solitario, l’altro programmatore nerd visionario e complottista, il padre retrogrado e antagonista, il classico capo ufficio, la psicologa d’ordinanza. Ma si esce finalmente anche dallo schema classico di Black Mirror che ormai iniziava a mostrare qualche crepa: inizio in medias res in uno scenario distopico, momento di crisi, soluzione, colpo di scena finale.

La distopia di Black Mirror: Bandersnatch a ben vedere siamo noi che guardiamo, che scegliamo, che in certi momenti ci sentiamo deus ex machina, e in altri invece ci sentiamo marionette nelle mani degli sceneggiatori che ridono di noi e delle nostre scelte di sceneggiatura. Queste sensazioni si alternano sapientemente di decisione in decisione fino a farci diventare direttamente personaggi dell’episodio. E questo, al di là di ogni possibile critica, è un pregio difficilmente sottovalutabile.

In questo senso, quando alcuni personaggi parlano con noi portandoci lì con loro – spiegarlo è difficile, ma se lo vedete capirete perfettamente il riferimento – l’esperienza visiva va al di là di mere scelte, libri game e bivi. Siamo davanti a qualcosa di più, a un’esperienza inclusiva che rende determinante anche quale marca di cereali mettiamo nella tazza col latte. Certamente Black Mirror: Bandernsnatch è manieristico, è un esercizio di stile, è pretenzioso, è bello e sa di esserlo, ammicca forse oltre il consentito, ma pazienza: nel bivio tra “vedere Black Mirror: Bandernsnatch” o “non vedere Black Mirror: Bandernsnatch” scegliete senza dubbio il primo e andate fino in fondo alla tana del Bianconiglio.

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.