Gaia, la mappa 3D della Via Lattea che ha cambiato l’astronomia
Continuiamo la rassegna delle 10 ricerche più importanti del 2018 che ci siamo persi parlando di spazio. Il satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea ha realizzato la più dettagliata mappa 3D della nostra galassia e terrà occupati i ricercatori per decenni
SPAZIO – Osservare la Via Lattea con un dettaglio mai raggiunto prima e realizzare un catalogo con libero accesso a tutta la comunità scientifica. Questo l’obiettivo pienamente raggiunto nel 2018 dalla missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea (ESA). Un risultato che ha portato alla creazione di una mappa tridimensionale formata da circa 1.7 miliardi di stelle che è destinata a cambiare la nostra percezione dell’astronomia e che promette di mantenere gli astronomi impegnati per decenni. Per oltre 1,3 miliardi di stelle ora gli scienziati conoscono la distanza dalla Terra, il colore, la velocità e la direzione del moto. Dati che permetteranno di testare i modelli e gli algoritmi e confermare, o smentire, ipotesi che vengono affinate ed elaborate da tempo.
Missione Gaia
La missione Gaia era stata lanciata nel tardo 2013, una sonda da 2 tonnellate per una missione da 1 miliardo di euro che ha iniziato la presa dati nel luglio 2015. Gaia è così entrata in un’orbita che rimane fissa relativamente sia al Sole che alla Terra. Questo le permette di effettuare misurazioni e di ripeterle per poter stimare attraverso la tecnica della parallasse sia la distanza delle stelle che di altri oggetti celesti. Nel suo database da 551 gigabyte si annidano i segreti della nostra galassia e i ricercatori della missione hanno raggiunto il loro scopo. Dopo un primo rilascio di dati parziale nel 2016, ma già fruttuoso, da aprile 2018 l’ESA ha rilasciato a disposizione dell’intera comunità scientifica una mappa 3D che copre un volume dello spazio mille volte superiore a qualsiasi altra mappa galattica mai realizzata.
Ad appena poche ore dalla messa online del nuovo e aggiornato catalogo, l’ESA su Twitter lo scorso aprile aveva annunciato che oltre 3mila visitatori da tutto il mondo avevano già scaricato dati. La missione si rivela così importante non solo per l’approccio “open” che privilegia la condivisione dei dati piuttosto che l’utilizzo per le scoperte del singolo team, ma anche perché in pochi mesi ha permesso di raggiungere importanti risultati.
Se infatti nei paper della missione Gaia i ricercatori si erano concentrati a spiegare come scaricare e utilizzare i dati per algoritmi che non attendevano altro che essere testati da anni, non fare scoperte era impossibile. Floor van Leeuwen, della collaborazione Gaia, ha spiegato: “Non era previso che facessimo scoperte, ma non abbiamo potuto fare a meno di farle”. E così osservando gli ammassi stellari, è stato scoperto che si gonfiano e lievitano quando una stella massiva finisce proprio nel loro centro.
In pochissimi giorni dal rilascio del catalogo, dozzine di nuovi articoli hanno iniziato a fioccare
C’è chi ha testato i modelli sulla formazione della Via Lattea dalla fusione di due piccole galassie, oppure chi ha misurato la distribuzione della materia oscura e ancora chi ha studiato l’evoluzione delle stelle quando si esaurisce la riserva di carburante nucleare. Denis Erkal, astronomo della University of Surrey di Guilford, nel regno Unito, ha utilizzato i dati di Gaia per stimare il peso della Grande nube di Magellano, la più grande galassia nana che orbita intorno alla Via Lattea. Proprio come il peso della Luna è stato misurato dagli effetti delle maree sugli oceani terrestri, così Erkal e colleghi hanno stimato il peso della nube dalle maree che induce sulle stelle della nostra galassia.
Tra queste poi ci sono scoperte le cui implicazioni vanno ben oltre la Via Lattea. Alcuni astronomi infatti si sono concentrati sulle misurazioni di un tipo particolare di stelle variabili che in cosmologia sono definite “candele standard” e vengono utilizzate come parametri fissi per determinare le distanze di oggetti celesti. Conoscendo infatti la distanza precisa delle candele standard, gli astronomi riescono a misurare galassie che sono molto più lontane. In particolare le candele standard si sono rivelate degli strumenti validi per stimare quanto velocemente l’universo si sta espandendo, ma i risultati ottenuti con il loro impiego hanno generato delle “tensioni”.
Il confronto infatti tra i dati raccolti con questo metodo e le stime della velocità di espansione dell’universo realizzate dalle mappe della radiazione cosmica di fondo (CMB), cioè il bagliore che proviene dal Big Bang, mostra delle contraddizioni. L’obiettivo di alcuni astronomi è dunque di migliorare la precisione delle candele standard dai dati di Gaia e poter determinare così se le contraddizioni restino oppure no.
Se la versione della mappa tridimensionale di Gaia rilasciata nel 2016 era decisamente parziale, quella del 2018 si è rivelata molto più promettente. Il satellite però resta in orbita e continua a scattare immagini della nostra galassia per un nuovo catalogo arricchito e che sarà rilasciato già nel 2020. Il prossimo passo dunque sarà quello di accedere a nuove e preziose informazioni che permetteranno ai ricercatori di affinare le tecniche di ricerca di esopianeti o di dare la caccia alle onde gravitazionali.
La missione Gaia si rivela di grandissima importanza non solo per l’osservazione delle stelle nella Via Lattea, ma anche per scopi “pratici”, come il monitoraggio di asteroidi e comete nella galassia e in particolare di tutti quegli oggetti celesti la cui orbita potrebbe entrare in collisione con la Terra. Una mappa tridimensionale che, inevitabilmente, cambia il nostro modo di fare astronomia e le nostre conoscenze.
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