Costante di Hubble: la tensione tra i dati di Planck e Hubble
La costante di espansione dell’universo non è la stessa secondo i dati: la tensione tra i dati del satellite ESA e del telescopio spaziale NASA divide gli scienziati.
Quanto velocemente si espande l’universo? Questa la domanda che si pose l’astronomo Edwin Hubble ormai quasi un secolo fa, osservando che le galassie si allontanavano dalla Terra in modo uniforme in tutte le direzioni. Più distanti sono le galassie, più velocemente sembrano allontanarsi dal nostro pianeta. Un’espansione indicata in cosmologia dalla costante di Hubble, ma il suo valore divide gli scienziati generando quella che viene definita una tensione.
I dati ottenuti dal telescopio spaziale Hubble della NASA differiscono da quelli ricavati dalle misurazioni della radiazione cosmica di fondo del satellite Planck dell’ESA, una differenza pari al 9% che non può essere spiegata come semplice errore sistematico tra i due diversi strumenti utilizzati.
I numeri di Planck e Hubble
I dati di Planck mostrano come era l’universo appena 378mila anni dopo il Big Bang, misurando la radiazione cosmica di fondo, cioè la radiazione fossile emessa dalla violenta esplosione da cui è nato il cosmo. Il valore determinato dagli scienziati è pari a 67 chilometri per secondo per megaparsec, una distanza pari a 3,3 milioni di anni luce.
Se si tiene conto degli errori associati alla misura, il valore più alto della costante di Hubble dai dati del satellite ESA è pari a 69 chilometri per secondo per megaparsec. Questo significa che per ogni 3,3 milioni di anni luce di distanza di una galassia da noi, questa si sta allontanando a una velocità che aumenta di 67 chilometri per secondo.
Le nuove misurazioni di Hubble hanno aiutato a ridurre la probabilità che la discrepanza tra i valori sia una coincidenza di 1 a 5mila. L’analisi dei dati raccolti negli ultimi sei anni ed eseguita dal team di ricercatori guidato da Adam Riess, dello Space Telescope Institute e della John Hopkins University di Baltimora, insieme a Stefano Casertano, ha portato alla determinazione di un valore per la costante di 73,5 chilometri per secondo per megaparsec, anche dall’incrocio con i dati del satellite ESA Gaia, come pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal.
Questo significa che le galassie si muovono oggi a una velocità che è maggiore rispetto a quanto osservato nell’universo primordiale. Una conferma alla discrepanza o tensione tra i valori della costante che suggerisce come sia necessaria una nuova fisica per spiegare la differenza di velocità di espansione.
Un errore?
Riess ha spiegato: “Entrambi i risultati sono stati testati in diversi modi, quindi escludendo una serie di errori non correlati. È sempre più probabile che questo non sia un errore, ma una caratteristica dello stesso universo”.
Gli scienziati hanno utilizzato un sistema di candele standard, cioè stelle che vengono utilizzato come metro di misura e permettono di ottenere delle misurazioni più accurate e precise delle distanze delle galassie. Le osservazioni di Hubble hanno permesso di estendere il numero di stelle di cui è stata determinata la distanza, soprattutto sono stati osservati oggetti fino a 20 volte più lontani da noi nello spazio rispetto ai precedenti.
Cosa c’è dietro alla tensione?
Il team guidato da Riess ha ipotizzato diverse spiegazioni per questa differenza osservata, tutti legati al fatto che il 95% dell’universo rimane un mistero fatto di materia oscura ed energia oscura. L’energia oscura, già nota per accelerare il cosmo, potrebbe avere un ruolo nell’allontanamento delle galassie l’una dall’altra con una forza maggiore o crescente. Quindi la costante di Hubble non sarebbe una vera costante, ma cambierebbe nel tempo e nel cosmo.
Un universo accelerato, dunque, che è valso a Riess e ad altri colleghi il Nobel per la fisica nel 1998.
Un’altra possibile spiegazione deriva dall’esistenza del neutrino sterile, una particella subatomica che viaggia a velocità prossime a quella della luce e che costituisce la cosiddetta radiazione oscura. Queste particelle prodotte dalle reazioni nucleari e dai decadimenti radioattivi viaggiano nel cosmo e al contrario di un neutrino, che interagisce solo attraverso la forza nucleare debole, quello sterile è influenzato solo dalla gravità.
Se invece la responsabile di questa discrepanza fosse la materia oscura, una forma di materia ad oggi invisibile che non è composta da protoni, elettroni e neutroni, questo significa che è in grado di interagire più fortemente di quanto non faccia la materia normale o la radiazione.
Ognuno di questi scenari potrebbe spiegare la tensione, ma allo stesso tempo darebbe una composizione diversa dell’universo primordiale e introdurrebbe delle incoerenze nei modelli teorici. Proprio queste incoerenze interferirebbero con le osservazioni del giovane cosmo, portando alla determinazione di un valore non corretto per la costante di Hubble.
Dalle stelle Cefeidi alle supernove, segnaposto cosmici
Per poter determinare con maggiore accuratezza il valore della costante, i ricercatori hanno dovuto realizzare una scala di distanza e rafforzarla con dati sempre più precisi nella misurazione delle distanze delle galassie. Per misurarle gli astronomi non possono certo utilizzare un semplice metro a nastro, per questo motivo sono state utilizzate come metro delle particolari stelle o supernova, una sorta di “segnaposto cosmici” o “candele standard” che permettono di misurare distanze enormi con precisione.
Tra le candele standard più affidabili vi sono un particolare gruppo di stelle pulsanti che brillano e poi si smorzano a una certa velocità. Si tratta delle stelle variabili Cefeidi, la cui distanza può essere determinata comparando la luminosità intrinseca nota con quella apparente osservata dalla Terra. Oggetti che si sono rivelati estremamente utili per la prima volta nel 1912, quando l’astronoma Henrietta Leavitt le ha utilizzate come metro galattico per determinare le distanze astronomiche.
La distanza di questi oggetti variabili viene determinata attraverso lo strumento geometrico della parallasse, cioè lo spostamento apparente della posizione di un oggetto rispetto al cambiamento di punto di vista dell’osservatore. Una tecnica inventata dagli antichi greci che è stata utilizzata per misurare la distanza tra la Terra e la Luna.
Dagli antichi greci alle moderne misurazioni di Hubble il passo è stato più o meno breve. Il telescopio spaziale ha misurato la parallasse di otto nuove Cefeidi nella Via Lattea, la nostra galassia, scoprendo che si tratta di oggetti 10 volte più lontane da noi di quelle studiate fino ad oggi. Queste stelle si trovano a una distanza che varia dai 6mila ai 12mila anni luce dalla Terra, ma pulsando a intervalli più lunghi nonostante la lontananza sono state più facili da osservare.
Le nuove candele standard usate dal team di Riess sono delle stelle esplosive, le supernovae di Tipo Ia, che brillano con luminosità uniforme tale da essere viste anche da relativamente più lontano. Basta pensare che con le precedenti osservazioni di Hubble era stato possibile studiare Cefeidi 10 volte più veloci nel lampeggiare, ma localizzate a distanze che variavano da “appena” 300 a 1600 anni luce dalla Terra.
Una scansione stellare
Misurare con precisione la parallasse non è stato un compito semplice e il team di scienziati ha sviluppato una tecnica che non era stata immaginata quando il telescopio Hubble è stato lanciato nello spazio. L’oscillazione apparente luminosa delle Cefeidi, legata al moto della Terra intorno al Sole, è minuscola: vale appena un centesimo di un singolo pixel sulla telecamera del telescopio, che equivale a misurare la dimensione apparente di un granello di sabbia che si trova a oltre 160 chilometri di distanza.
La tecnica di scansione utilizzata prevede che la posizione della stella sia misurata mille volte al minuto ogni sei mesi, per quattro anni. In questo modo gli astronomi hanno ottenuto una scia luminosa nel cielo che ha permesso di mettere a punto una calibrazione di otto stelle scelte come candele standard. Comparando infine la luminosità delle Cefeidi e delle supernovae in quella galassia è stato possibile misurare più accuratamente la luminosità intrinseca delle stesse stelle e dunque la distanza per centinaia di supernova in galassie lontane.
Non solo dunque una misurazione più precisa: usando sempre lo stesso strumento – la Wide Field Camera 3 di Hubble – gli scienziati sono riusciti a eliminare gli errori sistematici che vengono inevitabilmente introdotti quando si utilizzano differenti telescopi per acquisire dati dello stesso oggetto, che devono poi essere comparati tra loro.
Casertano ha spiegato che “se ogni sei mesi provi a misurare il cambio di posizione di una stella relativamente a un’altra a queste distanze, sei limitato dalla tua abilità di capire esattamente dove la stella si trovi”.
Utilizzando la nuova tecnica, Hubble insegue lentamente il suo obiettivo stellare e cattura l’immagine come una striscia di luce, come spiegato da Riess. “Questo metodo ci ha dato l’opportunità di misurare ripetutamente gli spostamenti estremamente piccoli dovuti alla parallasse. Così abbiamo osservato solo la separazione tra due stelle, ma migliaia e migliaia di volte, riducendo gli errori di misurazione”.
Da Hubble a Gaia: la necessità di una nuova fisica
Riess e i colleghi del team ribattezzato “Supernova H0” per l’equazione di Stato (Sh0es), non hanno ancora trovato una soluzione al problema della discrepanza.
Dal 2005 ormai il team lavora alla determinazione sempre più precisa del valore e nel 2018 una nuova risposta è arrivata anche dalle misurazioni del satellite dell’ESA Gaia, che ha realizzato la prima e più completa mappa della Via Lattea, con distanze dettagliate delle galassie e delle stelle al suo interno. I risultati di Gaia hanno portato al valore di 73,5 chilometri per secondo per megaparsec della costante di Hubble, confermando così che la discrepanza e la tensione con i dati di Planck non può essere né ignorata, né catalogata come un semplice errore statistico.
Ancora una volta, la risposta a questo problema che divide gli scienziati potrebbe essere in una nuova fisica per poter descrivere con accuratezza l’universo e i suoi misteri.
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