Pinguini, stelle di mare, balene. Come stanno gli animali delle aree polari?
Con l’aumento della temperatura dell'oceano Meridionale, molte specie si trovano ad affrontare nuove sfide. Ma alcune sono più vulnerabili di altre ai cambiamenti.
Creato dalla confluenza tra gli oceani Pacifico, Atlantico e Indiano, l’oceano Meridionale si estende tra il 60 parallelo Sud e le coste dell’Antartide. Spazzato dai venti più forti della Terra e preservato in parte dagli impatti delle attività umane grazie alla presenza del ghiaccio marino, comprende alcuni degli ecosistemi marini più incontaminati al mondo, abitati da comunità di organismi composte da un’alta percentuale di specie endemiche adattate a vivere alle basse temperature polari.
Parte integrante del sistema climatico terrestre, l’oceano Meridionale, così come gli altri oceani, ha assorbito calore e anidride carbonica, contribuendo a mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Secondo il rapporto IPCC Climate Change 2013: The Physical Science Basis questo ha determinato un incremento medio dell’acqua superficiale dell’oceano Meridionale di 1,9 °C dalla seconda metà del secolo scorso, e nello stesso tempo c’è stato un aumento dell’acidificazione, dovuto alla riduzione del pH causato dalle maggiori quantità di anidride carbonica disciolte.
Assieme all’aumento della temperatura atmosferica, questi fenomeni hanno già avuto conseguenze sugli ecosistemi marini e terrestri dell’Antartide e sugli organismi che ci vivono.
Valutazione ecologica dei rischi legati al cambiamento climatico
In uno studio pubblicato il 17 gennaio sulla rivista Frontiers in Marine Science un gruppo di scienziati del British Antarctic Survey ha usato delle tecniche di valutazione ecologica del rischio per individuare i principali cambiamenti ambientali nell’oceano Meridionale e in Antartide e valutarne gli effetti su 21 specie di invertebrati marini, 4 specie di mammiferi marini e 4 specie di pinguini.
Oltre all’aumento della temperatura dell’acqua e all’acidificazione, gli scienziati hanno individuato altri fattori principali di rischio, tra cui la riduzione della durata e dell’estensione del ghiaccio marino, il collasso delle piattaforme di ghiaccio terrestre e l’aumento delle precipitazioni nevose sul continente. Per ciascuna specie è stato attribuito un punteggio positivo (+1) o negativo (-1) secondo l’impatto, conosciuto o presunto, dei vari fattori ambientali.
Per la maggior parte degli invertebrati è stato riconosciuto almeno un fattore di rischio negativo, tra cui 10 dovuti all’aumento della temperatura dell’acqua e 10 all’aumento dell’acidificazione. Per 12 specie i ricercatori hanno invece attributo un impatto positivo legato alla diminuzione del ghiaccio marino, che dovrebbe far aumentare localmente la produttività primaria.
Considerando tutti le variazioni ambientali, per ricci di mare, stelle di mare, vermi, organismi gelatinosi e alcuni molluschi decapodi, il numero degli effetti considerati positivi è risultato superiore a quello degli effetti considerati negativi. Per 4 specie sono risultati altrettanti effetti positivi che negativi, mentre per 4 specie gli impatti negativi identificati sono più numerosi di quelli positivi. Tra queste ultime il krill antartico Euphausia superba, un crostaceo simile a un gamberetto che può arrivare fino a 6 cm di lunghezza e vivere fino a 6 anni e che costituisce la base delle reti trofiche nell’oceano Meridionale, essendo la preda principale di molte specie di balene, pinguini, pesci, e foche.
Per i mammiferi e gli uccelli marini, gli scienziati hanno considerato anche gli impatti ambientali indiretti, cioè mediati dalle reti alimentari, che sono risultati negativi per il pinguino imperatore, il pinguino di Adelia e il pigoscelide antartico, così come per le orche, l’otaria orsina antartica e la megattera. Questi impatti si aggiungono agli impatti diretti della perdita di ghiaccio marino, che costituisce la piattaforma su cui si riproducono i pinguini imperatore e quella sulla quale si riposano e passano l’inverno i pinguini di Adelia.
Perdita di biodiversità
Una delle novità di questo lavoro è di avere impiegato un metodo formale di valutazione del rischio che tiene conto di vari fattori ambientali. Uno dei limiti, è quello di avere dato ad ogni fattore la stessa importanza.
“Il prossimo passo sarà quello di assegnare un peso diverso ai diversi fattori e ai loro possibili impatti” dice in un comunicato Simon Morley, autore principale dello studio. “Per esempio la temperatura è un fattore che ha un grande impatto sugli organismi marini a sangue freddo [come gli invertebrati inclusi nello studio] ma per dire se i suoi impatti negativi saranno superiori agli effetti positivi della riduzione dell’estensione del ghiaccio marino è necessario avere più dati.”
Nella comunità scientifica c’è consenso sul fatto che l’aumento della temperatura del mare determinerà impatti superiori ad altri fattori. Uno studio, pubblicato nel 2017 sulla rivista Nature Climate Change, ha analizzato più di 900 specie di organismi bentonici, considerando la variazione del loro habitat in funzione di previsioni della temperatura dell’acqua di mare elaborate con modelli climatici.
Gli scienziati hanno trovato che alla fine del secolo ci sarà un incremento di 0,4 °C della temperatura dell’acqua a contatto con la piattaforma continentale antartica, e questo avrà un impatto sul 79% delle specie che sono oggi presenti. “Anche se all’inizio alcune specie potrebbero beneficiare del riscaldamento, le previsioni per il futuro sono cupe per molte specie d’invertebrati, dalle stelle marine ai coralli” aveva detto in un comunicato Huw Griffiths, ricercatore presso il British Antartic Survey e autore principale dello studio. “Quando sei adattato a vivere sul fondo dell’oceano più freddo e più a sud del pianeta non hai nessun posto dove andare a nasconderti se l’acqua in fondo all’oceano diventa più calda di anno in anno.”
Aree marine protette: possibile rifugio per i cambiamenti climatici
“Senz’altro l’aumento della temperatura del mare e le altre variazioni legate al riscaldamento terrestre determineranno un cambiamento della biodiversità” dice a OggiScienza Silvia Olmastroni, ricercatrice presso il Museo Nazionale dell’Antartide ed esperta di ecologia alimentare e dinamiche di popolazione del pinguino di Adelia.
“I cambiamenti oggi in atto avranno un impatto anche sui pesci antartici, molti dei quali hanno adattamenti specifici per vivere in acque fredde e a stretto contatto con il ghiaccio marino.” Come esempio la ricercatrice cita il Pleuragramma antarctica che, assieme al krill antartico, è una specie chiave dell’ecosistema dell’oceano Meridionale, costituendo una preda importante per pinguini, balene, foche e per pesci più grandi come l’Antarctic toothfish. Gli adulti di Pleuragramma non sono impattati direttamente dall’aumento della temperatura, ma la presenza del ghiaccio marino è necessaria per la schiusa delle uova e lo sviluppo delle larve.
Nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, la ricercatrice studia, sin dal 1996, i pinguini di Adelia nel Mare di Ross, l’ecosistema marino meno contaminato al mondo secondo uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista Science. Dopo anni di negoziazioni, che hanno visto opporsi interessi legati alla conservazione con interessi legati allo sfruttamento delle risorse ittiche, nel 2017 è entrata in vigore l’Area Marina Protetta del Mare di Ross, 1,55 milioni di km2 di cui 1,12 km2 con protezione integrale. L’area marina resterà in vigore per 35 anni, dopodiché dovrà essere negoziata ulteriormente.
“Il mare di Ross potrebbe essere un grande rifugio ecologico” dice la ricercatrice. “Infatti, questa è la zona dell’oceano Meridionale dove gli effetti del riscaldamento terrestre si faranno sentire più tardi che altrove. Per questo motivo è così importante proteggere questa zona dalla pesca del krill e dell’Antarctic toothfish.”
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