C’è un futuro oltre la distrofia di Duchenne
La storia di Luca, della sua grande famiglia, e di un papà che non ha mai smesso di credere in suo figlio. Oggi ha trent'anni e fa il grafico. "La cosa più importante è insegnare loro a essere indipendenti".
La cosa che più ha faticato a mandare giù è stata avere una farmacia piena di medicine da poter dare a chiunque, e non aver niente da dare a suo figlio. Eppure è andata così, uno strano gioco del destino quello di Filippo Buccella, farmacista, papà di Luca, un figlio affetto da distrofia di Duchenne. Luca oggi ha 28 anni e si è laureato al DAMS di Roma con il sogno di lavorare nel cinema, obiettivo che ha brillantemente raggiunto. “Se legge una qualsiasi nota stampa riguardante i film della Disney può star certa che l’ha scritta mio figlio” mi racconta Filippo.
Forse me lo dice subito per rassicurarmi del fatto che Luca è vivo e ha una vita piena, nonostante le tante difficoltà pratiche. Penso che forse è preoccupato dalla mia voce un po’ stentata mentre cerco di capire, con le mie sciocche domande, se quella terribile previsione inferta all’intera famiglia nel 1993 fosse stata corretta oppure no.
L’inizio, la diagnosi
Nel 1993 Filippo e sua moglie si recano dal medico perché Luca non sta bene, respira a fatica. Si pensa a qualcosa di passeggero e invece no: si tratta di distrofia di Duchenne, che all’epoca non dava spazio ad altre possibilità se non di vivere al massimo una ventina d’anni. “Vivete sereni quel che potete, ci è stato detto quel giorno, quando a distanza di un anno la diagnosi è stata confermata. Come se si potesse vivere tranquilli, accettare una sentenza del genere” racconta Filippo.
La distrofia di Duchenne è una delle peggiori fra le oltre 40 distrofie esistenti. Si può riassumere dicendo che chi ha questa malattia genetica più usa un muscolo e più lo consuma, fino a non poterlo usare più. A differenza delle persone sane il muscolo non si rigenera, e così si perde via via la capacità di camminare, di muovere le braccia e le mani, di tenere eretto il busto e di respirare.
Nel 1993 non c’erano speranze di contrastare questo lento declino, ma in 25 anni le cose sono cambiate, anche grazie a Filippo e alla sua famiglia. “Ancora Internet non era popolare come oggi, ma dopo la diagnosi inizio subito a mettermi in rete per cercare di capire se davvero non c’era nulla da fare – continua Filippo – e incontro per caso una mamma americana, Patricia Furlong, che in un solo anno aveva perso entrambi i figli, di 14 e 16 anni”.
La malattia si trasmette nella maggior parte dei casi da madre a figlio maschio, essendo legata al cromosoma X, anche se in alcuni casi la mutazione non è dovuta alla madre portatrice, come è avvenuto con Luca, che ha altri tre fratelli tutti senza distrofia.
“Pat Furlong nel 1994 ha fondato Parent Project USA e insieme a lei nel 1995 io ho fondato Parent Project Italia, cominciando a coinvolgere altre famiglie, ma anche specialisti, a organizzare incontri, a studiare la letteratura esistente, che cosa dicevano le ricerche sperimentali in atto. Abbiamo scoperto per esempio che il ruolo dello stretching e della postura era centrale nella progressione della malattia. I ragazzi finiscono per assumere posizioni irregolari che peggioravano le cose – continua Filippo. Si è iniziato a intravedere che c’era spazio per potenziare e migliorare la presa in carico anche con la fisioterapia mirata, ma nel mondo ancora non si parlava di linee guida per la gestione dei bambini malati di Distrofia di Duchenne”.
Fare rete
È proprio grazie alla spinta di Parent Project, agli anni di incontri organizzati e alla rete creata, che nel 2002 vedono la luce le prime linee guida. Ormai le evidenze che il trattamento precoce con cortisone, la fisioterapia e la prevenzione respiratoria facessero guadagnare anni di vita erano sempre di più, anzi: seguendo adeguatamente un bambino negli anni della pubertà, proprio nell’età del massimo sviluppo, sposta tutte le altre tappe di 2-3 anni e questo portavano a un ulteriore guadagno nella aspettativa di vita.
In questi stessi anni la ricerca sulla Duchenne ha fatto un altro passo in avanti decisivo: si è capito che i problemi cardiaci legati alla malattia erano sostanzialmente uno scompenso cardiaco e si è iniziato a somministrare ai pazienti adolescenti i giusti farmaci per il cuore, come gli aceinibitori e i betabloccanti. “C’era finalmente un farmaco che potevo dare a mio figlio – racconta Filippo.
In questo modo, lavorando anzitutto con la fisioterapia adeguata per portare i ragazzi all’adolescenza, e grazie ai farmaci per regolare la funzionalità cardiaca, c’erano tutte le premesse per concentrarci sul problema principale che rimane la funzione respiratoria. “Una persona con Duchenne, per esempio, non riesce a tossire in modo efficace, cioè non ha modo di espellere le secrezioni dai polmoni e dai bronchi, con il rischio alto di infezioni. Nonostante vi siano strumenti come la macchina della tosse che permette di simulare – appunto – l’atto della tosse, il rischio di infezioni respiratorie è il principale nemico per questi ragazzi. Un elemento centrale delle linee guida è infatti la necessità di recarsi ricorrere al ricovero in all’ospedale il meno possibile, e insegnare invece alle famiglie a gestire autonomamente i momenti di crisi.
Diventare adulti e soprattutto indipendenti
Mentre me la racconta, mi pare che la storia di Filippo e di Luca sia stata una staffetta, dove tanti passaggi arrivati l’uno dopo l’altro hanno permesso di tagliare il traguardo. Ma accanto ai passaggi sanitari ce ne sono stati altri, altrettanto importanti, che hanno permesso a Luca di essere oggi un adulto indipendente e soddisfatto di sé.
“La vera chiave di volta è stato non smettere mai di pensare che Luca ce l’avrebbe fatta e che valeva la pena fargli vivere una vita piena insieme ai i suoi fratelli. Hanno sempre frequentato gli scout per esempio, una scelta che è stata felicissima, perché non sono mai mancati gli amici, le persone a casa. Anche aver avuto altri fratelli ha sicuramente aiutato. La vita in famiglia è stata ricca, nonostante i momenti bui” mi racconta Filippo.
“Il problema si pone spesso per questi ragazzi nel momento per esempio della gita scolastica, perché ci sono scuole che non garantiscono la presenza di autobus con pedane e finisce che o devi pagare una tassa di iscrizione altissima, cioè accollarti tu le spese per il servizio, oppure tuo figlio resta a casa”. Non abbiamo ancora capito come rendere indipendenti i nostri figli disabili. Spronarli a studiare, a pensare di farcela, anche a vivere da soli è sicuramente quello che noi famiglie dobbiamo insegnare ai nostri figli. Ma sicuramente questo non si fa con i 750 euro al mese dell’indennità della Legge 104.”
La questione economica qui è centrale. I genitori di Luca hanno scelto di assumere una persona che viene quattro volte al giorno ad aiutare Luca a svegliarsi, mangiare, lavarsi e coricarsi. “Questa persona mi costa 1200 euro al mese – racconta Filippo – contro i 750 euro che Luca riceve come pensione. Lui fortunatamente lavora, ma sicuramente non è sufficiente a pagare l’intero stipendio dell’assistente e garantirsi una vita autonoma. Per non parlare dei vari strumenti tecnologici che bisogna pagarsi di tasca propria. Così come ci raccontava Laura a proposito della sclerosi multipla progressiva, è garantita una carrozzina ogni certo numero di anni, nel caso della Duchenne cinque anni.
“Chiaramente cinque anni nel periodo dell’adolescenza sono un’eternità. Ma se vuoi il meglio te lo devi pagare”. Luca per esempio oramai riesce solo a controllare il movimento della mano per pochi centimetri e utilizza un joystick speciale.
Anche qui c’è poi il problema che regione che vai usanze che trovi. Anzi, addirittura le differenze si riscontrano da ASL ad ASL. “Solo a Roma ci sono delle ASL che rilasciano erogano senza problemi la macchina della tosse, altre che non lo fanno e ogni volta è necessario fare denuncia ai carabinieri per ottenere quello che sarebbe un diritto. Lo stesso vale per la fisioterapia: in alcune ASL ti vengono assegnate tre sessioni alla settimana, in altre cinque al mese, senza una logica ne una regola.”
Luca lavora, ha studiato, è sempre stato circondato da amici, ma vive a casa dei genitori al momento, come quasi tutti i ragazzi affetti da Duchenne della sua età. “In Italia c’è molto l’idea che sia ovvio che un ragazzo non possa vivere da solo, ma io non la penso così” mi dice Filippo. “Io spero che presto Luca riesca a vivere per conto suo. Fortunatamente facendo il farmacista io posso aiutarlo in questo senso, ma non è questa la risposta. Non si cambierà mai davvero mentalità al nostro paese se non iniziamo a pensare ai disabili come a delle persone da rendere indipendenti al 100%”.
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