Grazie a CRISPR/Cas9, passi in avanti con la distrofia di Duchenne
Gli scienziati hanno fermato la progressione della patologia su modelli animali, sfruttando un virus per correggere la mutazione responsabile
SCOPERTE – Sfruttando la tecnica di editing del genoma CRISPR/ Cas9, i ricercatori dello University of Texas Southwestern Medical Center sono riusciti a interrompere la progressione della distrofia di Duchenne (DMD) in un modello animale, più precisamente in un gruppo di giovani topi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.
Questo tipo di distrofia, una malattia di tipo neuromuscolare, è la più comune e la più studiata tra le distrofie che colpiscono l’infanzia. Si presenta nei primi anni d’età dei bambini e colpisce principalmente i maschi (uno ogni 3500 – 5000), causando problemi nella deambulazione fino a una perdita di autonomia e, in seguito, la morte per problemi come cardiomiopatia. A oggi non esiste una cura ma solamente terapie che hanno permesso di aumentare di molto l’aspettativa di vita (intorno ai 30 anni). Portare la scoperta fatta grazie a CRISPR dai topi agli esseri umani potrebbe cambiare radicalmente il nostro modo di trattare la patologia.
La malattia è causata da una mutazione nel gene DMD che codifica per la distrofina, e siamo a conoscenza di questa causa genetica da almeno 30 anni. Sfruttando la tecnica di editing del genoma gli scienziati sono riusciti a correggere la mutazione in modo permanente, una strategia del tutto diversa da quelle sperimentate finora perché elimina alla radice la causa della malattia.
Sfruttando un virus adeno-associato chiamato AAV9, i ricercatori hanno fatto arrivare le componenti necessarie per l’editing del genoma nel corpo dei topi. In pratica, le hanno “impacchettate” all’interno del virus. I topi affetti da DMD e trattati con questa tecnica hanno prodotto la distrofina e mostrato un miglioramento nella struttura e nella funzione dei muscoli scheletrici e nel miocardio, quelli colpiti dalla patologia. Il virus AAV9 è particolarmente indicato a questo scopo, perché riesce ad agire a livello specifico nei tessuti interessati, arrivando proprio dove i ricercatori lo vogliono senza causare malattie o tossicità.
“È un missile molecolare per le terapie genetiche”, commenta in un comunicato Leonela Amoasii, tra gli scienziati che hanno lavorato alla ricerca, e che insieme alla collega Rhonda Bassel-Duby vede questo passo in avanti come un solido tassello verso una cura della patologia, anche se ovviamente ci vorrà del tempo. Come fanno notare gli autori, un altro aspetto interessante è che questa stessa tecnica di impacchettamento, all’interno di virus non patogenici, può essere usata per agire su un gran numero di altre mutazioni coinvolte nella DMD umana. Al momento il progetto di studio continua e il team sta lavorando per applicare la tecnica su cellule (prelevate da pazienti affetti dalla distrofia) e su campioni più ampi di modelli animali, per consolidare i risultati preclinici.
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