Antibiotico-resistenza: Italia al primo posto nell’area OCSE per mortalità e anni persi in salute
La percentuale di infezioni resistenti è raddoppiata in 10 anni e quasi 11.000 italiani muoiono ogni anno a causa di un'infezione di uno degli otto batteri resistenti.
Allarme sempre più rosso. Secondo le stime proposte recentemente da OCSE in dieci anni in Italia la proporzione di infezioni resistenti agli antibiotici è praticamente raddoppiata, crescendo dal 17% del 2005 al 30% del 2015, mentre la media europea è passata dal 14% al 17%. Siamo al primo posto di tutte le tristi classifiche: per tasso di mortalità per antibiotico resistenza, per anni di vita persi in salute, per giorni extra di ospedalizzazione dovuti a questo problema.
Parliamo di 10.780 italiani deceduti ogni anno a causa di un’infezione da uno degli otto batteri antibiotico resistenti e si ritiene che nei prossimi 30 anni moriranno per questo motivo 450 mila persone. Per fare un paragone si tratta di un italiano attualmente vivente su 130.
Nei paesi in via di sviluppo le cose vanno ancora peggio: la resistenza è già elevata e si prospetta crescerà a gran velocità. In Brasile, Indonesia e Russia per esempio fra il 40% e il 60% delle infezioni sono attualmente resistenti ai farmaci. Percentuali ben distanti dal 17% della media OCSE.
Eppure, secondo il modello utilizzato dagli esperti OCSE, tre su quattro di queste morti sarebbero evitabili con soli due dollari investiti a persona all’anno per potenziare le misure di prevenzione basate sull’igiene, su campagne mediatiche di promozione di buone pratiche, su una diagnostica più efficace e – elemento cruciale – su una prescrizione finalmente più prudente degli antibiotici.
L’Europa Meridionale è drammaticamente interessata da questo fenomeno: oltre all’Italia, anche la Grecia e il Portogallo sono in cima alla lista dei paesi OCSE per il tasso di mortalità da AMR.
L’Italia in particolare è al primissimo posto nell’area OCSE – Stati Uniti compresi – per tasso di mortalità da qui al 2050: 18 decessi su 100 mila persone, contro gli 8 di Stati Uniti e Francia, i 6 della Polonia, i 3 del Regno Unito e i 2 per 100 mila della Germania. Nel complesso sarebbero 2,4 milioni le persone interessate in trent’anni fra Europa, Nord America e Australia. Per quanto riguarda i consumi di antibiotici in termini di dosaggio giornaliero ogni 1000 abitanti, ci collochiamo in ottava posizione con 24 DDD (dato 2016).
Secondo le stime, in Italia, un pacchetto di azioni di questo tipo potrebbe evitare 8.800 morti e far risparmiare 466 milioni di euro ogni anno. Ogni euro investito in una migliore igiene delle mani – il fattore più importante per diminuire le infezioni ospedaliere – produce un ritorno di 2,6 euro, mentre ogni euro speso per programmi di stewardship che promuovano l’informazione sugli antibiotici e la razionalizzazione della prescrizione fra il personale sanitario si tradurrebbe in 1,6 euro guadagnati.
Per fare un paragone, OCSE stima che le complicanze dovute all’antibiotico resistenza potrebbero costare 3,5 miliardi (non milioni!) di dollari ogni anno, considerando tutti i 33 paesi inclusi nell’analisi. Solo all’Italia costerebbe secondo OCSE 13 miliardi di euro nei prossimi trent’anni.
Stiamo facendo abbastanza? Ni, dice OCSE. L’Italia ha un piano nazionale multi-settoriale che riflette il piano d’azione globale dell’OMS. In linea con la maggior parte dei paesi, l’Italia ha un piano operativo ed un sistema di monitoraggio.
Eppure non tutte le strutture sanitarie hanno implementato un programma di stewardship antibiotica e in genere le campagne informative sono mirate soltanto su alcuni gruppi, che ci colloca in posizione svantaggiata rispetto quanto già attuato dalla maggior parte dei paesi OCSE.
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