A Play Modena l’incontro tra astrofisica e giochi da tavolo
Arrivato all'undicesima edizione, il festival del gioco italiano aveva come tema la corsa allo spazio. In primo piano: lo sbarco sulla Luna.
Come sempre, il Play Festival del Gioco di Modena è un terreno fertile per noi appassionati di mondi strani. Quest’anno il più grande festival del gioco italiano – che si è svolto dal 5 al 7 aprile ed è giunto alla sua undicesima edizione – aveva come tema la corsa allo spazio e celebrava un importante anniversario scientifico: lo sbarco sulla Luna.
L’esplorazione dello spazio è molto presente su plance e carte da gioco – basti pensare ai tanti titoli ambientati su Marte come Terraforming Mars (Ghenos Games) e First Martians (Pendragon Game Studio), ispirati da film come The Martian e dalle importanti scoperte scientifiche realizzate di recente sul Pianeta Rosso – ma l’interesse di Andrea Ligabue, direttore artistico di Play, non si è limitato al riconoscimento di un trend ludico. “Lo spessore culturale dell’evento si è ulteriormente arricchito, grazie a convegni di alto profilo, a ospiti di fama internazionale e anche alla preziosa e riuscita collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, che ha dimostrato quanto gioco e ricerca possano essere vicini tra loro”, ha dichiarato Ligabue, riferendosi ai tanti eventi targati INAF che si sono svolti nei tre giorni di fiera. Uno di questi, Astrofisica in gioco – l’esplorazione dello spazio fra gioco e divulgazione, ha coinvolto nomi di alto profilo sia del mondo dell’astrofisica sia di quello del game design, e anche noi di Stranimondi.
“Mi hanno fatto giocare a Terraforming Mars e, per quanto fantascientifico, l’ho trovato scientificamente plausibile”, ha detto Roberto Orosei, ricercatore all’INAF e coordinatore del gruppo che ha scoperto acqua liquida nel Polo Sud di Marte. “Mi sono divertito molto, anche perché a un certo punto ho addirittura potuto schiantare Deimos sulla superficie marziana, il che, lo confesso, mi ha dato molta soddisfazione”. Orosei ha parlato dell’importanza di una buona comunicazione della scienza nel superare certi stereotipi sui ricercatori – spesso visti come persone un po’ strambe che vivono rinchiuse nei loro laboratori – e nel suscitare interesse e curiosità verso la ricerca e i suoi risultati. “In questo senso, anche un gioco che introduce termini e concetti scientificamente accurati può essere un ottimo strumento comunicativo”.
Lo sa bene Mario Sacchi, cofondatore della casa editrice ludica Post Scriptum, che ha curato la realizzazione di due giochi a tema spaziale dove la scienza svolge un ruolo importante (dei quali abbiamo già parlato qui su Stranimondi). “S.P.A.C.E., realizzato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana, nasce come un gioco pensato per studenti di medie e superiori. Il suo obiettivo è insegnare qualcosa sul Sistema Solare ma senza ricorrere a quiz o testi didascalici che si trovano in molti giochi didattici, puntando invece su meccaniche divertenti e informazioni semplici ma utili per vincere”, ha spiegato Sacchi. “Con Kepler-3042 invece l’approccio è stato diverso: è un gioco molto più fantascientifico, ambientato in un lontano futuro, ma abbiamo inserito diversi particolari e alcune regole solo perché volevamo che la scienza fosse credibile”.
Giocare può anche essere un modo per entrare nella testa di un ricercatore. È l’idea al centro di Tinkerspace, spazio ludico-didattico coordinato da Sara Ricciardi, ricercatrice INAF a Bologna e appassionata di pedagogia. “Due aspetti centrali del nostro lavoro sono l’incertezza, con la quale noi scienziati dobbiamo sempre fare i conti, e la dinamica stessa della ricerca, che non si basa sull’intuito alla Sherlock Holmes come spesso si vede nei film, ma su prove ed errori”, ha spiegato Ricciardi. “È un processo che può essere frustrante e richiede molta determinazione, ma che è fondamentale per affinare la propria ricerca e ottenere dei risultati, specie quando ci si avventura in ambiti poco esplorati”.
“Ecco perché una caratteristica fondamentale per fare ricerca è la resilienza, la capacità di superare i tanti momenti di difficoltà senza perdersi d’animo”, ha aggiunto Orosei. “Sarebbe interessante vederla trasposta in un gioco”.
“L’incertezza è un elemento molto interessante dal punto di vista ludico”, ha commentato Andrea Crespi, game designer che ha riversato la sua passione astronomica in giochi come 1969 e Apollo XIII. “In 1969 ho cercato di riprodurla con alcuni tiri di dado necessari per stabilire il successo o meno di una missione di addestramento e collaudo; è possibile cercare di controllare questo elemento di casualità tramite la gestione dei propri ricercatori e dei propri investimenti ma, come nella vita reale, è impossibile prevedere tutto. Il trial-and-error invece è più difficile da rendere in termini di meccaniche ludiche perché il rischio è di generare frustrazione, che può essere un problema per molti giocatori. Però potrebbe essere interessante ragionare su quel qualcosa di nuovo che si impara a ogni tentativo per provare a introdurre questo processo in un gioco da tavolo”.
“La cosa importante è riuscire a innescare quell’effetto wow che invoglia a giocare e che può nutrirsi del senso di meraviglia evocato da stelle, orbite e galassie”, ha sottolineato Sacchi. Un ‘effetto wow’ che nella ricerca, come ha spiegato Orosei, non è un qualcosa di immediato ma che si costruisce gradualmente, pezzo per pezzo, fino ad arrivare alla gratificazione finale.
Grazie a questa serie di botta e risposta fra scienziati e autori – dai quali traspare la passione come elemento comunque a scienza e game design – l’evento diventa una sorta di brainstorming su come la scienza potrebbe trarre vantaggio dai giochi per trasmettere contenuti scientifici e, viceversa, su come i game designer possano trarre spunti da questi contenuti per sviluppare nuove meccaniche ludiche. In questo scambio di idee, emerge anche un’importante osservazione di Sara Ricciardi sul problema del gender gap nella scienza; anche questo aspetto, secondo la ricercatrice, meriterebbe di essere rappresentato in un gioco per promuovere la sensibilizzazione su questo tema.
Esperimenti in questa direzione sono già stati tentati e a tal proposito vale la pena citare uno dei titoli più attesi di questa edizione di Play (benché incentrato sull’ornitologia e non sull’astrofisica): Wingspan (Ghenos Games), realizzato da Elizabeth Hargrave e illustrato da Natalia Rojas, Ana Maria Martinez Jaramillo, e Beth Sobel. Un cast tutto al femminile per un titolo di cui ha parlato anche il New York Times, e che potrebbe segnare un significativo punto di svolta contando che le autrici di giochi sono una rarità, ma che il vento sta chiaramente cambiando.
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