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Movimenti collettivi, la perfetta coordinazione degli animali

Banchi di pesci e stormi di uccelli possono muoversi in modo incredibilmente sincronizzato, come una coreografia. Gli scienziati studiano questi movimenti, per capire perché si siano evoluti e come fanno gli animali a comunicare tra loro.

Fotografia di Alessandro Duci, acciughe nel mar Ligure

I movimenti di alcuni gruppi di animali possono sembrare una coreografia di danza: le evoluzioni in volo di determinate specie di uccelli e negli sciami degli insetti, in acqua per i pesci e alcuni cetacei, la sincronizzazione del movimento di branchi di zebre, bufali o animali domestici quali le pecore. Si tratta di quelli che vengono definiti “comportamenti collettivi”, comportamenti sociali con più di un interattore, nei quali i singoli individui si uniscono per aggregazione non casuale e compiono movimenti coordinati anche molto complessi. Coordinati, sì, ma non necessariamente da un leader, perché i movimenti collettivi di un gruppo di storni in volo o di un banco di acciughe non seguono regole di gerarchia; sono piuttosto basati su processi di “auto-organizzazione”, ovvero un coordinamento decentralizzato che si basa su regole di comunicazione locale semplici ed efficaci.

Per i biologi e gli ecologi del comportamento (ma non solo), è un ambito di ricerca affascinante: perché si sono evoluti comportamenti così sofisticati da far apparire il gruppo come un super-organismo con un’intelligenza collettiva? Come riescono gli animali a coordinarsi così velocemente e in quali contesti lo fanno?

L’esempio dello storno

In termini di strategie anti-predatorie, il raggruppamento degli animali presenta diversi vantaggi. «Innanzitutto per ragioni prettamente statistiche, perché nel gruppo diminuisce per i singoli la probabilità di essere catturati e l’area sulla quale possono essere attaccati», spiega a OggiScienza Claudio Carere, biologo del comportamento all’Università della Tuscia e autore di uno studio condotto con colleghi olandesi dell’Università di Groninga sui comportamenti di fuga collettivi nello storno (Sturnus vulgaris), un passeriforme molto diffuso in Italia.

Secondo la teoria dei molti occhi (many eyes hypothesis), il raggruppamento coordinato permette un’individuazione e una comunicazione più rapida di eventuali minacce e – per un effetto di “confusione”- il predatore avrà più difficoltà a selezionare la preda nella massa in fuga. «Quando un falco attacca un gruppo di storni, quest’ultimo reagisce quasi istantaneamente assumendo le forme più disparate, dalla flash expansion (gli uccelli che si allontanano l’uno dall’altro) al ‘vacuolo’ (punti ad alta densità e altri vuoti), alla frammentazione coordinata in gruppi più piccoli seguita da nuove fusioni in un unico stormo.

Uno stormo di storni che si cimenta nel “vacuolo”. Foto di Claudio Carere e Francesca Zoratto

Si tratta di forme complesse, e gli studi sui movimenti collettivi hanno messo in luce che per coordinarsi i singoli devono obbedire a regole semplici che possano propagarsi in un gruppo anche molto ampio sulla base di fluttuazioni locali, perché gli stormi possono essere anche di migliaia di metri cubi. Ad esempio, nel caso degli storni, il richiamo d’allarme: non un canto elaborato bensì una vocalizzazione semplice e d’immediata propagazione. Si può fare il paragone con un plotone militare, nel quale i movimenti non sono comunicati con un “Adesso partite e girate tutti a destra” ma con un ben più rapido “Marsh, destr!”».

Le vocalizzazioni possono essere diverse in intensità e durata a seconda del segnale che si vuole mandare e possono avere una valenza inter-specifica, ossia essere sfruttati anche da altre specie. Gli storni, ad esempio, possono accorgersi dell’arrivo del falco dal grido di allarme di una taccola nei paraggi che lo ha scorto prima di loro.

«L’altra regola che permette il coordinamento del gruppo è “Fai quello che fa il tuo vicino“. Non è una regola scontata perché, anche se noi siamo abituati a pensare al gruppo in termini umani e ragionare sul gruppo bidimensionale, stormi di uccelli, banchi di acciughe o gruppi di moscerini vanno visti in maniera tridimensionale. Il gruppo ha un volume e il singolo individuo si interfaccia con i compagni sopra, sotto, a destra e a sinistra con tutti i canali sensoriali. Si è ipotizzato che gli storni interagiscano con sei-sette compagni, che formano l’unità minima di comunicazione. Ogni individuo deve allineare il suo volo con i vicini, evitando le collisioni, seguendo regole di allineamento e repulsione», continua Carere.

«Il concetto fondamentale è che le proprietà del gruppo alla fine non sono la somma delle proprietà dei singoli ma proprietà emergenti, ossia derivate dalla collettività».

Convergenze evolutive

Carere e i suoi colleghi hanno analizzato gli schemi di fuga che un gruppo di storni può esibire in presenza di un falco, filmando gli eventi di attacco e la risposta del gruppo nell’area urbana di Roma nel corso di due inverni. Hanno così identificato sei modelli di comportamento collettivo in risposta alla predazione, il più frequente dei quali è il blackening, o l’addensamento dello stormo. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che il pattern di comportamento collettivo esibito è strettamente dipendente dall’intensità della minaccia: in assenza del falco, gli storni mantengono distanze ampie l’uno dall’altro; se il predatore è nei dintorni o li sta seguendo, tenderanno a raggrupparsi (blackening) o a fare le “onde di terrore”, il cosiddetto wave event, nel quale bande più dense si propagano lungo lo stormo con un meccanismo che probabilmente implica rapidi movimenti a zig-zag dei singoli individui.

Infine, durante l’attacco vero e proprio, lo stormo va incontro alla flash expansion: gli individui si allontanano radialmente l’uno dall’altro, poi fanno movimenti di split formando piccoli gruppi.

«È la risposta più estrema alla predazione del falco, ed è esattamente ciò che il falco vuole: disperdendo lo stormo in piccoli gruppi, gli sarà più facile catturare la sua preda», spiega Carere. «E infatti i gruppi di storni sono molto resistenti alla flash expansion e allo split: il falco può passare anche decine di minuti cercando di disperdere il gruppo senza riuscirci. E, quando e se ci riesce, gli uccelli riformano lo stormo molto rapidamente».

I modelli di comportamenti collettivi studiati da Carere e dai suoi colleghi, così come la forte resistenza alla dispersione del gruppo, sono simili a quelli già osservati nei banchi di pesci, come le acciughe predate dai tonni. Nonostante la complessità, quindi, queste dinamiche sottostanno a regole generali selezionate nel corso dell’evoluzione. «Anche se conosciamo le pressioni selettive che queste specie subiscono, non è ancora chiaro quali siano i meccanismi che gli individui adottano per ottenere certi comportamenti collettivi, perché è tecnicamente difficile rilevare con esattezza il comportamento a livello dei singoli individui in stormi immensi magari a centinaia di metri di altezza », spiega il ricercatore.

Lo studio dei movimenti collettivi

Lo studio dei comportamenti collettivi non è comunque limitato agli animali non umani. Queste dinamiche auto-organizzate sono infatti indagate anche nella nostra specie, come fenomeno sociale ed economico. Il progetto StarFlag, condotto tra il 2005 e il 2008 e coordinato dal fisico Giorgio Parisi, ad esempio, ha unito scienziati di diverse discipline per studiare i meccanismi di auto-organizzazione negli storni e svilupparne dei modelli accurati con cui lavorare in altre discipline. I gruppi umani mostrano comportamenti collettivi auto-organizzati in diversi contesti, dall’applauso spontaneo alla fine di uno spettacolo alla nascita di mode fino agli affollamenti sebbene, come fanno notare i fisici Andrea Cavagna e Irene Giardina in un saggio pubblicato sul sito Treccani, vi siano alcune importanti differenze rispetto a quanto osserva nelle altre specie in natura.

Un’altra più recente applicazione dei modelli dei movimenti collettivi degli animali è nella robotica: un articolo pubblicato su Science Robotics nel 2018, ad esempio, descrive l’utilizzo di un algoritmo di controllo decentralizzato per il movimento di un gruppo di trenta droni autonomi.

Per studiare queste dinamiche, i ricercatori ricorrono sia alla ricerca sul campo sia ai modelli matematici e alla simulazioni al computer; lo sviluppo dei droni, inoltre, può presentare diversi vantaggi per l’analisi dei comportamenti collettivi nel mondo animale. Sono stati infatti in corso di sperimentazione droni praticamente indistinguibili dal vero predatore (qui un esempio per il falco) anche nelle dinamiche di volo e di caccia, che, manovrati dall’operatore a terra, possono fornire video-riprese fini del comportamento delle prede al livello del singolo individuo durante una sequenza di caccia, oltre ad avere un’importante valenza pratica, come nel caso dei falchi robotici utilizzati per allontanare gli uccelli dagli aeroporti per evitare collisioni con i mezzi.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.