VITE PAZIENTI

Talassemia: l’offerta terapeutica non è uguale in tutta Italia

Visite specialistiche periodiche, trasfusioni ogni 20-25 giorni, prelievi. Le differenze regionali per terapie e presa in carico sono ancora importanti, ma rispetto ad altri Paesi ce la caviamo molto bene.

Valentino oggi ha 60 anni, e sento chiaramente l’entusiasmo con cui mi racconta di essere da poco diventato nonno. Convive con la talassemia da sempre senza particolari problemi. Percepisco quello spirito emiliano che sa alleggerire i problemi anche più pesanti. Avere la talassemia è un lavoro, fra visite specialistiche periodiche, prelievi, trasfusioni ogni 20-25 giorni, ma fortunatamente, con una buona presa in carico, si può vivere una vita lunga e piena.

“Quando ero piccolo, negli anni Sessanta, la talassemia non era molto nota in ambito medico. Tante famiglie vedevano il proprio figlio o la propria figlia sempre molto pallidi e la soluzione dei medici era di portarci in montagna o al mare, per buon ossigeno” mi racconta ridendo Valentino. “Io stesso sono stato diagnosticato solo a sei mesi, perché ho avuto la fortuna di essere portato prima all’Ospedale da Ortolani in Ferrara, e poi a Roma, da quelli che allora erano i principali specialisti in grado di diagnosticare la malattia”.

L’organismo di un talassemico non riesce o non riesce completamente a sintetizzare l’emoglobina, con un conseguente difetto di trasporto dell’ossigeno. Se non viene trattata adeguatamente, la malattia porta a delle complicanze che possono interessare diversi organi. Esistono alcuni  tipi di talassemia, la più diffusa delle quali in Europa è la beta talassemia, detta per questo anche “anemia mediterranea”. Sono 7.000 i malati italiani di talassemia e circa un migliaio di queste persone sono affette da drepanocitosi, conosciuta anche con il nome di anemia falciforme.

L’offerta terapeutica non è completa ovunque

Valentino, che oltre a essere un paziente è Presidente di UNITED, Federazione Nazionale delle Associazioni che riguardano Talassemia, Drepanocitosi e Anemie rare, mi spiega che – rispetto ad altri paesi – la talassemia in Italia è gestita mediamente molto bene. Il Servizio Sanitario Nazionale copre tutte le spese necessarie, inclusi i farmaci chelanti per il ferro.

“Eppure non mancano le differenze, anche immense e a livello regionale, nella presa in carico. Le linee guida parlano chiaro: il talassemico oltre alle trasfusioni periodiche e ai farmaci dovrebbe sottoporsi a visite specialistiche, tra cui la risonanza magnetica per determinare i depositi di ferro nel fegato, ma anche esami al cuore, al pancreas, organi potenzialmente più vulnerabili a causa della malattia. Eppure non in tutti i centri viene offerto tutto questo al malato. In diversi casi ci si limita alla trasfusione”.

Valentino, che ci racconta la sua vita con la talassemia, è il presidente di UNITED.

Le Regioni che si sono organizzate con proprie reti Hub per le emoglobinopatie (i disordini genetici legati alla sintesi dell’emoglobina, che trasporta ossigeno nel sangue) si confrontano periodicamente per monitorare i propri servizi e capire insieme come applicare le migliori prese in carico e cure. “Il problema è che non tutte le regioni sono in rete. Stiamo lavorando come Federazione United anche in questa direzione, per assicurare a tutti i pazienti, da nord a sud la stessa offerta di cura e di presa in carico”.

Due nuovi studi

Per la talassemia non ci sono attualmente cure definitive, anche se proprio all’inizio di aprile il Centro di cura delle Talassemie ed Emoglobinopatie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Vanvitelli di Napoli ha portato alcuni risultati promettenti di due importanti sperimentazioni, pubblicati rispettivamente su Blood e su Nature Medicine. Il primo studio riguarda un farmaco la cui somministrazione per via sottocutanea ogni tre settimane ha aumentato i valori di emoglobina e ridotto la necessità di trasfusioni. Il farmaco ha ricevuto la denominazione di farmaco orfano ed è in via di sviluppo sia per la talassemia che per le sindromi mielodisplastiche (MDS).

La seconda speranza arriva invece dalla terapia genica. Un team dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano (SR-Tiget), ha ottenuto buoni risultati prelevando le cellule ematiche del paziente, modificandole in laboratorio e re-infondendole nel paziente stesso una volta corrette. Gli adulti trattati, a quasi tre anni distanza, hanno riportato una riduzione significativa del numero di trasfusioni necessarie alla gestione della malattia e in alcuni pazienti più giovani si è raggiunta addirittura la totale indipendenza dalle trasfusioni.

Attualmente sono circa 7.000 i malati di talassemia a sistema in Italia e la stima è molto vicina alla realtà, conferma Valentino. Anche grazie al lavoro della Federazione United, aggiunge, è ora in corso la messa a punto di un primo registro nazionale di patologia, per avere il numero esatto dei malati, di quanti talassemici nascono e di quanti ci lasciano ogni anno. “Rispetto a un tempo, oggi è possibile sapere in gravidanza se il bambino sarà talassemico oppure no. Oggi sono poche le nuove nascite di bambini malati grazie a questi test diagnostici che si possono eseguire in gravidanza. Trattandosi di una malattia ereditaria, due portatori sani possono nel 25% dei casi avere un bambino malato, nel 25% sano e nel 50% dei casi a sua volta portatore”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.