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Fumo di narghilè, una tossicità da non sottovalutare

Fumare il narghilè fa male? Gli effetti sulla salute sono paragonabili a quelli delle sigarette, ma viene percepito come meno pericoloso e attira così anche i non fumatori.

Fumare il narghilè fa male? Molti lo percepiscono come un fumo “più leggero”, ma un’ora di pipa ad acqua può equivalere a 100 sigarette.

Quando si pensa ai danni del fumo (anche passivo) la mente corre a sigarette, sigari, pipe, alle sempre più diffuse e-cigarette e ai riscaldatori di tabacco. Quasi sempre ci si dimentica di un altro tipo di fumo voluttuario: il narghilè o pipa ad acqua, noto anche con il nome di hookah. Si tratta di uno strumento antico e, anche se la sua storia non è del tutto nota, la sua tradizione è nata nel subcontinente indiano e nelle regioni orientali del Mediterraneo. Oggi è diffuso anche nei Paesi occidentali e negli Stati Uniti: secondo un articolo pubblicato sulla rivista Tobacco Control nel 2018, le ragioni del suo successo sono legate a un insieme di fattori, tra cui gli aromi accattivanti che vi possono essere aggiunti, una maggior accettabilità sociale, ma anche politiche permissive sul suo utilizzo e una generale sottostima dei suoi effetti tossici.

Gli effetti tossici del narghilè

Fumare il narghilè fa male? Sono ormai molti gli studi, in letteratura, che evidenziano come il narghilè sia tutt’altro che privo di effetti tossici. Per alcuni aspetti, anzi, può essere anche peggiore delle sigarette. È il caso del maggior tempo impiegato a fumare: ad esempio, un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicato nel 2005 stima che la durata di una sigaretta (tra i cinque e i sette minuti) consenta 8-12 tiri; la “sessione” di narghilè, invece, dura tra i venti e gli ottanta minuti, nei i quali i tiri sono tra i 50 e i 200. Ciò significherebbe che il fumo inalato con una seduta narghilè possa arrivare equivalere a quello del consumo di circa 100 sigarette.

La tossicità del narghilè non è legata soltanto alle sostanze presenti nel tabacco, ma anche al sistema stesso di combustione. Nella pipa ad acqua è il carbone a bruciare il tabacco, il cui fumo passa attraverso il corpo principale della struttura fino a un’ampolla contenente acqua, a volte aromatizzata, che lo raffredda e umidifica. Da lì, un tubo permette al fumatore d’inspirarlo. Ciò fa sì che alla nicotina e ai prodotti derivati dalla combustione del tabacco (4mila sostanze, di cui oltre 60 cancerogene) inspirati dal fumatore si aggiungano i prodotti della combustione del carbone: non solo nanoparticelle ossidanti che danneggiano l’endotelio polmonare, ma anche quantitativi maggiori, rispetto alla sigaretta tradizionale, di monossido di carbonio.

Uno studio pubblicato a maggio sulla rivista Circulation ha dimostrato che il quantitativo di monossido di carbonio derivante dal fumo di narghilè è circa 10 volte maggiore rispetto a quello derivante dalle sigarette. Inoltre, come riporta una nota dell’OMS, è maggiore anche l’esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici, molecole altamente cancerogene e anch’esse legate alla combustione del carbone. Ciò vale sia per il narghilè preparato con il tabacco sia per quello che ne è privo: in sostanza, ad eccezione per la presenza di nicotina, il fumo di narghilè espone i consumatori alle stesse sostanze tossiche delle sigarette, anche quando lo strumento è stato preparato senza tabacco.

Gli effetti sulla salute umana

Sebbene, come riporta un articolo pubblicato su Tobacco Control nel 2015, gli studi sugli effetti del narghilè sulla salute abbiano alcuni limiti – ad esempio, non sempre l’utilizzo del narghilè è studiato in modo standardizzato – l’impatto sulla salute umana sembra essere sostanzialmente simile a quello che si riscontra nei fumatori di sigaretta. Il narghilè causa danni al sistema respiratorio e cardio-vascolare, oltre che alla cavità orale e ai denti.

A breve termine determina un incremento della frequenza cardiaca e della pressione sistolica; inoltre, l’alta quantità di monossido di carbonio, che è in grado di legarsi all’emoglobina, dovuta alla combustione del carbone fa sì che si riduca l’ossigeno disponibile nel sangue. A lungo termine, l’esposizione a tutte queste sostanze tossiche può portare allo sviluppo di malattie croniche del sistema respiratorio (come l’enfisema polmonare e bronchiti croniche) e cardio-vascolari, ed è associato allo sviluppo di alcune forme di tumore.

E il fumo passivo?

I test effettuati in camere di controllo, riporta la nota dell’OMS, mostrano che nel fumo rilasciato nell’ambiente dal consumo di narghilè si mantiene la presenza di sostanze tossiche. Inoltre, nei luoghi in cui si fuma esclusivamente narghilè è presente più particolato sottile rispetto a quelli in cui si fumano esclusivamente sigarette. La stessa osservazione è stata fatta anche in una recente indagine, i cui dati preliminari sono stati presentati in occasione del No Tobacco World Day 2019, e guidata da Roberto Boffi, responsabile di Pneumologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori e autore, con Donatella Barus, di “Spegnila!”, un manuale sulla disassuefazione dal fumo.

«Abbiamo condotto un esperimento real life misurando le concentrazioni di particolato respirabile (PM2.5 e PM10) e black carbon, che rappresenta un marcatore della presenza d’idrocarburi policiclici aromatici, in una via di Milano dove vi sono molti locali che offrono narghilè. I dati preliminari che abbiamo ottenuto, confrontati con le rilevazioni del background urbano e del fumo di tabacco, mostrano che le concentrazioni di particolato e black carbon sono superiori nelle zone in cui si fuma il narghilè», spiega a OggiScienza Boffi. «Il problema è anche che il narghilè si fuma per periodi di tempo molto lunghi, per cui nei luoghi poco aperti come può essere una via stretta si creano elevate concentrazioni di sostanze tossiche dovute all’accumulo delle dei prodotti liberati dall’aerosol del narghilè. E, a differenza di quanto avviene con il monossido di carbonio, un gas che si disperde facilmente, il particolato ristagna nell’ambiente».

«Sebbene questo sia solo uno studio pilota, i risultati che ne sono emersi ci spingono ad approfondire la ricerca ripetendo le misure e introducendo parametri nuovi», aggiunge Cinzia De Marco, ricercatrice dell’Istituto Nazionale dei Tumori che ha partecipato all’esperimento. «In questo modo sarebbe possibile avere dati più solidi per una valutazione più completa dell’impatto dell’uso del narghilè sulla salute dei consumatori italiani e di chi sta loro intorno».

Sottovalutiamo gli effetti sulla salute

Uno degli aspetti che preoccupano gli esperti è che il narghilè sembra ancora essere percepito come un modo di fumare meno nocivo per la salute. Il passaggio del fumo attraverso l’acqua è una delle componenti che influiscono sulla sottostima degli effetto dannosi, sia perché il fumo è meno caldo sia perché per molti consumatori rappresenta una sorta di filtro che trattiene alcune sostanze tossiche.

Inoltre, rispetto alle normali sigarette, l’abitudine a fumare narghilè è percepita come meno rischiosa anche sotto l’aspetto della dipendenza, forse in parte perché il suo utilizzo è discontinuo. Il fumo, meno caldo e spesso aromatizzato con sapori dolci, è sentito come più “leggero”; ciò fa sì che la pipa ad acqua abbia tra i suoi consumatori anche persone non fumatrici. «Quando vado nelle scuole e chiedo agli studenti se qualcuno tra loro fuma il narghilè, ormai si alza una selva di mani», racconta Boffi. «L’aspetto interessante è che i ragazzi sono molto più restii a rispondere sul fumo di sigaretta: l’impressione che se ne ricava è che fumare il narghilè sia percepito come un’attività molto meno grave».

Parte del problema può essere dovuto anche alla mancanza di una regolamentazione del fumo da narghilè equivalente a quella valida per sigarette, sigari e pipe. «Il narghilè non è stato considerato dalla legge Sirchia, che nel 2003 ha introdotto il divieto di fumo nei locali pubblici. Così il narghilè, come anche e-cigarette e riscaldatori di tabacco, non è normato neanche indoor», spiega ancora Boffi.

Cosa dice l’epidemiologia

Non è facile ricostruire i dati sulla prevalenza e il trend del fumo da narghilè, perché sono relativamente pochi gli studi standardizzati. Tuttavia, dalle ricerche condotte in vari Paesi emerge un quadro nel quale il trend si va ampliando. Uno studio del 2015, condotto analizzando la letteratura e i database disponibili dei sistemi di sorveglianza sul consumo di tabacco, riporta che soprattutto nel Medio Oriente il narghilè ha raggiunto una popolarità allarmante tra i giovani adulti, rimpiazzando addirittura le sigarette come principale fonte di tabacco. Un’indagine dell’Università di Pittsburgh ha inoltre valutato che quello di narghilè rappresenta oltre la metà del fumo consumato da giovani adulti (18-30 anni) negli Stati Uniti, nei quali contribuisce in modo significativo al carico di sostanze tossiche inalate derivate dal tabacco.

Purtroppo, per l’Italia non sono ancora disponibili dati sulla diffusione del fumo di narghilè. A preoccupare gli esperti, però, è soprattutto il rischio che la percezione del narghilè come poco nocivo faccia sì che diventi un “trampolino di lancio” per il consumo di sigarette. «Il maggiore rischio legato alla mancanza di normative e di cultura sugli effetti tossici è che il narghilè contente nicotina spinga i non fumatori, e soprattutto i giovani, ad avvicinarsi alle sigarette, sicuramente più pratiche da consumare», conclude Boffi.


Leggi anche: È vero che fumare poco non fa male?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia josefstuefer – Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0 e Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.