AMBIENTE

Il vero “segreto” delle scie di condensazione degli aerei: aumentano l’effetto serra

Nel 2017 i passeggeri in volo sono stati 4 miliardi, in aumento negli anni successivi. Ma quali sono le conseguenze sul clima di tutti questi decolli?

Alla fine di questa stagione turistica, a livello globale avranno preso un aereo il 7,3 % di persone in più rispetto allo scorso anno. È questa la stima dell’ International Air Transport Association (IATA), l’associazione che riunisce 290 compagnie aeree di tutto il mondo, pari all’82% del traffico aereo totale. Secondo l’IATA, dagli ultimi dati disponibili, nel 2017 si è toccato il record di 4 miliardi di passeggeri registrati in volo. Le stime del 2018 e 2019 saranno quindi probabilmente ancora più alte. Il trend di crescita esponenziale è confermato dalle analisi della World Bank e dalla Commissione Europea, anche se circoscritti ai viaggiatori europei.

Non significa certo che più di 4 miliardi di persone salgono su un aereo ogni anno. Pur riferendosi al numero di imbarchi (un viaggiatore può volare più volte in uno stesso anno, ovviamente), si tratta comunque di numeri imponenti, che danno il senso di quanto succede in atmosfera: una presenza sempre più massiccia delle compagnie aeree, con gli inevitabili fumi di scarico dei voli, una quantità imponente di gas serra. Le cose, in realtà, vanno anche peggio. Secondo uno studio pubblicato a fine giugno sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics, un ulteriore prodotto di scarto dei voli contribuisce ad aumentare il riscaldamento globale in maniera anche più consistente: le scie di condensazione bianche, proprio quelle meglio note come le famigerate “scie chimiche”. Queste contribuiscono pesantemente all’effetto serra, più dei gas di scarico, si stima nello studio. E il problema è in continuo aumento, tanto che di qui al 2050 il suo effetto potrebbe diventare tre volte più pericoloso.

Volare (tanto) fa male al pianeta

Secondo il World Tourism Organization, nel 2030 si conteranno in media di 2 miliardi di turisti in giro per il mondo, soprattutto in direzione dei paesi che oggi sono in via di sviluppo. Non contando quelli che saranno gli effetti del cambiamento climatico proprio in queste zone del pianeta, un simile flusso di viaggiatori ha già un effetto pesantissimo sulla carbon footprint (ne abbiamo parlato qui).

In un questo contesto, i soli voli aerei hanno un impatto pesante in termini di emissioni. Ormai è cosa nota, ma quanto inquinano gli aerei, precisamente? Le percentuali dei gas serra – CO2 e NOx – provenienti dagli scarichi degli aerei si aggirano tra un più ottimistico 2% calcolato dalla stessa IATA fino al 4% circa stimato da altre istituzioni come l’Environmental Change Institute o la Commissione Europea. Sebbene l’aviazione sia in effetti tra i settori più impegnati nell’innovazione energetica, le previsioni ci dicono che queste percentuali sono comunque destinate a crescere, fino a rasentare il 20%. La ragione sta proprio nell’aumento senza sosta dei decolli, ovvero la preferenza del viaggio aereo per spostarsi, meglio se low cost.

Gli sforzi dell’industria per trovare soluzioni tecnologiche meno energivore non sono per ora risolutivi. Secondo l’US Department of Energy, solo negli Stati Uniti ogni anno vengono bruciati per i voli aerei circa 200mila m3 di cherosene. I biocombustibili e loro derivati, da soli o meglio in miscele, potrebbero potenzialmente tagliare i consumi e le relative emissioni del 60% da qui al 2050, non di più, e permangono inoltre dubbi sulla loro effettiva efficienza, in particolare per le emissioni di NOx e vapor d’acqua, mentre i costi complessivi sono per giunta ancora piuttosto alti.

Altro che “scie chimiche”, ma i cirri artificiali sono davvero un pericolo

Il dibattito su come contenere voli ed emissioni non tiene però conto finora di un altro elemento, un vero “elefante nella stanza”: le scie di condensazione appunto, ovvero gli scarti non-serra. Secondo Ulrike Burkhardt and Lisa Bock dell’Institute of Atmospheric Physics di Wessling in Germania, autori dello studio pubblicato su Atmospheric Chemistry and Physics, la quota di global warming causata dal comparto del volo nel suo complesso è più alta e arriva in realtà fino al 5%. Inoltre, secondo i ricercatori tedeschi, è un errore concentrarsi solo sulle emissioni di CO2 e NOx. Gli aeroplani, infatti, si lasciano alle spalle, insieme ai gas di scarico, anche una quota di fuliggine, che, a grandi altitudini, condensa col vapor d’acqua e congela, formando dei veri e propri cirri. Le scie di condensazione, simili quindi a nuvole artificiali, possono rimanere in atmosfera per un tempo che va da pochi secondi a diverse ore, e sono in grado sia di riflettere indietro i raggi del sole, che di trattenere il calore radiato dalla superficie terrestre. Cirri naturali e scie di condensazione hanno l’effetto complessivo di aumentare l’effetto serra e quindi il riscaldamento globale.

Il fenomeno è noto da tempo, anche per ciò che riguarda l’impatto sul clima. Secondo i dati analizzati dell’IPCC, già nel 2007 si stimava che la radiazione intrappolata a causa delle scie fosse pari a circa 10 mW/m2, a fronte di 28 mW/m2 di energia radiativa intrappolata a causa di tutti i gas serra emessi da tutti i velivoli finora, dagli albori del traffico aereo. Queste prime stime, tuttavia, sottovalutavano non poco la dinamica dei cirri artificiali in atmosfera. La stessa Burkhardt ha condotto altri studi pionieristici precedenti a questo, allo scopo di indagare meglio il contributo delle scie di condensazione in questo senso. In un paper del 2011 pubblicato su Nature Climate Change, in cui si faceva strada l’ipotesi che il problema delle scie fosse più serio, Burkhardt mise a punto un modello climatico e una simulazione numerica più precisa, che tenesse conto della forma e dell’evoluzione dei cirri artificiali e della loro posizione. Ne uscì fuori che questi possono coprire un’area pari fino allo 0,6% della superficie terrestre, rivedendo così al rialzo il calcolo dell’energia radiativa intrappolata, che viene corretta a 31 mW/m2, ben più alta dell’energia intrappolata dagli scarti di CO2.

Il quadro si fa più chiaro, obiettivo 2050

Il nuovo studio di giugno si spinge più avanti, letteralmente. Sulla base degli ultimi dati utili disponibili sugli effetti del riscaldamento da traffico aereo (dati del 2006, forniti dal Volpe National Transportation Systems Center), il team di Wessling ha predetto un incremento dell’effetto di quasi un fattore 3 (2.7, per la precisione) di qui al 2050. Il riscaldamento da scie è cioè destinato a triplicarsi, fino a toccare quota 160 mW/m2, mentre quello da CO2 salirebbe a 84 mW/m2.

Va sottolineato che, a detta degli stessi autori, questa è l’ipotesi più pessimistica, altri studi prevedono una soglia più bassa: è possibile che il passaggio a combustibili meno inquinanti riduca complessivamente l’effetto di riscaldamento, e gli stessi effetti di cambiamento climatico già in atto potrebbero cambiare le dinamiche meteorologiche fino a contenere il contributo dato dalla condensazione delle scie.

Lo studio di Burkhardt e Bock è comunque tra i più completi e dettagliati mai realizzati finora a riguardo. Ulteriori  approfondimenti sono tuttavia indispensabili, visto che il problema potrebbe essere sottostimato addirittura del 70%. Inoltre permane la spada di Damocle dell’overcrowding: il previsto aumento dei decolli non fa che limitare qualsiasi intervento di innovazione e ottimizzazione tecnologica sul comparto aereo. Poco incide per ora il progetto CORSIA citato nel paper dagli autori.

La soluzione più drastica, al momento, sembrerebbe semplicemente quella di volare di meno, o non volare affatto. Rinunciare all’aereo è quello che seguita a fare Greta Thunberg, la giovane attivista icona della lotta al cambiamento climatico, o i vari movimenti di slow travel sparsi per il mondo. Nel frattempo, vale la pena tenere d’occhio l’evoluzione dell’iniziativa del governo francese delle ultime settimane: una ecotassa sui voli low cost, che fa seguito a un esperimento svedese, con tasse ancora più salate. Funzionerà? Il tempo a disposizione, ormai lo sappiamo, è poco.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.