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Diabete e alimentazione: facciamo chiarezza sulle evidenze scientifiche

Enzo Bonora, Professore Ordinario dell’Università di Verona ci aiuta a capire il legame esistente tra il tipo di dieta seguita e l'insorgenza del diabete mellito.

Il diabete è una malattia in crescita in tutto il mondo. In Europa si stima che sia diabetico il 10-14% della popolazione, mentre in Italia, il Sistema di Sorveglianza PASSI dell’ISS calcola che nel periodo 2015-2018 il 4,8% degli italiani abbia sofferto di questa malattia, sfiorando il 10% fra i 50-69 enni. I dati dell’Osservatorio ARNO Diabete mostrano invece una prevalenza complessiva in Italia del 6,3%. In media, in un caso su dieci si tratta di diabete autoimmune (ppt il 5% di diabete di tipo 1), mentre la fetta più grossa di persone soffre di diabete mellito di tipo 2, che insorge in età più adulta.

Diabete mellito e alimentazione

Il legame fra diabete di tipo 2 e alimentazione, in relazione alla possibilità di prevenire la malattia è molto studiato, ma per il lettore non addetto ai lavori che si chiede quale sia il regime alimentare migliore per evitare di diventare in futuro diabetico,  non è facile districarsi nella letteratura e trarne delle indicazioni davvero basate sull’evidenza scientifica.

Abbiamo chiesto a Enzo Bonora, Professore Ordinario di Direttore della Sezione di Endocrinologia dell’Università di Verona e curatore di seguitissima pagina Facebook, di aiutarci a fare il punto.

“Sul legame fra alimentazione e insorgenza del diabete di tipo 2 si scrivono molte cose, il più delle volte amplificando la portata di risultati ottenuti da studi di intervento molto piccoli e non confermati da studi più ampi o da studi osservazionali, talora con decine o centinaia di migliaia di soggetti, che però hanno spesso limiti legati alla mancata o solo parziale conoscenza di fattori potenzialmente confondenti.
A volte, inoltre, quando si eseguono troppi confronti entro un unico grande database c’è il rischio che emerga qualcosa di significativo dal punto di vista statistico ma irrilevante dal punto di vista biologico e clinico. Solo gli studi di intervento possono rispondere in maniera affidabile a un quesito e in campo alimentare gli studi di intervento sono pochi e focalizzati a esiti intermedi (peso corporeo, colesterolo, glicemia, pressione arteriosa) e molto raramente a esiti finali (infarto, cancro, mortalità). Fare uno studio a lungo termine (molti anni) su migliaia di persone valutando ad esempio chi vive o muore di più con regimi alimentari molto diversi, controllando per i possibili confondenti (es. attività fisica ma anche organizzazione dell’assistenza, ecc.) non è facile.

Non qualità ma quantità

Attenzione però a un concetto chiave: per la salute non si tratta solo di consumare alimenti di tipo “mediterraneo” (cereali, legumi, frutta a guscio e fresca, pesce, olio d’oliva, ecc.) ma di essere frugali nel consumarli. “80 grammi di pasta a pranzo sono dieta mediterranea – spiega Bonora – ma due etti di pasta no. Due cucchiai di olio d’oliva sono dieta mediterranea, ma un litro d’olio consumato in due giorni, no; 3 noci al giorno sono dieta mediterranea ma un sacchetto di noci no, e così via. La quantità è molto importante”.

Il ruolo dei grassi

Un tema di cui c’è riscontro in letteratura scientifica è il ruolo giocato da una dieta ricca di grassi. I grassi infatti – si sa – non sono tutti uguali: ci sono i grassi saturi e insaturi, animali e vegetali. Di recente la nota rivista medica BMJ ha pubblicato per esempio uno studio prospettico su otre 100 mila persone esaminate per un periodo di 12 anni, che aveva lo scopo di esaminare l’interazione esistente fra avere geni che predispongono al diabete tipo 2 e la quantità e la qualità dei grassi consumati con la dieta al posto di carboidrati raffinati e zuccheri semplici (il rimpiazzo era limitato a circa il 5% delle calorie giornaliere, equivalente a due frollini. È come dire passare dall’assumere il 45% delle proprie calorie dai carboidrati invece che il 50% dell’apporto.

Lo studio ha confermato che avere certi geni predispone al diabete e averne tanti predispone di più. “Tuttavia, nessuna interazione significativa è stata osservata fra l’assunzione di grassi e i geni” spiega Bonora. “Sono state osservate deboli associazioni fra i vari tipi di grassi alimentari e il rischio di diabete: si è registrato un rischio lievemente maggiore (+10%) con l’aumento della quantità di grassi monoinsaturi (non tanto l’olio di oliva perché si trattava di soggetti nordeuropei e nordamericani che consumano poco olio di oliva ma introducono molti monoinsaturi di origine animale); un rischio lievemente minore (-10%) con l’aumento della quantità di grassi poliinsaturi. Non si è osservata invece nessuna variazione del rischio in funzione della quantità di grassi saturi.

“Lo studio però non è strutturato per offrire dei risultati definitivi, dal momento che se si esegue un certo di tipo di controllo statistico che è necessario quando si fanno molti confronti, queste piccole diversità spariscono e la conclusione è che sostituire carboidrati con i grassi non cambia il rischio di diabete conferito dall’avere una certa quantità di geni sfavorevoli” precisa Bonora. “È evidente che in termini di raccomandazioni pratiche questo studio non fornisce grande aiuto se non nella conclusione che i geni contano molto e che sostituire carboidrati raffinati con grassi non serve a prevenire il diabete”.

L’importanza della dieta mediterranea

Ci sono studi di intervento e studi osservazionali. “A oggi l’unica evidenza scientifica forte che abbiamo, perché emersa da uno studio di intervento condotto per anni su migliaia di persone, è che seguire una dieta mediterranea presenta un minor rischio di avere problemi cardiovascolari o di morte. Questo tipo di conclusione è avvalorata da vari studi osservazionali.” spiega Bonora. Uno studio italiano condotto su un campione di residenti in Molise, ha mostrato che i soggetti che seguivano in maniera più scrupolosa i dettami della dieta mediterranea hanno una mortalità ridotta di circa il 50%. Una recente meta-analisi di vari studi osservazionali ha evidenziato invece che lo sviluppo di diabete di tipo 2 è meno frequente in chi consuma cereali integrali, frutta, verdura, legumi e noci e derivati del latte, mentre è maggiore in chi consuma bibite zuccherate, cereali raffinati, carne rossa e carne lavorata come gli insaccati.

“Al momento dunque abbiamo prove solide del fatto che la dieta mediterranea migliora la salute complessiva e previene le malattie metaboliche, cardiovascolari e i tumori.” Non a caso è stata elevata al rango di “patrimonio dell’umanità”. Però va applicata con molta attenzione alle quantità dei suoi vari componenti.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.