ANIMALI

La lepre sconosciuta (e da proteggere)

Quanti hanno già sentito nominare la lepre italica? Pochi, probabilmente.

Non è un animale famoso: gli studi che le sono stati dedicati sono un numero limitato, e della specie c’è ancora molto da scoprire. Meriterebbe più attenzione, sia perché è la “nostra” lepre, sia perché la popolazione è in difficoltà.

Storia di una riscoperta

In Italia vivono quattro specie di lepri: la variabile (Lepus timudus), presente in Eurasia e che da noi si trova a elevate altitudini; la lepre sarda (Lepus mediterraneus), considerata da alcuni una sottospecie della lepre del Capo (Lepus capensis); la lepre comune (Lepus europaeus), la più nota e diffusa, ampiamente introdotta anche in Nord America e Australia. E infine, la lepre italica, il cui nome scientifico, Lepus corsicanus, può essere fuorviante. La specie è stata infatti introdotta sull’isola dall’essere umano per scopi venatori. «La lepre italica è però endemica degli Appennini (e infatti è conosciuta anche come “lepre appenninica”)», spiega Emiliano Mori, zoologo dell’Università di Siena che ne sta studiando il comportamento e l’ecologia.

La ragione del nome della specie deriva dalle prime osservazioni che ne furono fatte, raccolte appunto in Corsica alla fine dell’Ottocento dal naturalista inglese De Winton.

Sebbene quest’ultimo l’avesse classificata come specie distinta dalla lepre comune, per lungo tempo la lepre italica fu considerata una sottospecie dell’europea. Solo con una serie di articoli, pubblicati tra il 1996 e il 2001 e basati sull’analisi morfologica e molecolare, fu possibile il riconoscimento ufficiale della lepre italica come specie distinta dall’europea.

E in effetti, a una prima, disattenta occhiata, può sembrare difficile distinguere la lepre italica dalla cugina europea. Il colore più rossiccio del dorso e più scuro sulla nuca, le dimensioni minori e un corpo più slanciato possono sfuggire a un osservatore occasionale. «La differenza principale tra le due specie è nella linea di demarcazione tra la parte dorsale del corpo, bruna, e quella ventrale, bianca: nella lepre italica, la linea di demarcazione è molto netta, laddove nell’europea appare più sfumata», spiega Mori.

lepre italica

Pochi dati, tante domande

Nel corso del tempo sono state evidenziate alcune differenze rispetto all’europea anche in termini di habitat. Ad esempio, se la lepre europea è legata agli ambienti aperti, siano o meno coltivati, la cugina italica sembra preferire gli ambienti chiusi, come la macchia mediterranea. In termini di biologia riproduttiva, invece, alcune osservazioni sembrano suggerire che la lepre italica possa riprodursi nel corso di tutto l’anno, a differenza dell’europea, che ha un picco riproduttivo in primavera. «La possibilità di riprodursi tutto l’anno è una caratteristica comune ad altre specie che vivono in ambienti a clima mediterraneo, dove l’inverno non è particolarmente rigido», spiega il ricercatore. «Tuttavia, in questo campo abbiamo solo poche osservazioni, e saranno necessari altri studi per capire se e quali differenze legate alla riproduzione vi siano tra la lepre italica e l’europea».

Un altro aspetto caratteristico, evidenziato da Mori e dai suoi colleghi durante degli studi preliminari sull’etologia della specie, presentati al convegno della Società Italiana di Etologia quest’anno, è che la lepre italica è strettamente notturna. E questo è uno degli aspetti che la rendono così difficile da studiare: «Per riuscire a catturare gli individui e dotarli di radiocollare sono necessarie lunghe battute, di notte, e questo è un grosso impegno sia per gli scienziati sia per i volontari che li aiutano», spiega il ricercatore.

A oggi, comunque, restano molte le domande sulla lepre italica: quali sono le sue preferenze alimentari? Quali le sue caratteristiche etologiche? Come si rapporta esattamente con la parente europea?

Una specie vulnerabile

Un’altra ragione per la quale tanto di questo animale è ancora da indagare è legato alla sua diffusione. «Oggi sappiamo che, sul versante tirrenico della nostra penisola, la lepre italica è presente dalla provincia di Grosseto fino alla Calabria e in Sicilia; recentemente è stata introdotta anche sull’isola d’Elba. Sul versante adriatico, invece, è segnalata fino al Gargano. Ma la specie è frammentata in piccole sottopopolazioni: il fatto che viva a densità così basse (soprattutto al di fuori dei parchi naturali) la rendono davvero complessa di studiare», continua Mori. «A ciò bisogna aggiungere che non è un animale fortemente carismatico, come può essere il lupo, e attira meno l’attenzione pubblica. Inoltre, la lepre europea ha una maggior facilità ad attrarre fondi per gli studi, perché è d’interesse venatorio; per l’italica, invece, l’interesse a studiarla è legato solo a ragioni conservazionistiche».

Inoltre, la presenza in gran parte del Centro e Sud Italia non è, purtroppo, indice di una popolazione ricca. Anzi, la lepre italica è classificata nella Red List della IUCN come “vulnerabile”. La popolazione è in decrescita, minacciata non solo dalla perdita e dalla frammentazione dell’habitat, ma anche dalla potenziale competizione con la lepre europea. Alcuni studiosi osservano infatti che, oltre a competere per le risorse, nelle aree in cui sono presenti entrambe le specie, l’italica si trova ad altitudini maggiori, forse “scacciata” dai suoi areali preferiti dalla controparte europea. In Sicilia, dove invece è l’unica specie di lepre presente, la popolazione è invece molto più ricca e vive in ambienti naturali più diversificati. Alcuni studiosi avevano anche ipotizzato che vi potesse essere ibridazione tra le due specie, con il rischio che la lepre italica perdesse la sua identità genetica e un possibile grave danno per un animale le cui popolazioni sono così isolate da ridurre il pool e la variabilità genetica. Un lavoro di qualche anno fa, tuttavia, sembra escludere questa ipotesi.

Tra le minacce alla “nostra” lepre ci sono anche le malattie infettive. La lepre italica è infatti suscettibile alla European Brown Hare Syndrome, una malattia virale con alti tassi di mortalità per le lepri, e della quale la lepre europea sembra essere un serbatoio. Inoltre, nel 2014 un articolo pubblicato su Research in Veterinary Science ha dimostrato la possibilità di contagio della lepre italica con un particolare ceppo del virus responsabile della malattia emorragica del coniglio.

A ciò, si aggiunge la minaccia rappresentata dagli abbattimenti illegali. «La lepre italica è una specie protetta», spiega Mori. «Ma sfido qualunque cacciatore a riconoscerle con sicurezza da una certa distanza: non è probabilmente infrequente, quindi, che tra le prede possa finire anche lei».

L’ultimo Piano nazionale per la conservazione della lepre italica è stato redatto quasi vent’anni fa, nel 2001 (oggi è in fase di aggiornamento): proponeva la tutela della specie incentivando gli studi al riguardo, proteggendo e incrementando le popolazioni attraverso, ad esempio, azioni di sostegno per il miglioramento dell’habitat e con progetti di reintroduzione e proponendo adeguamenti normativi. Al Piano si sono affiancati, nel tempo, alcuni progetti locali e non, come il Progetto di sistema dei parchi nazionali.

Tuttavia, molto resta ancora da fare per la conservazione di questa specie, la cui riscoperta ha portato con sé anche la scoperta di tutto ciò che ancora non sappiamo, ma che rappresenta la base imprescindibile per la sua tutela. «La lepre è un elemento fondamentale della biodiversità mediterranea, la cui conservazione è di enorme importanza per preservare un ecosistema unico al mondo», conclude Mori. «È quindi auspicabile la messa a punto di ulteriori studi sulla sua biologia e di un rapido piano per la sua conservazione e per promuovere l’interconnessione tra le popolazioni, soprattutto le più isolate».

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.