Homo biologicus, come la biologia spiega la natura umana
Continua la nostra serie di consigli di lettura per le ferie. Pier Vincenzo Piazza sfata molti miti, in un libro innovativo che lascia spesso il lettore con l’idea di aver sempre avuto le idee sbagliate in testa.
La natura umana è storicamente sempre stata divisa dagli stessi esseri umani in due parti: quella materiale e quella immateriale. Come spiegare, altrimenti, la differenza tra l’uomo e gli animali, l’uomo e le piante? L’essere umano, l’unico essere senziente sulla terra, deve per forza avere qualcosa che lo distingua dagli altri esseri viventi, soprattutto perché è il padrone incontrastato del pianeta, tanto che si definisce Antropocene (di cui abbiamo parlato qui) l’epoca attuale. Pier Vincenzo Piazza, nel suo ultimo libro Homo Biologicus (Rizzoli 2019, 22€) ci dice che le cose, in realtà, non stanno per niente così. Il neurobiologo di origini italiane, che dirige il Neurocentre Magendie di Bordeaux, racconta in un testo di divulgazione scientifica particolarmente godibile quanto in realtà l’essere umano sia completamente e puramente biologico. Sì, anche nella mente. È proprio con questa affermazione che lo scienziato, racconta, apre le sue lezioni universitarie, spiazzando la maggior parte dei suoi studenti. Altrimenti, dice Piazza, come potrebbero gli psicofarmaci (che sono materiali) agire sulla mente (che viene considerata immateriale)?
Vi siete mai chiesti da dove nasce lo stigma che si portano dietro le persone che convivono con una dipendenza da droga? Esso non deriva dalla paura delle malattie, dal loro aspetto o dall’atteggiamento dei drogati. Si tratta della volontà. L’essere umano che non ha dipendenza da sostanze ritiene, solitamente, di avere un maggior autocontrollo sulle proprie pulsioni, di essere in grado di moderarsi, e quindi, di essere intrinsecamente migliore. Da qui, il biasimo per i drogati. Una questione insomma, di nuovo, culturale, “immateriale”. Ma Piazza ci dimostra tramite il racconto di alcuni esperimenti sui topi che chi ha dipendenze non ha problemi di controllo di per sé, non è una persona necessariamente priva di forza di volontà: la probabilità di sviluppare una dipendenza è scritta nei suoi geni, così come il colore dei suoi occhi o la lunghezza dei suoi femori.
Nella sua analisi il neurobiologo inoltre spiega anche un fenomeno come l’obesità, e lo fa dividendo l’umanità in due parti: l’homo endostaticus e l’homo exostaticus. I due tipi di esseri umani esistono per una ragione squisitamente biologica. L’essere umano ha a disposizione cibo e acqua a sufficienza, in abbondanza e in maniera costante da pochissimo tempo, se paragonato al tempo in cui invece queste risorse erano scarse e la loro reperibilità poco prevedibile. L’evoluzione quindi ha selezionato tipi di homo adatti a sopravvivere in due condizioni differenti, per far fronte proprio a diverse situazioni. L’homo endostaticus era perfetto per i periodi in cui le risorse erano costanti, in cui non sussisteva il pericolo di morire di fame. In queste condizioni, l’homo endostaticus era perfettamente moderato: il senso di sazietà, l’equilibrio, erano ciò che prevaleva in lui. Una volta sazio, non cercava altro cibo. Questo tipo di uomo era però assolutamente poco vincente in situazioni dove invece il cibo scarseggiava.
Ecco perché la natura ha selezionato anche l’homo exostaticus. L’homo exostaticus ricava talmente tanto piacere dal cibo che non smette di mangiare una volta sazio. Continua e continua a nutrirsi, sopraffatto dal godimento che prova, e così, accumula grasso, che lo può far sopravvivere nei periodi di carestia, a differenza di quanto invece potrebbe fare l’homo endostaticus, che invece una volta soddisfatto il bisogno di cibo preferisce l’equilibrio all’eccesso. Per Piazza, le persone che soffrono di obesità sono homo exostaticus, e sono quindi adatte a gestire periodi di risorse limitate, dal momento che in loro prevale la ricerca del piacere a quella dell’equilibrio. Non hanno una malattia, anzi, il loro sistema biologico funziona perfettamente. Sono programmati per immagazzinare riserve, perché è troppo poco tempo che l’essere umano ha superato il bisogno evoluzionistico di avere tra la sua popolazioni individui che possano sopravvivere e mandare avanti la specie anche in momenti di carestia. Ciò che è “malato” è piuttosto l’ambiente che circonda l’obeso, troppo ricco di cibi estremamente appetitosi e facilmente reperibili. Oggi potrebbe prevalere l’homo interstaticus, una giusta via di mezzo adatta all’epoca attuale, ma ci vorranno secoli prima che l’evoluzione faccia il suo corso.
Secondo Piazza insomma, ben poco c’è di immateriale e non-biologico nell’essere umano. Tutto è spiegabile tramite la scienza, tramite lo studio della biologia. Anche la cultura, l’educazione, gli insegnamenti, secondo lo scienziato agiscono in profondità, “riscrivendo” la nostra biologia.
La natura immateriale della nostra mente, l’essenza umana, i comportamenti definiti culturali, sono insomma secondo il neurobiologo, definizioni superate. L’essere umano è essenzialmente, un homo biologicus: in tutto e per tutto determinato dalla materialità. Una visione ateistica, scientista e incredibilmente convincente che riporta esempi di facile comprensione e di difficile smentita su quanto tutto di noi sia estremamente fisico, terrestre, naturale e molto poco astratto, immateriale, intangibile.
Leggi anche: “Mutanti” di Gavin Francis
Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.