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Prevenire i suicidi con le app?

La prima revisione sull'efficacia dei tool di supporto a chi pensa al suicidio mostra che gli strumenti digitali di auto aiuto hanno un maggiore effetto di quelli rivolti alla cura della depressione. Anche perché non tutti i suicidi sono depressi

L’idea di fondo che anima il dibattito fra gli esperti di salute pubblica è che il suicidio si possa prevenire attraverso una migliore inclusione sociale, che passa per l’accesso ai servizi prima di tutto sanitari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità titolava addirittura una sua nota pubblicazione del 2014 “Prevenzione dei suicidi: un imperativo globale”.
“Un supporto sociale efficace all’interno delle comunità e la resilienza individuale possono aiutare a proteggere le persone vulnerabili dal suicidio costruendo e migliorando la connessione sociale e le capacità per affrontare le difficoltà” si legge.
Le cose però non sono affatto semplici, come non lo sono, molto spesso, le ragioni che spingono una persona a compiere questo gesto, o a tentare di compierlo.

Una revisione della letteratura scientifica

In questi giorni la neonata rivista in casa LancetThe Lancet Digital Health – ha pubblicato i risultati della prima revisione della letteratura scientifica in materia di prevenzione del suicidio (un campione di 14 studi) attraverso strumenti digitali di auto-aiuto psicologico nei soggetti che non si rivolgono ai servizi sanitari nei momenti di vulnerabilità che li spingono a pensare al suicidio come a un’alternativa possibile.

Si stima che 817.000 persone muoiano ogni anno per suicidio, rappresentando l’1,4% dei decessi a livello globale. Si tratta di una persona che si toglie la vita ogni 40 secondi e per ogni adulto morto per suicidio potrebbero esserci stati più di 20 tentativi precedenti.

Eppure, una revisione del 2015, aveva riferito che su 12.006 persone che avevano tentato o pensato di tentare il suicidio nell’ultimo anno, la percentuale media di coloro che avevano avuto contatti con i servizi di salute mentale era del 29,5%. Meno di una persona su tre. La percentuale oscilla fra il 30% al 70%, con frequenze più basse di ricerca di aiuto associate all’essere più giovani (12-18 anni), di sesso maschile e di diversa provenienza culturale. Si stima che il 75,5% dei suicidi sia avvenuto in paesi a basso reddito e in paesi a medio reddito, in cui le risorse sanitarie professionali sono scarse ma in cui le tecnologie digitali sono prevalenti.

Suicidi e programmi digitali

Ciò che è emerso da questa prima ampia revisione è che i programmi digitali rivolti direttamente alla prevenzione dei suicidi – su piattaforme online o app – hanno avuto il maggiore impatto nel ridurre l’idea suicida tra i partecipanti ed erano anche efficaci nel ridurre i sintomi della depressione: questo effetto era paragonabile ai risultati precedenti osservati nelle terapie paziente-analista. Nel frattempo, i programmi digitali incentrati sull’affrontare la depressione sono risultati meno efficaci nel ridurre l’intenzione al suicidio.
“La depressione è un fattore di rischio per i suicidi, ma non per questo va considerato come fattore causale” scrivono gli autori – il suicido può verificarsi in assenza di depressione, e di conseguenza le persone a rischio di suicidio e quelle con depressione potrebbero rispondere in modo diverso ai diversi trattamenti. “Il comportamento suicidario è un risultato raro anche tra le persone con depressione (prevalenza stimata del 15-20%)” continuano gli autori.

Già una revisione del 2013 non aveva riportato alcuna associazione tra interventi sulla depressione e un conseguente suicidio in una vasta metanalisi sull’efficacia della psicoterapia.

L’autolesionismo non suicidario potrebbe essere un indicatore proxy della capacità di suicidio, e ciò suggerisce che ci sono distinti processi ideazione-azione che possono essere presi di mira da specifici tool di auto-aiuto.

“Sebbene gli interventi digitali per la prevenzione del suicidio siano ancora agli inizi, questo lavoro mostra che questi strumenti hanno il potenziale per migliorare gli esiti suicidari nelle popolazioni a rischio” concludono gli autori. “Dovremmo cercare di integrare questi strumenti nelle campagne di promozione della salute e nei sistemi sanitari per incoraggiare la ricerca di aiuto e l’accesso alle cure”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.