“Autismo al femminile”, di Fiona Fisher Bullivant
Il libro è una guida pratica per riconoscere, comprendere e lavorare con bambine e ragazze autistiche. Una risorsa preziosa non solo per terapeuti ed educatori, ma anche per le famiglie e le dirette interessate. Di tutte le età.
«Spesso la scuola non coglie le loro difficoltà perché non vede mai la persona vera dietro la maschera, per la sua capacità di confondersi tra gli altri e di imitare il contatto oculare e a volte intere personalità. […] Un comportamento alimentare insolito può essere preso per anoressia; dei cicli di disregolazione emotiva per un disturbo bipolare; la descrizione di percezioni con un linguaggio da romanzo fantasy e l’espressione a voce alta di pensieri possono essere scambiate per psicosi»
Sono appena una manciata delle difficoltà che un terapeuta o un educatore si trova davanti nella diagnosi di un disturbo dello spettro autistico in una bambina/ragazza/donna. Difficoltà che potremmo chiamare, in un certo senso, strati da riconoscere e comprendere: un primo strato fatto di reciprocità (spesso appresa e imitata), contatto visivo (magari imparato osservando gli altri), qualità della vita che sembra buona. Un secondo strato di quelle che in tanti casi diventano diagnosi, ma erano comorbilità: ansia, comportamenti ossessivo compulsivi, autolesionismo, un disturbo alimentare. Un ultimo strato, la persona vera, sepolta a volte così a fondo – anche inconsapevolmente – che molte ragazze e donne nello spettro vedono la propria identità diluirsi sempre più e finiscono per non sapere più chi sono.
Sarò la ragazza timida e in genere solitaria che ama trascorrere le serate a casa, davanti a un film, una pizza e con la sola compagnia dei miei animali? O quell’assurda anima della festa che emerge nelle occasioni sociali, magari con l’aiuto di un bicchiere di vino, a volte eccessiva, eccentrica, che parla persino troppo e di cose troppo personali, ma che poi torna a casa e da quelle interazioni è stata completamente prosciugata? Tutto questo è il masking, mascheramento, che porta tante autistiche a non sapere di esserlo anche per tutta la vita. Pensando, invece, di essere solo strane o diverse da tutti gli altri.
Di autismo femminile dalla diagnosi alle emozioni, dalla quotidianità alla sensorialità e gli interventi, parla l’infermiera specializzata in salute mentale Fiona Fisher Bullivant nel suo libro Autismo al femminile. Una guida pratica per riconoscere, comprendere e lavorare con bambine e ragazze con autismo lieve e sindrome di Asperger (Edra 2020, 155 pagine, 20 €). L’edizione italiana è stata curata e annotata da David Vagni, Vicepresidente dell’Associazione Spazio Asperger ONLUS e direttore scientifico di Cuoremente Lab.
Autismi, quelle differenze di genere
Bullivant lavora presso il Child and Adolescent Mental Health Service di Manchester, nel Regno Unito e ha alle spalle 30 anni di esperienza con bambine e ragazze nello spettro autistico. Nel libro riporta le storie di tre di loro, Milly, Darcey ed Esther, insieme al vissuto delle loro famiglie e al punto di vista clinico. Racconta il percorso che ha portato a riconoscerle come Asperger (autistiche senza disabilità intellettiva) e che ha permesso alle tre ragazze di accettarsi, usando positivamente la propria diversità. Va ricordato che di autismo “femminile” si parla in modo non ufficiale, ma per praticità. Inoltre, anche se nel libro di Bullivant non si entra nel merito della questione, tra le donne autistiche ancor più che tra gli uomini si riscontra una minor identificazione sociale rispetto a un genere e una minor gender self-esteem (quanto positivamente o negativamente un individuo guarda al proprio gruppo di genere).
I dati a disposizione per l’Italia (Istituto Superiore di Sanità) ci dicono che la prevalenza dell’autismo è di 1 su 77 e che le diagnosi maschili sono ancora più numerose di quelle femminili; non perché l’autismo sia un disturbo tipicamente maschile, come si è a lungo pensato, ma perché le differenze tra generi sono tali da far passare le donne “sotto il radar diagnostico” e, a volte, non riconoscere la significatività clinica dei loro punteggi nelle valutazioni perché si tratta di test basati in gran parte su modelli autistici al maschile. “Uno dei primi segni che conosciamo oggi, particolarmente nelle bambine”, scrive ad esempio Bullivant, “è la presenza di pensieri ossessivi ripetitivi e di un comportamento differente”.
E non significa che l’autismo sia qualcosa che sulla quotidianità di una donna autistica pesa meno rispetto al corrispettivo maschile, la maschera non deve ingannare; per questo Bullivant sottolinea che “non si dovrebbe ad esempio definire ‘lieve’ il loro autismo, perché è enormemente fuorviante”. Ciò che vediamo non è che la punta dell’iceberg, quel poco che emerge di difficoltà nascoste, gestite, sepolte, che esplodono nell’intimità di casa quando nessuno guarda più. Sta nella bravura del professionista farsi strada delicatamente e in modo intelligente attraverso tutti quegli strati e trovare la persona vera che si cela sotto la maschera. Quel cosiddetto alto funzionamento può nascondere momenti privati di enorme disagio, può celare mattine nelle quali uscire dalla porta per andare nel mondo esterno risulta un’impresa, serate nelle quali si rientra prosciugate di ogni energia. Da fuori, se la maschera è solida, può anche non notarlo nessuno.
Tre storie per tre diversità
Dalle storie delle tre ragazze emergono elementi di complessità ma anche soluzioni per migliorare la quotidianità che appaiono quasi semplici, quasi scontate nel loro poter essere d’aiuto che a tratti lascia perplessi quanto difficile sia poterle mettere in pratica.
Abbiamo da un lato tempi di attesa per una valutazione diagnostica che in tante aree vanno dai 12 ai 24 mesi se non di più – il libro parla del Regno Unito ma la situazione italiana, riportano le annotazioni di Vagni, è abbastanza simile – e il racconto di servizi per la salute mentale che faticano a lavorare in sinergia, ritardando diagnosi un cui arrivo precoce avrebbe risparmiato incredibili disagi alle ragazze e alle famiglie (nel caso di Milly, sette anni di valutazioni e incontri frustranti). Dall’altro i miglioramenti enormi dati da piccole strategie – ottenute con grande fatica – come convincere la scuola a lasciare che Esther portasse con sé oggetti legati al suo interesse speciale e li tenesse sul banco, autorizzata a orari programmati a passarvi del tempo, in modo che fossero una costante e pianificata gratificazione che rendeva meno difficili le ore scolastiche.
Le osservazioni per formulare una diagnosi – e un percorso conseguente – dovrebbero avvenire non solo negli ambienti classici e asettici dello studio o del centro di salute mentale, scrive Bullivant, ma a casa e a scuola, dove il professionista possa gradualmente vedere la vera persona, spesso diversissima in circostanze differenti. Ma non è sempre facile, per mancanza di formazione specialistica negli operatori, di flessibilità negli orari e nei luoghi di lavoro che aiuterebbe tutti, terapeuti ed educatori per primi. Nei centri del Regno Unito, aggiunge l’autrice, non è raro che gli orari siano 9-17, rendendo difficile pianificare gli incontri per ciascuna delle parti coinvolte: genitori che lavorano, ragazze costrette a uscire prima da scuola – affrontando così magari anche l’imbarazzo – e via dicendo.
Perché questo libro
L’obiettivo, scrive Bullivant, è formare professionisti che siano i migliori clinici e le migliori persone possibili, che lottino per ottenere i migliori servizi per ragazze e donne autistiche, che contribuiscano a far accogliere, incoraggiare e promuovere la diversità e l’unicità.
Per far finalmente sentire comprese ragazze come Darcey, che “era rigida nei pensieri e nelle convinzioni, ma anche estremamente ansiosa. In sostanza, era il mondo che aveva intorno a confonderla. Visto che era così intelligente, il mondo e le persone avrebbero dovuto avere senso per lei, invece non era così”. Per permettere loro di non essere sempre definite come mancanti, con deficit, difficoltà ma far emergere ciò in cui invece brillano: “sono brava nel problem solving e ho un buon occhio per i dettagli. Lavoro con un sacco di dati e so vedere rapidamente se da qualche parte c’è un errore o qualcosa di diverso”, racconta di sé Milly, secondo la quale “sarebbe utile che qualcuno ti spiegasse perché un’etichetta ufficiale potrebbe esserti utile per il tuo futuro”.
Se investissimo dall’inizio nella formazione dei professionisti sanitari e nei percorsi destinati agli autistici, scrive Bullivant, vinceremmo tutti. Ed elimineremmo quelle pesanti ripercussioni che spesso si hanno da una diagnosi tardiva, da valutazioni frustranti e ripetute, dall’indecisione. Effetti che ricadono sulla persona, sulla famiglia, sulla rete che ha intorno. Ma il momento purtroppo non è ancora arrivato. “Ottenuta la diagnosi, quello che succede dopo è una lotteria. Gli standard di supporto, di intervento e di strategia variano, così come variano le opinioni su chi debba fornire al meglio quei servizi e come e quando debba avvenire”, commenta l’autrice.
Concludendo, Autismo al femminile nasce come strumento per terapeuti ed educatori ma per linguaggio e contenuti è prezioso ben oltre: può aiutare ragazze e donne autistiche a capirsi meglio e ritrovarsi, a dare senso ad anni nei quali – non consapevoli del nome della propria diversità – si è accumulata una matassa di incomprensione e disagio che può richiedere decenni per essere elaborata e finalmente sciolta. Ma anche chiarire le idee a quelle che sospettano di essere nello spettro e sono alla ricerca di una lettura bilanciata che metta insieme l’autismo visto da più punti di vista che uniti fanno da chiave di lettura: il clinico, le famiglie, ma soprattutto le dirette interessate.
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