L’inquinamento dell’aria e i rischi per la salute
In Italia l'inquinamento atmosferico sarebbe responsabile di più di 80.000 morti ogni anno.
Nei giorni in cui le immagini della NASA hanno registrato una netta diminuzione dei livelli di inquinamento in Cina, uno studio pubblicato su Cardiovascular Research è tornato a descrivere il rapporto tra qualità dell’aria e salute. Secondo Jos Lelieveld e Thomas Münzel del Max Planck Institute for Chemistry, l’inquinamento atmosferico sarebbe responsabile ogni anno di 8,8 milioni di morti premature in tutto il mondo e diminuirebbe l’aspettativa di vita di tre anni. I ricercatori hanno utilizzato un modello di calcolo che ha raddoppiato le stime precedenti. I dati per l’Europa, già evidenziati in un lavoro pubblicato dagli stessi autori lo scorso anno, parlano di 800.000 morti premature ogni anno.
Per mettere in prospettiva questi numeri lo studio cita altre cause di morte ed emergenze sanitarie: il fumo (2,2 anni e 7,2 milioni di morti), l’HIV/AIDS (0,7 anni e 1 milione di morti), le malattie infettive dovute a parassiti e vettori, come ad esempio la malaria (0,6 anni e 600.000 morti), le morti violente, incluse quelle dovute alle guerre (0,3 anni e 530.000 morti).
Geograficamente, la mortalità per inquinamento atmosferico è maggiore in Asia orientale (35%) e Asia meridionale (32%), seguite da Africa (11%) ed Europa (9%). La media mondiale è di 120 morti su 100.000 abitanti ogni anno, un valore che viene superato in Asia orientale (196) e in Europa (133). In Italia l’inquinamento atmosferico sarebbe responsabile di più di 80.000 morti ogni anno (136 persone su 100.000). L’aria inquinata in Asia orientale riduce l’aspettativa di vita di quasi 4 anni e in Europa di 2,2 anni. Nel nostro paese il valore è di poco inferiore alla media europea (1,91 anni). I tassi più bassi per entrambi i parametri si registrano in Australia, dove si osservano gli standard di qualità dell’aria più rigidi del mondo.
Particolato PM2.5 e ozono
Il lavoro ha stimato l’impatto di due tra i principali inquinanti, il particolato PM2.5 e l’ozono, sulla mortalità prematura dovuta a sei categorie di malattie. I ricercatori hanno considerato: infezioni del tratto respiratorio inferiore, malattia polmonare ostruttiva cronica, tumore ai polmoni, cardiopatia ischemica, malattie cerebrovascolari e altre malattie non trasmissibili. Queste ultime includono condizioni come ipertensione e diabete. Hanno trovato che le malattie cardiovascolari (malattie cardiache e cerebrovascolari combinate) sono responsabili del 43% della riduzione dell’aspettativa di vita (loss of life expectancy – LLE). Alle infezioni del tratto respiratorio inferiore si deve il 21,4% della LLE, alla malattia polmonare ostruttiva cronica il 10%, al tumore ai polmoni il 4,8% e alle altre patologie il 20,7%.
Il particolato fine PM2.5 (cioè con diametro <2,5 μm) è considerato il fattore di rischio ambientale più importante che contribuisce alla mortalità e alla disabilità cardiovascolare. Comprende numerosi composti derivati dalla combustione o che si formano da reazioni nell’atmosfera e riesce a penetrare nella parte più profonda dell’apparato respiratorio. Può avere effetti sul sistema cardiovascolare in vari modi, anche se il meccanismo non è stato ancora chiarito. È responsabile di infarti, ictus, aritmie e insufficienza cardiaca. Si pensa che possa indurre infiammazione, stress ossidativo e disfunzione endoteliale dei vasi e contribuire allo sviluppo di rischi indiretti, come ipertensione, diabete e aterosclerosi.
Secondo gli autori dello studio, l’inquinamento atmosferico dovrebbe essere incluso come fattore di rischio – insieme a fumo, diabete e ipertensione e colesterolo – nel linee guida sulla prevenzione delle malattie cardiache acute e croniche e dell’insufficienza cardiaca. Anche il lavoro pubblicato lo scorso anno da Jos Lelieveld e Thomas Münzel su European Heart Journal ha evidenziato come il 40% delle morti causate dall’inquinamento siano attribuibili a malattie cardiache.
I ricercatori hanno studiato anche le differenze tra le fonti di inquinamento, distinguendo tra quelle naturali (incendi, polveri dei deserti) e quelle di origine antropica, come i combustibili fossili. Hanno infine calcolato che si potrebbe intervenire sulla riduzione dell’aspettativa di vita dovuta all’inquinamento atmosferico rimuovendo parte delle emissioni antropogeniche. La diminuzione dell’aspettativa di vita – che come abbiamo visto è in media di 2,9 anni – potrebbe arrivare a 1,2 anni attraverso la rimozione delle emissioni antropogeniche e a 1,8 anni attraverso la rimozione dei soli combustibili fossili.
A causa della grande diversità geografica delle emissioni, i risultati indicano importanti differenze regionali. In Asia orientale, 3 dei 3,9 anni di vita persi potrebbero essere potenzialmente prevenuti, mentre in Africa, dove prevalgono le polveri desertiche, si potrebbero evitare “solo” 0,7 anni su 3,1. Negli Stati Uniti e in Cina, fino all’80–85% della diminuzione dell’aspettativa di vita è prevenibile attraverso il controllo delle emissioni antropogeniche, mentre in Nigeria e in Egitto è del 16-17%. In Italia la percentuale è intorno al 60.
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