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Tagli alla sanità italiana, una fotografia degli ultimi anni

Secondo Luigi Marattin (Italia Viva) non ci sono stati tagli, mentre Walter Ricciardi parla di 37 miliardi di euro. Approfondiamo la questione partendo dai dati.

Il 29 febbraio scorso un deputato di Italia Viva, Luigi Marattin, e Walter Ricciardi, già membro del comitato esecutivo dell’OMS e consigliere del ministro della Salute (oltre che Commendatore della Repubblica dal 2017 per meriti scientifici) si sono scontrati durante un programma televisivo sui tagli alla Sanità, questione che è emersa in modo importante in questi giorni di emergenza sanitaria. Come Pagella Politica ha riportato in un’analisi di quanto detto al dibattito, i due avrebbero discusso di un presunto taglio di 37 miliardi di € alla Sanità pubblica che sarebbe avvenuto negli ultimi 7 anni. Marattin sosteneva che non ci fosse stato nessun taglio, mentre Ricciardi sosteneva il contrario. In realtà hanno entrambi detto una cosa giusta. Andiamo a vedere il perché.

Il Sistema Sanitario Nazionale Italiano: una fotografia degli ultimi anni

Innanzitutto il Sistema Sanitario Nazionale ottiene i finanziamenti da quattro diverse fonti:

  • Entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale, come per esempio il ticket che si paga per le visite,
  • Fiscalità generale delle Regioni: IRAP (Imposta Regionale Attività Produttive) e IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche),
  • Compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano,
  • Bilancio dello Stato: tramite IVA destinata alle Regioni a Statuto Ordinario, le accise sui carburanti e il Fondo Sanitario Nazionale.

Come possiamo vedere dal primo grafico, risulta evidente che ci sia stato un aumento del finanziamento al SSN a carico dello Stato dal 2011 a oggi: dai 106 miliardi del 2011 ai 114 miliardi del 2019. Quindi, basandoci solo sul primo grafico sembrerebbe che non ci sia stato alcun taglio negli ultimi anni, anzi, che lo Stato abbia perfino investito di più. In realtà questa analisi è incompleta, perché non tiene conto di un elemento fondamentale, e cioè dell’inflazione.

Sarebbe proprio l’inflazione a spiegare il motivo per cui entrambi i partecipanti alla trasmissione avessero ragione: è vero, la spesa pubblica per il SSN è aumentata, ma è calata se si tiene conto della diminuzione del potere d’acquisto.

Ma da dove vengono i 37 miliardi citati da Ricciardi?

La cifra è stata per la prima volta citata da uno studio di GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) del settembre 2019, che afferma che “nel periodo 2010-2019 alla sanità pubblica sono stati sottratti circa € 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finanziarie; o oltre € 12 miliardi nel 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che ha assegnato meno risorse al SSN rispetto ai livelli programmati, per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica” e, come dicevamo: “nel periodo 2010-2019 il finanziamento pubblico è aumentato di soli € 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,90% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%)

Lo studio della Fondazione Gimbe parla proprio di un progressivo definanziamento in atto dal 2010, che avrebbe portato a un grave indebolimento del Sistema Sanitario.

Se osserviamo quanto riportato anche dal report ufficiale del Ministero dell’Economia e delle Finanze sul monitoraggio delle spese sanitarie uscito nel 2019, vediamo infatti che: “La dinamica della spesa sanitaria corrente di CN (Contabiiltà Nazionale n.d.a.) ha subito nel tempo un forte rallentamento. A fronte di un tasso di crescita medio annuo del 6,4% nel quadriennio 2003-2006, il tasso di crescita del quinquennio successivo scende all’1,8%. Tale andamento si è ulteriormente consolidato nel periodo 2012-2018, dove la spesa sanitaria registra un tasso di variazione medio annuo pari allo 0,4%”.

Il calo di posti letto

Secondo l’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale più recente, pubblicato a settembre 2019 e riferito all’anno 2017, il numero delle strutture pubbliche è diminuito nel periodo 2014-2017 del 2%, quello delle strutture private accreditate del 1,7%. Si può affermare anche che siano calati i posti letto in generale: mentre nel 2013 i posti letto di degenza ordinaria erano 160.002, quindi 2,6 ogni 1000 abitanti, nel 2017 erano 151.646, quindi 2,5 ogni 1000 abitanti. Anche i posti letto in day hospital sono diminuiti: da 2595 nel 2013 a 1378 nel 2017, quindi da 0,3 ogni 1000 abitanti a 0,2. Secondo un’analisi di AGI, il calo di posti letto sarebbe in realtà dovuto a una strategia specifica in atto da oltre 25 anni conseguente all’invecchiamento della popolazione: potenziare l’assistenza domestica sfavorendo quella in strutture ospedaliere.

L’arrivo del Coronavirus

Abbiamo già visto i dati del personale sanitario, dove abbiamo notato come gli infermieri siano estremamente carenti nel nostro paese. Secondo l’OMS la proporzione ottimale sarebbe 3 infermieri per ogni medico, mentre nella maggior parte delle regioni italiane si hanno tra i 2 e i 2,9 infermieri per medico, e addirittura in Calabria e Sicilia il rapporto è inferiore a 2. I medici italiani inoltre sono abbastanza anziani dal momento che il turnover con gli specializzandi è limitato. Con le misure straordinarie del 7 marzo scorso è stata prevista l’assunzione di nuovi medici per far fronte all’emergenza e l’aumento dei posti di terapia intensiva.

Come possiamo vedere c’è stato un aumento di posti in terapia intensiva negli ultimi anni. Secondo il Ministero della Salute (2017), “Il numero di posti letto dedicati alle discipline di emergenza (terapia intensiva, unità coronarica, grandi ustioni) sono 7.981, pari a circa 13,8 ogni 100.000 abitanti. Costituiscono il 3,3% dell’ammontare complessivo dei posti letto utilizzati per acuti, coerentemente con quanto stabilito dalle linee guida nazionali del 1996”, ma data l’emergenza i posti in terapia intensiva dovrebbero aumentare del 50%.

Sul sito del Ministero della Salute è possibile consultare una pagina che riporta tutti i prodotti (mascherine, tute, tamponi, calzari ecc.) distribuiti nelle diverse regioni italiane per affrontare l’emergenza, conseguenza del decreto “Cura Italia” del 16 marzo 2020.


Leggi anche: Coronavirus e riduzione dell’inquinamento in Pianura Padana

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

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Francesca Zanni
Ho frequentato un corso di Giornalismo Culturale e tre corsi di scrittura creativa dopo una laurea in Storia Culture e Civiltà Orientali e una in Cooperazione Internazionale. Ho avuto esperienze di lavoro differenti nella ricerca sociale e nella progettazione europea e attualmente mi occupo di editoria. Gattara, lettrice accanita e bingewatcher di serie TV.