Ansia e depressione: un supporto dalle app?
Sono molte le app contro lo stress lanciate durante il lockdown. Ma dobbiamo fare attenzione a che cosa chiediamo loro
La pandemia, e quindi il lockdown e le sue conseguenze, si è abbattuta su situazioni di vita non sempre serene. Secondo l’ultima rilevazione Istat pubblicata nel 2018, il 7% della popolazione oltre i 14 anni (cioè 3,7 milioni di persone) ha sofferto nell’anno di disturbi ansioso-depressivi. In particolare si soffre di depressione, che colpisce il 5,4% delle persone con più di 15 anni. Le cose peggiorano con l’età, passando dal 5,8% di 35-64 enni che ne soffrono al 14,9% fra le persone con più di 65 anni. Inoltre, i disturbi ansioso-depressivi si associano a condizioni di svantaggio sociale ed economico: fra gli adulti con basso livello di istruzione la prevalenza è doppia rispetto a quella fra i coetanei più istruiti. Chi non ha una situazione lavorativa relativamente stabile presenta un maggiore rischio di disturbi di depressione o ansia cronica grave (ne è colpito rispettivamente il 10,8% e 8,9%) rispetto al 3,5% degli occupati (3,5%).
Gli antidepressivi vengono assunti male
Certo: ci sono i farmaci, e la spesa per antidepressivi e ansiolitici è in continua crescita negli ultimi anni (dato OSMED 2019). Il problema è che li assumiamo male: secondo una rilevazione di AIFA su 123.618 soggetti over 45, il 40% di chi usa questi farmaci ha una bassa aderenza, e solo il 16% ha un’alta aderenza. Già dopo 96 giorni dall’inizio della terapia, il 50% dei pazienti, uomini e donne, interrompe il trattamento.
Le app calmanti
Posto che la cosa migliore da fare in caso di malessere persistente è chiedere aiuto a uno specialista, in alcuni casi le app possono essere un supporto utile da provare, e sicuramente lo sono state durante questa quarantena, dove eravamo per lo costretti in casa. In questi mesi c’è stato un fiorire di app “calmanti”, per gestire attacchi di panico, per prendersi il tempo per meditare, o anche solo per imparare a respirare a fondo abbassando i battiti cardiaci.
A Padova per esempio una startup – Uqido – ha donato gratuitamente il software di una app antistress (si può usare anche sul pc come sito web), per il personale sanitario impegnato nella grande lotta contro il Coronavirus. La app si chiama Profondamente, è stata pensata insieme a un gruppo di psicoterapeuti ed è ora disponibile per tutti. “Questa app – si legge nel sito di Profondamente.app – si basa su un metodo validato che permette di passare da uno stato di tensione e stanchezza a una percezione soggettiva di benessere, grazie alla conoscenza profonda degli stati mentali.” In sostanza la app ci “obbliga” a prenderci quei venti minuti necessari per eseguire esercizi di respiro e focalizzazione utili a calmare la tensione della giornata. La capofila di questo genere di iniziative è stata CALM nata nel 2012, che offre diversi programmi fra i quali “21 giorni di calma” oppure “7 giorni di Sonno”, proponendo scenari e musiche da scegliere.
Un’altra app uscita in questi mesi è Headspace, una piattaforma digitale che offre sessioni di meditazione. Poi c’è ginger.io, che propone video con servizi di coaching, e che durante il lockdown ha messo gratuitamente a disposizione meditazioni guidate ed esercizi per la respirazione.
Attenzione: dobbiamo sempre tenere a mente che non tutte le app sono validate da professionisti. È sempre utile approfondire sul sito web o sui canali social delle compagnie, chi ha lavorato allo sviluppo dell’applicazione.
I chatbox (attenzione però)
Poi ci sono i chatbot, cioè sistemi in cui la app “dialoga” con il paziente simulando l’interazione con uno spacialista. Un esempio è WOEBOT.io, presente su Facebook e progettato dalla psicologa Alison Darcy dell’università californiana di Stanford, nato per offrire una terapia personalizzata “parlando” con l’utente usando esattamente le stesse frasi che userebbe lo specialista, insegnando a lavorare su schemi di pensiero negativi, sui circoli viziosi e via dicendo.
Il limite di questo genere di servizi – spiega Roberto Pozzetti Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano nel blog di AgendaDigitale.eu – è che ogni app si basa su un certo approccio psicologico. Come è noto ogni specialista nella sua formazione si è sentito più vicino a un metodo e meno a un altro: ci sono gli psicologi comportamentali, gli psicoanalisti, gli psichiatri. Scegliere lo specialista significa accettare di sottoporsi al suo metodo di indagine, che esclude altri approcci. Lo stesso avviene quando si sceglie una app. Non esistono app “universali” di questo tipo. Altra cosa invece, sono le app come la citata profondamente, che hanno come obiettivo il rilassamento, la gestione del momento.
Perché in persone l’ansia diventa patologica?
Tutti soffrono di ansia nella vita. La differenza è che per alcuni questa condizione è patologica, per altri solo una reazione passeggera per affrontare i momenti difficili. L’ansia diventa problematica quando è inaspettatamente grave o dura più a lungo del previsto dopo che una situazione stressante si è conclusa, provocando sconvolgimenti personali molto marcati o rendendo incapaci di affrontare le sfide quotidiane. Un disturbo d’ansia può essere diagnosticato quando una persona ha avuto più di un certo numero di sintomi quasi tutti i giorni per più di sei mesi.
“Il problema è che ci sono molte cose che non sappiamo” spiega David Baldwin, Direttore del Centro di Studi sulla Salute Mentale dell’Università di Southampton nel Regno Unito, in un’intervista sul portale di Horizon 2020. “Vi sono prove del fatto che la pandemia di COVID-19 stia aumentando il livello di ansia generalizzato della comunità, cosa che ci si può aspettare data la natura della nostra situazione, ma al momento non sappiamo davvero misurare l’ampiezza del fenomeno”.
Non sappiamo esattamente perché alcune persone riescono a far fronte all’ansia, mentre per altre persone diventa un disturbo cronico e invalidante. “Il neurocircuito che processa l’ansia ‘normale’ e quella patologica è probabilmente simile, ma non sappiamo davvero perché solo alcune persone riescono a rimanere in piedi senza eccessivi turbamenti nonostante le molteplici esperienze avverse, mentre altre possono essere turbate da sintomi persistenti e gravi, anche senza una causa evidente” continua Baldwin. Si sa molto poco anche sul disturbo d’ansia da separazione negli adulti. L’ansia da separazione, cioè la minaccia che qualcuno sia “fuori portata”, era tradizionalmente considerata una condizione infantile, ma ora viene sempre più riconosciuta anche in età adulta. “Non sappiamo molto nemmeno su come gestire i pazienti quando non hanno risposto completamente alla terapia cognitivo-comportamentale o al trattamento selettivo dell’inibitore dell’assunzione di serotonina. E sappiamo poco su come prevenire i problemi secondari che possono verificarsi con disturbi d’ansia, come la depressione.”
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