Linguaggio, viaggi interstellari ed avamposti spaziali
Come cambierà il sistema linguistico durante lunghe missioni spaziali?
Più una comunità vive isolata e più la lingua si allontana da quella nativa. Cosa succederà quando l’essere umano sarà in grado di compiere un lungo viaggio interstellare o di stabilire colonie lontane dalla Terra? Probabilmente, se gli esploratori un giorno facessero ritorno a casa, nessuno li capirebbe.
Quindi, se state pensando che nel futuro potrebbero esserci problemi di comunicazione solo con gli alieni, vi sbagliate di grosso.
I film di fantascienza ci hanno abituati a personaggi extraterrestri di ogni sorta che comunicano nei modi più disparati: linguaggi articolati, telepatia, semasiografia complessa come in “Arrival” (Denis Villeneuve – 2016). La famosa saga di “Star Trek” è stata precursore per una grande varietà di spunti affascinanti e innovativi. Ad esempio, in uno degli episodi della serie “The Next Generation” (“Darmok”), il capitano Picard si esibisce in un fantastico esercizio di comunicazione con un alieno che parla per metafore, il cui linguaggio risulta incomprensibile perfino al traduttore universale. Ma anche le lingue che conosciamo oggi, un giorno potrebbero diventare misteriose e sconosciute.
I dialetti legati a ristrette aree geografiche, le cadenze linguistiche e gli slang nati da diversi ambienti culturali e sociali rendono il nostro sistema linguistico articolato e variegato.
Il linguaggio tende a convergere quando comunità diverse interagiscono tra loro ma diverge se queste restano isolate e meno scambi ci saranno con l’esterno, tanto più si discosterà dalla forma originaria. E, nonostante ci siano lingue considerate “internazionali” nella comunicazione globale, in fondo, non c’è nulla di così chiaro.
Se questo può accadere sulla Terra, nello spazio, dove l’ambiente è ostile e le distanze sono enormi, membri della stessa specie potrebbero diventare perfetti estranei, come mai è successo finora.
Quando e come cambiano le lingue?
Nel corso della storia il modo di comunicare degli esseri umani è cambiato molte volte: dalla gestualità, ai pittogrammi, fino ai sistemi linguistici scritti e parlati più complessi. Questi ultimi sono in continua trasformazione, seppur non è possibile prevedere quando e come si verificherà una mutazione. Di sicuro ne emergeranno diverse nell’arco di una sola vita.
Varianti fonetiche (che riguardano la pronuncia), morfologiche (che coinvolgono la struttura delle parole) o sintattiche (che interessano intere frasi) possono svilupparsi sia in comunità isolate che in uno scenario di globalizzazione. Nel primo caso, piccole variazioni quotidiane si sommeranno senza che le persone se ne accorgano, fino a quando la lingua potrebbe diventare quasi incomprensibile al popolo di origine. Analogamente, lingue diverse tendono a convergere quando c’è integrazione. È il caso dei vocaboli presi in prestito, come tutte le parole straniere, soprattutto inglesi, che sono diventante di uso comune nella lingua italiana.
Anche l’identità influenza il cambiamento di una lingua, quando la comunicazione diventa un simbolo di appartenenza, geografico o sociale. In un recente articolo pubblicato sulla rivista Acta Futura, edita dall’Agenzia Spaziale Europea ESA, Andrew McKenzie, dell’Università del Kansas e Jeffrey Punske, dell’Università del Sud Illinois, hanno discusso questi aspetti ed esplorato quali conseguenze potrebbero avere i lunghi viaggi interstellari sui sistemi linguistici terrestri.
Lo studio
L’essere umano ancora non è in grado di allontanarsi troppo dalla Terra ma cosa succederebbe al nostro sistema linguistico durante un lungo viaggio interstellare, magari su una nave generazionale? O su un avamposto isolato nel Sistema Solare o ancora più lontano?
Basterebbe una sola generazione per assistere a cambiamenti significativi. L’isolamento fisico e sociale di un viaggio interstellare o di una colonia lontana favorisce una divergenza dai sistemi culturali e linguistici nativi, soprattutto nel momento in cui le comunicazioni con il pianeta di origine diventano rare o impossibili a causa delle enormi distanze. Al contrario, tra i membri della stessa spedizione, seppur di nazionalità, usi e costumi diversi, si verifica una convergenza.
Il problema non è da sottovalutare. L’impossibilità di comunicare crea isolamento. Probabilmente, dopo 200 anni, l’equipaggio, disconnesso dal mondo natale, userebbe una lingua incomprensibile non solo per i terrestri ma anche per altri gruppi di esploratori che, a loro volta, svilupperebbero un proprio linguaggio durante la traversata spaziale. Se inviassimo più navi generazionali verso un nuovo mondo lontano, il secondo, terzo, quarto gruppo arriverebbe a destinazione come «immigrati in una terra straniera», in un luogo dove la prima comunità ha già creato la propria lingua e la propria società. Di conseguenza, dopo un viaggio di centinaia di anni, queste persone dovrebbero ancora faticare per comunicare efficacemente e per riuscire a integrarsi. Ma fino a quel momento saranno discriminati? Oppure riusciranno a prendere contatti con la colonia mentre sono ancora in viaggio e potranno imparare usanze locali prima dell’arrivo?
Gli autori esplorano questi aspetti partendo dai casi osservati sulla Terra, dove la storia fornisce molti esempi concreti: dai dialetti sviluppati dai coloni europei, al caso più significativo della Polinesia. Qui, diversi insediamenti umani rimasero chiusi a qualsiasi influenza esterna per migliaia di anni. La lingua, anche se discendente probabilmente da un unico ceppo comune proto-polinesiano, si differenziò dall’originale e si propagò in moltissime varianti locali.
Nel documento viene citato anche il fenomeno dell’uptalk, vissuto in prima persona dai due linguisti. Un’abitudine che si è sviluppata negli ultimi 40 anni, diffusa soprattutto tra i giovani americani ed australiani. È la tendenza ad alzare l’intonazione nella parte finale di una frase (High Rising Terminal), creando confusione con il tono di domanda. Ma questo è solo un esempio, «con il tempo, nuove forme grammaticali possono sostituire completamente quelle attuali», scrivono gli autori.
«Se sei su una nave interstellare per 10 generazioni, emergeranno nuovi concetti, sorgeranno nuovi problemi sociali e le persone creeranno modi di parlarne e questi diventeranno il particolare vocabolario di quella nave», ha dichiarato McKenzie in un comunicato. «Sulla Terra potrebbero non conoscere mai quelle parole, a meno che non ci sia una ragione per dirle. E più si andrà lontano e meno si parlerà con le persone a casa. E le generazioni passeranno, fino a quando a casa non rimarrà nessuno con cui parlare».
Fino a quando comunicheremo con la Terra, spiegano gli autori, dovremo continuare a impararne la lingua, per esempio l’inglese che, nel frattempo, continuerà ad evolversi proprio come continuerà a cambiare il linguaggio sulla nave interstellare, creando divergenze ancora più significative. Ma «la connessione si ridurrà nel tempo. E, alla fine, forse, si arriverà al punto in cui non vi sarà più alcun contatto reale, se non aggiornamenti occasionali», inviati nello spazio a chiunque potrà riceverli.
«Data la certezza che tali problemi sorgeranno in scenari come questi e l’incertezza di come progrediranno, suggeriamo vivamente che qualsiasi equipaggio esibisca forti livelli di addestramento metalinguistico oltre a conoscere semplicemente le lingue richieste. Ci sarà bisogno di una politica linguistica informata a bordo che possa essere mantenuta senza fare riferimento alle normative terrestri».
Nella pratica, come si comunica nello spazio?
Nella vita ordinaria le persone possono parlare una o più lingue, la cosiddetta lingua madre e altre di proprio gradimento. Ma quando si tratta di cooperazione multietnica e comunicazione professionale, la scelta ricade quasi esclusivamente sull’inglese.
L’inglese, ad esempio, è la lingua dell’aviazione internazionale, utilizzata da tutti gli operatori, personale ATC (controllo del traffico aereo), piloti ed equipaggio, per una comprensione efficace e per mantenere alti livelli di sicurezza. L’inglese è generalmente la lingua della scienza ed è comunemente usata nelle applicazioni tecniche. Ma è veramente un linguaggio consolidato?
La Stazione Spaziale Internazionale (ISS), ad esempio, è governata da protocolli e accordi espressi in lingua inglese e la lingua inglese è la lingua operativa. Ma ci sono molte eccezioni.
Fino a poco tempo fa, con la chiusura del programma Space Shuttle, gli americani usavano i Soyuz sovietici per raggiungere l’orbita dove la lingua in vigore era ovviamente il russo. Sulla ISS si alternano equipaggi di 15 paesi che possono parlare nella loro lingua madre quando comunicano con il proprio controllo missione ma che devono cavarsela abbastanza bene con l’inglese per le attività centralizzate e per comunicare con i colleghi a bordo. Tuttavia, non ci sono vere e proprie regole.
Peggy Whitson, l’astronauta NASA nota per aver trascorso 665 giorni nello spazio stabilendo uno dei tempi di permanenza femminile più lunghi, aveva dichiarato in un’intervista: «Ho avuto diversi equipaggi e, a seconda delle loro capacità linguistiche, devi pensare a un linguaggio comune. Ad esempio, una volta ho conosciuto un collega russo che continuava a confondere il martedì [Tuesday] con il giovedì [Thursday], quindi dovevo sempre specificare quale dei due. Alla fine abbiamo sviluppato un modo condiviso per identificare l’uno dall’altro».
L’astronauta americano Scott Kelly, campione di permanenza nello spazio, ci ha confermato via mail che quando gli equipaggi misti sono insieme per lunghi periodi, gli usi comuni possono fondersi: «A volte mescoliamo russo e inglese nella stessa frase. Ad esempio, la parola per “cosa” [what] in russo è “что”, pronunciato shtow. ” Что ever”, ” qualunque cosa” [what ever], è comunemente usato».
E se pensate che le scienze matematiche possano favorire una comunicazione condivisa, vi state sbagliando nuovamente.
Nel settembre del 1999, dopo quasi 10 mesi di viaggio verso Marte, la sonda della NASA Mars Climate Orbiter bruciò e si spezzò nell’atmosfera del Pianeta Rosso. Quello fu il giorno in cui gli ingegneri dell’Agenzia Spaziale Americana si resero conto di NON dover usare due pesi e due misure!
L’orbiter, assieme al Mars Polar Lander, una missione dal costo di 328 milioni di dollari, fu lanciata l’11 dicembre del 1998 per studiare il clima marziano, l’atmosfera e i cambiamenti della superficie. Il team di navigazione del Jet Propulsion Laboratory (JPL) utilizzò il sistema metrico decimale nei propri calcoli, mentre Lockheed Martin di Denver (Colorado), che progettò e costruì la sonda, fornì i dati di accelerazione cruciali per l’ingresso in atmosfera nel sistema metrico inglese con pollici, piedi e libbre. Agli ingegneri del JPL sfuggì, però, che le unità fossero state convertite, ovvero che stessero leggendo libbre-secondi^2 piuttosto che newton-secondi^2. Così, in un certo senso, il veicolo spaziale andò perso a causa di un problema di traduzione.
La situazione linguistica nello spazio potrebbe evolversi ulteriormente nei prossimi anni con l’aumento di nazioni coinvolte nel settore aerospaziale: la Cina, ad esempio, potrebbe svolgere un ruolo cruciale soprattutto se gestirà una propria stazione spaziale orbitante attorno alla Terra.
Dalla comunicazione al linguaggio rituale
Sebbene l’educazione e la formazione abbiano una funzione importante nel promuovere o sradicare le varietà linguistiche, quando c’è globalizzazione le lingue continuano a mescolarsi. I viaggi e le telecomunicazioni prevengono le divergenze ed espongono le persone a continue interazioni con lingue, accenti e profili sociali eterogenei.
I bambini e i giovani giocano un ruolo fondamentale nell’innovazione linguistica. I primi con la loro fantasia, basti pensare all’aggettivo “petaloso” coniato da Matteo nel 2016, un bimbo di una scuola primaria del ferrarese, ora inserito nel vocabolario; i secondi, perché seguono tendenzialmente le mode anche nel campo della comunicazione. Nel bene o nel male, ad esempio, stiamo assistendo a cambiamenti significativi nella forma scritta dell’italiano a causa dell’uso quotidiano di sms, social e chat che spesso impongono messaggi brevi e comunicazioni veloci.
Però, non tutto si diffonde e si fonde come potrebbe sembrare. «Mentre alcuni dialetti si stanno livellando verso forme standard, altri stanno divergendo come marcatore di identità socioeconomica e un modo per rimanere distinti in una cultura omogeneizzata», scrivono McKenzie e Punske. Nello spazio «tale marcatura potrebbe diventare un fattore critico di divergenza linguistica anche se fosse ancora possibile una comunicazione a due vie con la Terra», poiché l’equipaggio formerebbe una propria «identità regionale» distinta dal controllo missione sul nostro pianeta. Inoltre, «se il personale di bordo fosse abbastanza numeroso, i compiti potrebbero essere differenziati in modo simile agli strati socioeconomici della società terrestre». È quindi possibile che emergano più varietà nell’ambito della stessa nave interstellare o colonia, suggeriscono i linguisti. Quando non si potrà più avere scambi bidirezionali con la Terra, gli umani finirebbero per non capirsi più: i messaggi inviati verso casa userebbero lingue morte ed assomiglierebbero più a forme rituali e liturgiche che ad una vera e propria comunicazione.
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