TECNOLOGIA

L’informazione come quinto stato della materia

L’imponente crescita dell’informazione digitale sta creando una vera e propria ridistribuzione della materia fino a quando, in un futuro non troppo lontano, i bit supereranno gli atomi presenti sulla Terra.

Negli ultimi anni le nostre vite sono diventate sempre più connesse al mondo digitale. Senza che ce ne rendiamo troppo conto, una dipendenza costante dalla rete delinea le nostre azioni. Scuola, lavoro, pratiche burocratiche (alcune delle quali esistono ormai solo in versione telematica), tempo libero: il laptop e lo smartphone sono diventati strumenti quasi inseparabili, per necessità, per hobby o per gioco, o semplicemente per il desiderio e l’abitudine di essere online.

Secondo i dati più recenti rilasciati dalla International Telecommunication Union, un’agenzia delle Nazioni Unite responsabile di tutte le questioni relative alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, più della metà della popolazione mondiale ha accesso ad Internet, ovvero 4,1 miliardi di persone. Ma questa è una moneta a due facce. Da una parte ci siamo abituati a gestire molte cose, compresi i rapporti interpersonali, con due digitazioni e qualche click, dall’altra ci sono aspetti globali molto più complessi che potrebbero entrare in gioco in un futuro non troppo lontano.

Secondo un recente studio, ancora nell’ambito della fisica teorica, l’informazione potrebbe diventare la quinta forma della materia, affiancando lo stato solido, liquido, gassoso e plasmatico. Di conseguenza, il crescente utilizzo del digitale porterà ad una situazione di saturazione con conseguenze “catastrofiche”.

Dai bit alla catastrofe dell’informazione

Ognuno di noi ha ormai acquisito una certa familiarità con le unità di misura informatiche: bit, Byte, kilobyte, Megabyte, Gigabyte, Terabyte… quando la nostra chiavetta USB è satura, con la memory card della fotocamera, quando acquistiamo uno smartphone con più “memoria” o un hard disk per archiviare dati. In particolare, il bit è l’unità di misura base dell’informazione nell’informatica e nelle comunicazioni digitali e rappresenta uno stato logico con due possibili valori: 0 e 1, on ed off, vero e falso.

Dalla scoperta del transistor nel 1947 e del microchip integrato nel 1956, la nostra società è stata protagonista di enormi sviluppi tecnologici. In poco più di mezzo secolo, abbiamo raggiunto una potenza di calcolo senza precedenti, tecnologia wireless, Internet, intelligenza artificiale e molteplici progressi tecnologici che hanno radicalmente cambiato il settore della comunicazione, dei trasporti, della medicina, solo per citarne alcuni. Questi progressi sono stati possibili grazie alla capacità acquisita di creare e memorizzare grandi quantità di informazioni digitali.

Queste ultime, oggi sono un bene prezioso e la spina dorsale della nostra società, della nostra economia e delle nostre relazioni. Ma se la crescita dei contenuti digitali continuerà a seguire il trend odierno, o addirittura superiore, il mondo raggiungerà una sorta di singolarità in qualche centinaia di anni. Secondo Melvin Vopson, docente senior di fisica presso l’Università di Portsmouth (Inghilterra), arriverà il momento in cui il tasso di produzione dei bit supererà il numero di atomi presenti sul nostro pianeta e, forse, anche la massa, innescando una “catastrofe dell’informazione”.

Forse la terminologia può sembrare un po’ allarmistica ed il problema insignificante rispetto a tante altre catastrofi che minacciano il nostro pianeta ma in fin dei conti l’impatto potrebbe avere implicazioni notevoli sullo stile di vita, sul modo di pensare e di agire di buona parte dell’umanità. «Stiamo veramente cambiando il nostro pianeta bit dopo bit e questa è una crisi invisibile», ha detto Vopson. «La crescita delle informazioni digitali sembra davvero inarrestabile. Secondo IBM e altre fonti di ricerca sui big data, il 90% dei dati mondiali, presenti oggi, è stato creato solo negli ultimi 10 anni. In qualche modo, l’attuale pandemia di COVID-19 ha accelerato questo processo perché sono stati utilizzati e prodotti più contenuti digitali come mai prima d’ora».

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista AIP Advances.

Se il bit avesse una massa

Per entrare nel merito della pubblicazione, è necessario citare un costrutto teorico che lo stesso Vopson ha proposto nel 2019, chiamato principio di equivalenza massa-energia-informazione. Il lavoro è ispirato alla ricerca del fisico tedesco-americano Rolf Landauer che, nel 1961, propose per primo un collegamento tra termodinamica ed informazione, postulando che l’irreversibilità logica di un processo computazionale implica l’irreversibilità fisica. Poiché i processi irreversibili sono dissipativi, risulta che l’irreversibilità logica è anche un processo dissipativo e, per estrapolazione, l’informazione è fisica.

In altre parole, distruggere un bit di informazioni richiede una dissipazione di energia comparabile e, analogamente, a causa della legge di conservazione dell’energia, è necessario un input di energia dello stesso valore per creare un bit di informazione. È quindi logico dedurre che, la creazione e la distruzione di un numero sempre maggiore di bit di informazione richieda un uso sempre maggiore energia.

Secondo tali presupposti, consideriamo un dispositivo di memoria come un sistema fisico isolato, introducendo il concetto di entropia. Senza voler scendere troppo in dettaglio, è giusto ricordare che l’entropia, comunemente definita come una misura del disordine del sistema, è una funzione che descrive e predice lo stato di qualunque sistema in natura, dove quest’ultimo evolve in maniera spontanea dagli stati con minore contenuto di entropia a quelli con maggiore contenuto perché più probabili.  Bene, l’entropia totale del nostro sistema dispositivo di memoria è costituita dall’entropia fisica, relativa agli stati privi di informazione, e dall’entropia informativa, caratteristica degli stati portatori di informazione. L’esecuzione di un’operazione logica irreversibile come una cancellazione, porta il sistema a diminuire la seconda ma ad aumentare la prima, perché la seconda legge della termodinamica afferma che la variazione di entropia totale non può diminuire nel tempo. Tale cambiamento, per quanto detto sopra, si manifesta attraverso una dissipazione di energia termica.

Basandosi su questo principio, dimostrato sperimentalmente in diversi studi recenti, Vopson ha ipotizzato che un bit di informazione digitale ha una massa finita e quantificabile. Una volta che viene creato un bit di informazione e supponendo che non ci siano perturbazioni esterne, esso può rimanere così molto a lungo senza alcuna dissipazione di energia. Di conseguenza, anche se può sembrare un’idea bizzarra, se il processo è in grado di trattenere informazioni per un tempo indefinito senza dissipazione di energia, allora vuol dire che quando il bit viene creato acquisisce una massa finita. Questa è la massa equivalente all’energia in eccesso creata nel processo di abbassamento dell’entropia delle informazioni quando un bit viene cancellato perché tra massa ed energia c’è un’equivalenza dettata dalla famosa equazione E = mc2 di Albert Einstein.

Di conseguenza, con un po’ di calcoli, «la massa di un bit di informazione a temperatura ambiente (300K, pari a 26,85 gradi Celsius) è 3,19 × 10-38 Kg», scrive nel suo primo documento. Egli prevede quindi che «la massa di un dispositivo di memorizzazione dati aumenta di una piccola quantità quando è piena di informazioni digitali rispetto alla sua massa quando è vuoto. Per un dispositivo da 1 TB la variazione di massa stimata è di 2,5 × 10-25 kg». Questo aumento teorico di massa sarebbe incredibilmente piccolo, ha detto Vopson, ma comunque significativo e misurabile.

Il principio di equivalenza massa-energia-informazione è, quindi, un’estensione del principio di Landauer e spiega il meccanismo con il quale un bit di informazione digitale immagazzina dati senza dissipare energia, acquisendo una massa (mbit) quando memorizza informazioni. In sostanza, un bit potrebbe essere visto come una particella di informazione astratta, senza carica, senza spin ma con una massa a riposo circa 10 milioni di volte più piccola della massa di un elettrone.

«La massa totale calcolata di tutte le informazioni che produciamo ogni anno sulla Terra attualmente è 23,3 × 10-17 kg. Questa massa è insignificante e impossibile da notare. Per fare un confronto, essa è circa circa la massa di un batterio Escherichia Coli, 1012 volte più piccola della massa di un singolo chicco di riso», scrive Vopson. Queste idee ancora non sono state confermate sperimentalmente ma il fisico le ha utilizzate, in via teorica, per studiare un possibile scenario futuro.

La massa dell’informazione

Secondo IBM, creiamo collettivamente 2,5 miliardi di Gigabyte di informazioni ogni giorno sulla Terra, ossia 2,5 quintilioni di Byte e poiché ogni Byte è composto da otto bit, ciò equivale a 2 x 1019 bit. Per un anno intero, questo equivale a 7,3 x 1021 bit. Sono molte informazioni. Vopson sostiene che la creazione di così tanti dati aumenterà in maniera esponenziale nei prossimi decenni e secoli, man mano che le nostre vite diventeranno sempre più digitali. La domanda è: possiamo sostenere questo afflusso?

Con tassi di crescita annui stimati (ma realistici) del 5%, 20% e 50%, il numero totale di bit creati sarà uguale al numero totale di atomi sulla Terra (∼1050) dopo ∼1200 anni, ∼340 anni e ∼150 anni, rispettivamente. «È importante considerare che la crescita delle informazioni digitali oggi è strettamente collegata ad altri fattori, tra cui la crescita della popolazione ed il maggiore accesso alle tecnologie dell’informazione nei paesi in via di sviluppo. Se uno qualsiasi di questi altri fattori viene invertito o saturato, il numero totale di bit di informazioni accumulati sul pianeta potrebbe raggiungere la saturazione prima o dopo», scrive Vopson.

Ma prima di arrivare a tutto ciò, il consumo energetico necessario per sostenere l’intera produzione di informazioni digitali diventerà superiore al consumo totale di energia sulla Terra oggi, che include l’energia industriale, dei trasporti e domestica.

Anders S. G. Andrae e Tomas Edler del Huawei Technologies Sweden hanno recentemente pubblicato una stima del consumo globale di elettricità che può essere ascritto a dispositivi di consumo, reti di comunicazione e data center, tra il 2010 ed il 2030. Le previsioni mostrano che le Communication Technology (CT) potrebbero utilizzare fino al 51% della capacità elettrica globale entro il 2030. Allo stesso modo, per tassi di crescita del 5%, 20% e 50%, la creazione di contenuti digitali assorbirà l’equivalente di tutti i requisiti energetici planetari odierni rispettivamente dopo ∼1060, ∼285 e ∼130 anni da oggi. Questi dati indicano che «l’attuale tasso di crescita è insostenibile e la produzione di informazioni digitali sarà limitata in futuro dai vincoli energetici planetari», scrive Vopson.

Ma non è tutto. Come abbiamo visto prima, se consideriamo il principio di equivalenza massa-energia-informazione questa quantità gigantesca di dati digitali avrà implicazioni significative anche in termini di massa, non solo in termini di energia. Il postulato indica, infatti, che le informazioni possono spostarsi tra stati di massa ed energia proprio come qualsiasi altro tipo di materia. Se tale ipotesi fosse vera, allora l’enorme quantità di energia richiesta per produrre i dati potrebbe essere equiparata alla massa.

«Con un tasso di crescita del 5% della produzione di contenuti digitali, il primo kg di massa di informazione si verifica dopo ∼675 anni da oggi e la metà della massa planetaria viene raggiunta dopo ∼1830 anni. Allo stesso modo, per tassi di crescita del 20% e del 50%, i numeri sono rispettivamente ∼188 anni e ∼50 anni per 1 kg di massa di informazione e ∼495 anni e ∼225 anni, rispettivamente, per metà della massa terrestre. In sostanza, in uno scenario estremo, entro il 2070 avremo 1 kg di bit digitali archiviato sul pianeta, tra data center, cloud, PC, smartphone… Allo stesso modo, con una crescita del 50% all’anno, entro il 2245, metà della massa del pianeta sarà costituita da bit digitali».

Dobbiamo preoccuparci?

Secondo lo studio, il punto di singolarità sarà raggiunto quando ci saranno più bit digitali che atomi sul pianeta. Allo stesso tempo, la sola produzione di informazioni digitali consumerà la maggior parte dell’energia planetaria, sfociando nella cosiddetta “catastrofe dell’informazione”. Tuttavia, anche se forse un po’ nei guai lo siamo, questa terminologia non è predittiva di un vero e proprio cataclisma. Vopson ci ha spiegato via mail: «Prima di tutto, penso che molti abbiano ricevuto il messaggio sbagliato. Non c’è niente di cui preoccuparsi. Vedo questo come un problema reale. Penso che le informazioni siano qualcosa trascurato da tutti. Tuttavia, questa “singolarità dell’informazione” potrebbe essere interpretata come un processo evolutivo verso qualcosa di nuovo, un punto di transizione verso qualcos’altro, o un nuovo inizio, in modo simile alla “singolarità del picco del petrolio”, “la singolarità del Big Bang”, ecc. Sta accadendo lentamente ma nessuno per questo cancellerà foto personali, video, documenti, giochi, ecc. Semplicemente ci evolveremo e ci adatteremo. Le forze di mercato, i limiti tecnologici, i limiti energetici potrebbero agire da moderatori in questa evoluzione, ma noi stessi non cambieremo nulla nella nostra vita quotidiana.

Quello che potrebbe cambiare rapidamente, quando e se questo diventasse un problema visibile, è l’approccio che dovranno adottare i giganti della tecnologia ed i giganti di Internet. Essenzialmente avremo bisogno di sviluppare tecnologie completamente nuove per l’archiviazione dei dati, in cui le informazioni non sono archiviate in cose materiali (memorizzazione magnetica, unità ottiche, stato solido, ecc.). Invece, le informazioni potrebbero essere memorizzate in supporti non materiali come fotoni, vuoto, ologrammi, ecc. Lo sviluppo di tali tecnologie risolverebbe il problema del numero di bit e il problema delle dimensioni, identificato nel mio recente articolo. Tuttavia, non è chiaro quali potrebbero essere le implicazioni se l’informazione avesse davvero massa!

Se il nostro progresso tecnologico non offrirà modi alternativi per memorizzare le informazioni digitali, esauriremo la capacità di archiviazione come previsto nel mio studio. Se si manifesterà questo scenario, il risultato per la società sarà un costo reale per l’archiviazione delle informazioni. Ciò significherà non essere in grado di caricare file illimitati in cloud, su YouTube, sui social media, ecc. È difficile prevedere cosa farà la società ma il costo delle informazioni digitali aumenterà e potrebbe anche tramutarsi in una tassa sulle informazioni, in un futuro non molto lontano.

Se risolviamo i limiti tecnologici dell’archiviazione dei dati in modi diversi da quello che stiamo facendo oggi, allora rimane ancora il problema energetico che dovrà essere affrontato. Sono più ottimista riguardo agli aspetti energetici perché molto probabilmente padroneggeremo modi migliori per estrarre energia dalla fusione, dal fotovoltaico (vicino al 100% di efficienza), ecc.».

Oppure, chissà, da una singolarità di questo tipo potrebbe scaturire anche in una involuzione tecnologica ed un ritorno ad abitudini meno digitali…

Esiste, comunque, una impressionante somiglianza tra l’argomento illustrato da Vopson e quanto preconizzato circa mezzo secolo fa dal grande scrittore Stanislaw Lem, polacco di origini ucraine e autore del celebre romanzo “Solaris” da cui sono stati tratti due film. Egli scrisse, in uno dei suoi numerosi racconti fantascientifici, spesso farciti di ironia e filosofia, di un eclettico scienziato (il professor A. Dońda) che dimostra l’equivalenza massa-informazione, analoga all’equivalenza massa-energia. Ci riesce accumulando un’enorme quantità di informazioni inutili in un supercomputer e misurandone il cambiamento di peso. Anche in quel caso, la crescita di informazioni accumulate dall’umanità porta a una catastrofe poiché, raggiunta una “massa critica”, essa genera un’esplosione da cui nasce un nuovo Universo, lasciando l’umanità senza alcuna conoscenza.

Ma questa ricerca ricorda anche le realtà simulate di film cult come “Matrix” o  “Il Tredicesimo piano”. E lo stesso Vopson ha confessato:

«Questo è esattamente quello che penso anch’io ma non lo dico ad alta voce. Dobbiamo usare la nostra immaginazione. Vedo questo processo come un’evoluzione inevitabile verso, forse, una forma di esistenza superiore alla vita biologica. Ecco uno scenario: 50 anni fa non avevamo computer, Internet, telefoni cellulari, cloud, intelligenza artificiale, tecnologie wireless, VR, tecnologie digitali, niente. Oggi abbiamo spostato le banche su Internet e usiamo denaro digitale, facciamo acquisti online, giochiamo online, socializziamo online, archiviamo tutto su piattaforme di archiviazione digitale e le nuove industrie sono i colossi high-tech / Internet.

Vedo una transizione lenta verso un mondo futuro, proprio come illustrato in molti film di fantascienza, dove il nostro casco VR diventa più simile ad un cyberspazio simulato (abbiamo già sviluppato la realtà virtuale aumentata), forse inizialmente guidato dall’industria dei giochi, per poi entrare nel mercato dell’istruzione, del turismo, dell’assistenza sanitaria, del sesso, ecc. … Alla fine questi cyberspazi si uniscono in una realtà informatica in cui le persone possono incontrarsi e intraprendere attività, andare a lavorare in un edificio simulato, ecc. ecc. …. fino a quando il mondo reale è indistinguibile da quello virtuale.

Se questo accadrà contemporaneamente all’evoluzione dell’IA e alla capacità degli umani di raggiungere la trascendenza attraverso le macchine (credo che esista persino un movimento chiamato transumanesimo, cioè le persone credono nella fusione della vita biologica con i computer), allora non è troppo difficile immaginare come l’intero paesaggio planetario cambierà in un mondo simulato digitalmente. In effetti, un numero crescente di accademici seri crede che viviamo già in un universo simulato. Il Prof. Nick Bostrom dell’Università di Oxford ha proposto per primo questa ipotesi, nota come ipotesi della simulazione. Non mi piace l’idea ma sfortunatamente alcune delle mie recenti ricerche la supportano o la indicano come possibile risultato futuro».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Elisabetta Bonora
Romana, ligure di adozione. Nella vita professionale mi occupo di web, marketing & comunicazione a 360 gradi. Nel tempo libero sono una incontenibile space enthusiast, science blogger ed images processor, appassionata di astronomia, spazio, fisica e tecnologia, affascinata fin da bambina dal passato e dal futuro. Dal 2012 gestisco il sito web aliveuniverse.today, dal 2014 collaboro con diverse riviste del settore e nel 2019 è uscito il mio primo libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno". Amo le missioni robotiche.... per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima! Ovviamente, sono una fan di Star Trek!