La scienza dello storytelling. Come le storie incantano il cervello
E se la scienza potesse dare informazioni utili agli scrittori per realizzare buona narrativa? Risponde Will Storr, scrittore e giornalista britannico.
Ci sono dei meccanismi del nostro cervello che le neuroscienze hanno analizzato e che potrebbero essere di grande aiuto per scrivere storie migliori. Un esempio? Il nostro cervello ragiona per immagini, quindi, come hanno affermato nella storia della letteratura grandi scrittori come C.S. Lewis (e più recentemente anche Stephen King n.d.a.) il modo migliore per fare immaginare ai lettori situazioni e scene è mostrare. Questo è solo uno degli esempi che nel nuovo saggio di Will Storr, scrittore e giornalista britannico, La scienza dello storytelling (Codice Edizioni, 24€) coniugano la scienza e l’arte dello scrivere bene. Un manuale di scrittura basato su ricerche scientifiche, che dà consigli pratici a scrittori e aspiranti scrittori, ma anche a un pubblico generalista appassionato tanto di scienza quanto di buona letteratura.
Come scrivere? Te lo dice la scienza
“Alcune idee dei teorici della narrazione presentavano incredibili somiglianze con quello che gli psicologi e i neuroscienziati che stavo intervistando mi spiegavano in merito alla mente e al cervello. Pur essendo partiti da luoghi molto distanti tra loro, narratori e scienziati sembravano giungere alle stesse conclusioni”, scrive Storr. Per riprendere l’esempio precedente, la scienza ha dimostrato che iniziamo a immaginare quello che leggiamo quasi subito. Per questo è necessario che per realizzare un buon romanzo le parole siano disposte nelle frasi in modo coerente con ciò che lo scrittore vuole che il lettore visualizzi. “C.S. Lewis esortava un giovane scrittore nel 1956: «Non dirci che la tal cosa era ‘terrificante’: raccontacela così da terrificarci. Non affidarti all’aggettivo ‘incantevole’: facci esclamare ‘incantevole!’”.
Questo è solo uno dei tanti consigli di scrittura che l’autore, che tiene corsi di scrittura creativa dal 2014, utilizza nelle sue lezioni e spiega nel suo libro. Un altro importante consiglio che viene sviluppato (in questo caso nell’appendice del testo) è quello che si basa sull’approccio del difetto sacro. Anche questo, naturalmente, deriva dalla scienza: “L’approccio del difetto sacro punta a costruire una storia d’invenzione ispirandosi al modo in cui un cervello costruisce una vita.” Il nostro cervello è infatti un vero e proprio narratore che crea storie continuamente e dà un volto umano anche agli oggetti, umanizzandoli e creando personaggi.
Il sistema dell’approccio sacro si concentra proprio sui personaggi, che secondo Storr sono il vero fulcro della narrazione, e li rende realistici con dei difetti. Il difetto sacro è una caratteristica del protagonista che può condurlo o meno al cambiamento e che è stato causato in lui dal suo vissuto e in parte dalla genetica. “Le buone storie sono indagini sulla condizione umana: viaggi entusiasmanti nei territori di menti sconosciute. Non riguardano tanto gli eventi che hanno luogo sulla superficie del dramma, quanto coloro che li dovranno affrontare. I personaggi, di cui facciamo conoscenza a pagina 1, non sono mai perfetti. Ciò che suscita la nostra curiosità, e offre a loro una battaglia drammatica da combattere, non sono i traguardi che hanno raggiunto, né quel sorriso di vittoria. Sono i loro punti deboli.” Storr tratta anche la narrazione dando indicazioni pratiche sugli atti in cui dividere una storia, analizzando i tipi di trama e parlando di introspezione psicologica dei personaggi, seguendo quindi le basi del classico manuale e realizzando così un prodotto assolutamente valido per chi vuole cimentarsi alla scrittura creativa ma non sa da dove partire.
Raccontare storie è evolversi
La scienza non ci spiega solo come scrivere, ma anche perché lo facciamo. L’essere umano scrive e racconta storie perché siamo essenzialmente esseri sociali. “Non saremmo comunque i narratori che siamo se non fosse per la regione cerebrale che si è evoluta più di recente: la neocorteccia. È uno strato spesso più o meno come il colletto di una camicia, e ripiegato in modo tale che la sua superficie di novanta centimetri riesca a stare nello spazio che abbiamo sotto la fronte. Uno dei suoi compiti essenziali è quello di monitorare i nostri mondi sociali. Ci aiuta a interpretare i gesti, le espressioni facciali nonché a offrire supporto alla teoria della mente.”
Con l’evoluzione siamo diventati meno aggressivi e più socievoli per vivere in comunità, dal momento che già dall’età della pietra era decisamente più conveniente che affrontare il mondo da soli. La forza dell’essere umano sta quindi nel capire gli altri per poterci vivere insieme. È qui che entrano in scena le storie. Con le storie, siamo maggiormente capaci di sviluppare empatia e comprendere le emozioni. Non è un caso infatti che le fiabe e il gioco siano momenti fondamentali nella crescita dei bambini, in quanto spiegano le metamorfosi dell’umore e del comportamento umano, che possono essere traumatizzanti per i bambini quando le sperimentano per la prima volta. Ma le fiabe sono anche quelle che raccontano ai bambini che se sono sufficientemente coraggiosi possono far prevalere il bene sul male.
Le idee di bene e di male, incarnate in un buono e in un cattivo, aiutano i bambini e gli adulti a spiegare tanto come funzionano le relazioni umane quanto come funziona la propria psiche, funzionamenti fondamentali per vivere in società. Molto spesso infatti il cattivo ha un aspetto spaventoso nelle fiabe allontanandoci così da ciò che può essere dannoso per noi e per la nostra comunità. Le storie e la letteratura guadagnano nel testo di Storr una posizione molto importante: vengono innalzate da mero intrattenimento e divertimento a cui troppo spesso sono relegate a importanti elementi dalle funzioni socio-culturali capaci di garantire la stabilità delle comunità umane, e di conseguenza la loro sopravvivenza.
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