Schizofrenia lenta: quando la psichiatria ha fine politico
Il termine fu coniato dallo psichiatra Andrei Snezhnevsky, che la introdusse nel sistema sociale dell'Unione Sovietica a partire dagli anni '60.
La schizofrenia lenta o schizofrenia lenta progressiva era una categoria diagnostica utilizzata in Unione Sovietica e in alcuni paesi dell’Europa orientale per indicare una particolare forma di schizofrenia. I sintomi associati a questa psicosi potevano spaziare dall’ansia all’ipocondria, fino a includere manifestazioni secondarie come lo scarso adattamento sociale, il disprezzo per l’autorità o un marcato pessimismo nei confronti dell’avvenire. In generale la schizofrenia lenta progressiva poteva presentarsi con sintomi così sfumati e interpretabili, al punto da rendere la diagnosi una scelta soggettiva, basata su un’interpretazione vaga. La diagnosi di schizofrenia lenta progressiva rappresenta uno dei casi più eclatanti di abuso politico della psichiatria. Il suo fautore fu lo psichiatra Andrei Snezhnevsky, che la introdusse con successo nel sistema sociale dell’Unione Sovietica a partire dagli anni ‘60. Snezhnevsky fu una figura di spicco nel mondo accademico sovietico, direttore dell’Istituto di Psichiatria dell’Accademia sovietica delle scienze mediche dal 1962 al 1987, anno della sua morte.
Psichiatria punitiva
L’uso improprio della psichiatria ha il fine di ostacolare i diritti umani di alcuni gruppi sociali o di particolari individui. La psichiatria è così usata in maniera punitiva, e permette di eseguire una diagnosi su persone che non necessitano di un trattamento psichiatrico. Alla diagnosi, in genere, seguono la detenzione e l’emarginazione sociale, accompagnate in molti casi da una terapia. In Unione Sovietica, la diagnosi di schizofrenia lenta progressiva è servita ad allontanare e rinchiudere i dissidenti politici. L’uso politico della psichiatria aveva già una certa fama nei primi decenni del ‘900: i dissidenti erano spesso confinati in particolari strutture chiamate Psikhushka, un termine diminutivo/vezzeggiativo di “ospedale psichiatrico”.
È a partire dal secondo dopoguerra, però, che l’impiego punitivo della psichiatria raggiunse una base teorica fondativa. Negli anni ’60, Andrei Snezhnevsky aveva consolidato una posizione accademica incontestabile. Fu in quel periodo che Snezhnevsky e colleghi svilupparono una nuova classificazione dei disturbi mentali, postulando una serie originale di criteri diagnostici. Fra questi, introdussero il concetto di schizofrenia lenta (tradotta anche come “pigra”, “indolente”, “latente”, “a lenta progressione”), che permetteva di diagnosticare la schizofrenia anche in totale assenza di segni e sintomi di psicosi. Il concetto di schizofrenia lenta/latente e progressiva era già parte di un percorso di studio sulle forme tenui di malattia psicotica, avviato negli anni ‘20 e ‘30 in Unione Sovietica. Snezhnevsky reinterpretò questo concetto, per renderlo funzionale al fine repressivo.
La diagnosi della colpa
Il modello sovietico di diagnosi individuava tra tipi principali di schizofrenia, classificati in base a particolari differenze che si possono osservare lungo il decorso della malattia. Secondo questa idea, vi è la schizofrenia di tipo continuo, che può procedere in modo rapido o lento; la schizofrenia periodica o ricorrente, definita da un attacco isolato a cui segue una remissione; e, infine, la schizofrenia in forma mista, caratterizzata da crisi isolate e periodiche. Ad arricchire e definire queste tre grandi categorie di schizofrenia, c’erano vari sottogruppi intermedi. La teoria di Snezhnevsky e colleghi, una volta applicata, comportò che i confini della malattia si facessero così sfumati da far sì che una qualsiasi deviazione o cambiamento dall’agire “standard” potessero essere indicativi di un disturbo mentale. A seconda del caso, una persona avrebbe potuto soffrire di un tipo ”maligno” di schizofrenia continua, in cui avviene un deterioramento mentale molto rapido, oppure, all’opposto, di un tipo di schizofrenia molto lieve, che Snezhnevsky definì vyalotekushchaya: pigra, lenta. In base ai criteri dettati dall’Istituto di psichiatria, questa forma di schizofrenia poteva essere diagnosticata come tale sulla base di caratteristiche di comportamento molto comuni e non necessariamente psicotiche: la religiosità, una eccessiva stravaganza, una spiccata (e quindi sospetta) originalità, la difficoltà ad adattarsi in contesti nuovi, la formulazione di idee eterodosse, un minimo cambiamento di personalità.
L’eredità dell’iperdiagnosi
Si stima che, negli anni, migliaia di dissidenti siano stati ricoverati in apposite strutture sanitarie con una diagnosi di schizofrenia a progresso lento. Ancora oggi è impossibile stabilire con precisione il numero di vittime di questo uso politico della psichiatria. L’International Association on the Political Use of Psychiatry (IAPUP), ha catalogato le cartelle cliniche di circa 1000 persone che ne “soffrivano”. Una commissione d’inchiesta, che ha studiato i documenti di soli cinque ospedali psichiatrici russi dopo la dissoluzione dell’URSS, ha individuato almeno 2000 schede di diagnosi di schizofrenia latente. L’idea di schizofrenia a progresso lento superò ben presto i confini dell’Unione Sovietica e si diffuse in altri paesi dell’Europa orientale. In Romania, l’uso politico della psichiatria fu sistematico e coinvolse centinaia di persone. Prima di ogni celebrazione di regime, secondo un’inchiesta pubblicata su Current Psychology nel 1993, le persone non gradite – i “malati” di schizofrenia lenta – venivano prelevati, trattenuti negli ospedali psichiatrici e, infine, rilasciati a festeggiamenti terminati.
Il mondo della psichiatria occidentale notò con stupore i dati sull’alta incidenza della schizofrenia nella popolazione dell’Unione Sovietica e scoprì così l’esistenza della diagnosi di schizofrenia lenta progressiva. Nel 1971, al quinto congresso della World Psychiatric Association a Città del Messico, gli psichiatri occidentali mossero le prime critiche alle idee e ai metodi dei colleghi sovietici. Anno dopo anno, revisione dopo revisione e testimonianza dopo testimonianza, emerse tutta la gravità della situazione. Nel 1977 la WPA condannò le pratiche degli psichiatri dell’Unione Sovietica. Sei anni dopo, la Società Sovietica di Neuropatologi e Psichiatri si ritirò dalla WPA, anticipando una prevedibile e vergognosa espulsione. Le informazioni e i dati su queste pratiche furono impossibili da ottenere fino ai primi anni ‘90 e ancora oggi si perdono nei labirinti della complicità e della connivenza con il passato nazionale.
Con la morte di Snezhnevsky nel 1987 e gli sconvolgimenti storici degli anni successivi, la diagnosi di schizofrenia “politica” sembrò destinata a scomparire. Tuttavia, i retaggi di questo metodo di diagnosi e l’idea stessa di schizofrenia lenta persistono ancora oggi. Nel 2010, Yuri Savenko, presidente dell’Associazione Psichiatrica Indipendente della Russia, ha riportato che Anatoly Smulevich, psichiatra e autore delle monografie Problema Paranoyi e Maloprogredientnaya Shizofreniya (1987), che aveva contribuito all’iperdiagnosi della schizofrenia pigra, ricopre ancora un ruolo autorevole nella direzione dei programmi medico psichiatrici nazionali. È grazie a lui che in Russia i terapeuti hanno iniziato a fare un ampio uso di antidepressivi e antipsicotici, spesso senza che ce ne fosse necessità, e in dosi inappropriate. Smulevich non ha mai rinnegato apertamente i dettami diagnostici e l’operato di Andrei Snezhnevsky.
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