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Servono più aree marine protette per tutelare gli oceani

Aumentare il numero di Aree Marine Protette è necessario per tutelare mari e oceani. Eppure, oggi solo il 7% degli oceani è stato designato (o proposto) come AMP.

Gli oceani occupano circa il 70% della superficie terrestre e sono un ecosistema che pullula di vita. Nascosto ai nostri occhi, sotto la superficie del mare si cela un mondo incredibile che ospita infinite specie diverse tra loro, regolato da molteplici e sottili relazioni. Oltre a essere essenziali per l’equilibrio della Terra, gli oceani costituiscono una grande risorsa naturale per noi: dalla pesca al sale, passando per la produzione di energie rinnovabili e non dimenticando che i fondali sono una delle maggiori fonti di carbonio organico. Plancton, alghe e resti di piccoli animali marini immagazzinano infatti durante il proprio ciclo vitale modeste quantità di anidride carbonica, e alla fine del loro ciclo di vita si sedimentano sui fondali marini.

Questi sedimenti vanno in parte a formare le riserve di carbonio organico presenti negli oceani, che possono trasformarsi in petrolio nel giro di milioni di anni se lasciate indisturbate. In caso contrario, tale riserva rilascia notevoli quantità di anidride carbonica: questa è una delle cause dell’acidificazione degli oceani, che ha gravi conseguenze sulla biodiversità, già molto provata dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dalla pesca eccessiva.

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Nature, una soluzione per la salvaguardia della salute degli ecosistemi marini è “semplice” quanto complessa da ottenere: istituire più Aree Marine Protette (AMP), aree geograficamente definite nelle quali tutte le attività estrattive e di pesca sono limitate o proibite.

Uno sguardo a lungo termine

Sembra evidente che non possiamo più ignorare la necessità di salvaguardare l’incredibile risorsa rappresentata dagli oceani, è un dato di fatto. Non si tratta di cessare di colpo tutte le attività commerciali, ma di scendere a compromessi e di aprirsi alla cooperazione internazionale. Gli autori dello studio su Nature hanno utilizzato i dati in loro possesso rispetto alla biodiversità marina, alla pescosità degli oceani e alle riserve di carbonio organico; attraverso un modello matematico hanno indagato quanto influirebbe su tali fattori aumentare le Aree Marine Protette.

I risultati? Salvaguardare il 71% degli oceani potrebbe produrre il 91% dei benefici rispetto alla biodiversità e il 48% rispetto alle riserve di carbonio, senza modificare la quantità attuale di pesce: le aree di cattura diminuirebbero, ma a questo problema si dovrebbe ovviare mediante la redistribuzione tra Stati del pescato. Ipotizzando invece di proteggere solo il 28% dell’oceano, si avrebbero i massimi risultati rispetto alla pescosità assicurando comunque il 35% dei benefici per la biodiversità e il 27% dei benefici per le riserve di carbonio.

Per ottenere questi risultati serve però una cooperazione internazionale orientata verso obiettivi comuni. Inoltre, gli Stati dovrebbero adottare uno sguardo sul lungo periodo. In caso contrario i ricercatori scrivono che “nel peggiore degli scenari, stimiamo che tutto ciò che non verrà protetto andrà perduto”.

Gli interessi in gioco

Attualmente, il 15% della superficie terrestre è classificato come protetto e solo il 7% circa degli oceani è stato designato o proposto come tale. Di questa percentuale, solo il 2,6% degli oceani è a tutti gli effetti un’AMP. Sebbene questi numeri siano migliorati negli anni, sono in ritardo sulla pianificazione: un precedente obiettivo globale era salvaguardare il 17% della superficie terrestre e il 10% degli oceani entro il 2020. Per capire il motivo di questo ritardo, prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: circa un quarto delle acque nazionali sono protette grazie al presidente Obama, il quale durante il suo mandato ha aumentato di ben quattro volte la superficie idrica posta sotto salvaguardia.

Tale politica ha subito una battuta d’arresto sotto l’amministrazione Trump, per il quale l’ambiente è stato un tema secondario rispetto agli interessi economici delle industrie del mercato ittico. Già pochi mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Trump aveva infatti iniziato a riesaminare alcuni territori sotto protezione, di fatto riaprendo alla pesca commerciale moltissime aree che erano state classificate da Obama come AMP. Gli interessi in gioco non riguardano ovviamente solo la pesca: gas e petrolio sono un’immensa fonte di guadagno per le aziende che hanno accesso ai siti di estrazione.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by NASA on Unsplash

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Francesca Zavino
Laureata in filosofia, ho fatto il mio ingresso nel mondo della scienza grazie al Master in Comunicazione Scientifica alla Sissa di Trieste. Quello che più mi interessa è avere uno sguardo aperto, critico e attento sull'attualità e sul mondo scientifico, grazie ai mezzi che la filosofia mi ha fornito durante gli anni