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“Breve storia delle pseudoscienze”, di Marco Ciardi

Un repertorio di pseudoscienze del passato aiuta a capire la comunicazione della scienza di oggi. Perché le fake news non sono nate con i social.

Nell’aprile del 1925 Marie Curie fa un viaggio nella sua Varsavia. In quell’occasione si imbatte in una degli sportivi più famosi dell’epoca, il pugile William Harrison “Jack” Dempsey, che aveva vinto il mondiale dei pesi massimi nel 1919. Bisogna immaginarlo come una vera star, accolto dai fan che lo vogliono vedere. Nel raccontare l’episodio alla figlia, in una lettera, la scienziata due volte Nobel scrive: “Alla stazione di Berlino, sulla banchina, c’era una folla che correva e gridava per acclamare il pugile Dempsey che scendeva dal mio stesso treno. Lui sembrava contento. Chissà se in fondo c’è una gran differenza fra l’acclamare Dempsey e l’acclamare me? Mi sembra che il fatto stesso di acclamare qualcuno in questo modo abbia in sé qualcosa di sconveniente, qualunque sia l’oggetto della manifestazione”. Vi si legge un po’ della modestia di Curie, ma anche una riflessione più profonda sul ruolo pubblico dello scienziato, che doveva portare avanti un discorso di cultura scientifica “senza cadere nell’esibizionismo” ed evitando ogni forma di “vanità”.

Spettacolarizzazione della scienza, fake news e pseudoscienze

L’episodio è raccontato da Marco Ciardi, ordinario di Storia della Scienza all’Università di Firenze, nel suo ultimo libro Breve storia delle pseudoscienze (Hoepli) in un capitolo dedicato al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Ciardi si affretta a sottolineare come lo stare lontani dalla vanità sia cosa che “oggi non sempre riesce a tutti”. È uno dei momenti più espliciti in cui fa capolino uno dei fili rossi che percorre tutto il volumetto: la consapevolezza, dettata dall’esplorazione della storia della scienza, che la spettacolarizzazione delle scienze, il suo trasformarsi in materiale da salotto e da audience non sia una novità arrivata con i social o con la televisione. “Ci sono alcuni problemi legati alla comunicazione della scienza”, racconta lo storico al telefono, “che esistono da ben prima che arrivino i mezzi di comunicazione di massa”. Vale per lo scienziato-vanesio, ma vale anche per le fake news e le pseudoscienze.

Torna così estremamente utile leggere questa breve storia. Non tanto perché sia indispensabile conoscere le teorie alla base della teosofia di Madame Blavatsky o il ruolo che hanno avuto nella seconda metà dell’Ottocento i romanzi di Edward Bulwer-Lytton per la diffusione del mito del mondo perduto o della terra cava. Quanto perché permette di rendersi conto della complessità di relazioni, contesti, collegamenti che caratterizza l’emergere di qualsiasi teoria, scientifica o meno, e di quanto qualsiasi frutto dell’ingegno umano non sia slegato dal panorama culturale in cui nasce. “Conoscere la storia delle teorie, scientifiche e pseudoscientifiche”, spiega Ciardi, “è di fondamentale importanza per comprendere i meccanismi delle imprese umane: non è che la produzione, per esempio, di un vaccino per il Covid-19 avvenga in un contesto completamente separato dal resto della società”. 

La scienza nella società

La scienza non avviene al di fuori della società, ma anzi ne è inevitabilmente influenzata e condizionata. Rimane però l’ancora, la pietra angolare del metodo scientifico, che dovrebbe essere il faro che illumina cosa sia sensato e cosa non lo sia, per usare un linguaggio novecentesco indebitato con Ludwig Wittgenstein. Il problema è quando mancano delle basi comuni su cui costruire un dialogo. “Anche durante questa pandemia abbiamo sentito dire da alcuni politici che ‘la scienza deve dare delle risposte certe’: ma questo non è quello che fa la scienza”, argomento Ciardi. “La scienza è il regno del dubbio, dell’incerto, che però non vengono spiegati in maniera adeguata fin dalla scuola”. C’è una tendenza di stampo positivista a vedere la scienza come un susseguirsi di successi uno in fila all’altro, tralasciando, a volte cancellando dalla storia che si racconta, i tentativi falliti, le strade sbagliate, i vicoli ciechi.

Come il repertorio di pseudoscienze messo insieme da Marco Ciardi nel suo ultimo libro: leggere queste storie aiuta a restituire tridimensionalità alla Storia della Scienza. “Quello che manca”, conclude Ciardi nella chiacchiera telefonica, “è uno spazio e un tempo sufficienti alla problematizzazione, che è una pratica di dialogo e discussione che non funziona né in televisione, né tantomeno sui social”. Una pratica, quasi socratica, che trova una delle sue dimensioni ideali nella lezione (a scuola o all’università), soprattutto in un periodo abbastanza lungo da costruire percorsi più approfonditi di conoscenza. Il problema, oltre al tempo e agli spazi, è che per problematizzare i temi scientifici “ci deve essere anche una base di strumenti per poterlo fare”. Una cultura comune, che è poi il sogno emerso alla nascita della scienza moderna con Galilei e con l’Illuminismo: la scienza come base comune che permetta di costruire una vera cultura europea. Ce n’è più che mai bisogno di fronte alla crisi sanitaria che stiamo vivendo e che non finirà con questa campagna di vaccinazione.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it