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Cani, fin da cuccioli pronti a comunicare con noi

Un recente studio mostra come, fin da piccoli, i cani riescano a interagire bene con la nostra specie, cercando lo sguardo umano e seguendo le nostre indicazioni: ciò suggerisce che si tratti di abilità innate, con una base genetica

Molte volte abbiamo citato le abilità canine nell’interagire con noi. Ma queste abilità sono presenti nel cane fin da cucciolo oppure si sviluppano con il tempo? Rispondere a questa domanda implica anche capire quanto sia appreso dall’esperienza e quanto invece insito nella genetica del cane. Ed è proprio quanto ha indagato un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi e pubblicato su Current Biology, mostrando che già i cuccioli sono molto abili a comprenderci.

Fin da piccoli?

Dalla ricerca dello sguardo alla sincronizzazione di movimenti e stress, alla capacità di seguire le nostre indicazioni, siano date con un’occhiata oppure attraverso il pointing, ossia indicando qualcosa con il dito: le abilità canine nel comprenderci e nel cooperare con noi, interpretando e rispondendo ai nostri segnali, sono vastissime e oggetto di ampi studi dedicati a comprenderne le caratteristiche. Quanto dipendano dalla genetica, però, non è del tutto chiaro. Infatti, la base ereditaria delle abilità socio-cognitive canine è già stata indirettamente osservata in alcuni studi basati sul confronto tra i cani e i lupi, o tra le diverse razze; mancano però, al momento, prove dirette.

Per iniziare ad approfondire il tema, gli autori del nuovo studio si sono concentrati sui cuccioli: l’ipotesi, scrivono, è che se le competenze che permettono la cooperazione con gli umani hanno una base biologica, allora dovrebbero emergere chiaramente fin dalla giovane età, senza bisogno di molta socializzazione e periodi di apprendimento.

I ricercatori hanno quindi studiato un vasto numero di cuccioli di retriever, oltre 370, di circa otto settimane d’età. La possibilità di lavorare con così tanti cuccioli, ciascuno con un pedigree noto e lo stesso tipo di esperienze, dipendeva dal fatto che il gruppo di ricerca lavora da molti anni con la Canine Companions, la più vasta organizzazione statunitense che fornisce cani di servizio per persone con disabilità.

Test e cuccioli

I cuccioli sono stati analizzati attraverso una serie di test sociali e cognitivi messi a punto proprio per consentire una valutazione prima che vi sia stata molta esperienza di socializzazione con l’umano. Tra gli elementi analizzati vi erano le risposte spontanee alla comunicazione gestuale, l’attenzione per i volti umani e l’interazione e l’approccio con lo sperimentatore. Per esempio, uno dei test consisteva nell’osservare se il cucciolo era in grado trovare un boccone nascosto, scegliendo tra due contenitori, seguendo lo sguardo o l’indicazione con il dito fornita dallo sperimentatore (qui è disponibile un video del test); in questo caso, per evitare che il cane si basasse su indizi olfattivi, i ricercatori hanno anche condotto un test parallelo in cui lo sperimentatore non forniva alcuna indicazione, né visiva né gestuale.

Oppure, per valutare quando il cane fosse interessato all’interazione, uno sperimentatore iniziava a parlare tenendosi a una certa distanza; quindi si avvicinava al cucciolo e, se anch’egli gli si avvicinava, i ricercatori monitoravano il tempo in cui si teneva in prossimità e quanto guardasse il volto della persona che parlava. Infine, un terzo test prevedeva di analizzare quanto il cucciolo cercasse lo sguardo dell’umano se posto di fronte a un impossible task, un test molto utilizzato nel quale al cane è presentato un coperchio impossibile da sollevare.

Quindi, e grazie al fatto che conoscevano i legami di parentela tra i cuccioli, i ricercatori hanno condotto un’analisi statistica per valutare la potenziale base genetica dei diversi tratti analizzati.

Pronti a comunicare

I risultati hanno mostrato che oltre il 40 per cento della variabilità nell’abilità di un cucciolo di seguire le indicazioni gestuali umane può essere attribuita a fattori genetici; risultati simili sono stati ottenuti per quanto riguarda la ricerca dello sguardo quando lo sperimentatore parla. Un elemento interessante da notare è che, però, i buoni risultati in termini di comunicazione che il cucciolo mostra si osservano solo quando lo sperimentatore gli si rivolge con un tono di voce acuto, in sostanza quello che spesso tendiamo ad assumere quando parliamo ai bambini piccoli. Infatti, per quanto riguarda i risultati dell’impossible task (nel quale il cucciolo non risponde a un segnale, ma è lui stesso a iniziare l’interazione) i ricercatori hanno mostrato che, pur guardando lo sperimentatore, i cuccioli cercano meno lo sguardo rispetto a quanto fanno negli altri compiti. Questo, scrivono, suggerisce che i cani molto giovani (come i bambini piccoli) riescano bene a comprendere i segnali sociali e a rispondervi, ma che il comportamento comunicativo si sviluppi solo più tardi.

«Abbiamo mostrato che i cuccioli ricambiano lo sguardo dell’essere umano e riescono a usare le informazioni che questi gli fornisce in un contesto sociale fin dalla giovane età e prima di aver avuto molta esperienza con la nostra specie», commenta in un comunicato Emily Bray, ricercatrice all’Università dell’Arizona e prima autrice dello studio. «Per esempio, anche prima che i cuccioli abbiano lasciato il resto della cucciolata per vivere a tu per tu con i loro allevatori (volontari), la maggior parte di loro è in grado di trovare il cibo nascosto seguendo l’indicazione data con il dito. Tutti questi dati suggeriscono che i cani siano biologicamente preparati per comunicare con gli umani».

«Fin da piccoli, i cani mostrano abilità sociali, simili a quelle umane, che hanno una forte componente genetica e, quindi, che possono andare incontro a una selezione», continua la ricercatrice. «I nostri risultati potrebbero quindi indicare un pezzo importante della storia della domesticazione: infatti, nelle popolazioni di lupi da cui sono originati i cani potrebbero essere stati selezionati quegli individui con una maggior propensione a comunicare con noi».

Il lavoro non si è concentrato sui meccanismi che possono sottostare a queste abilità; tuttavia, i ricercatori intendono ora approfondire gli aspetti genetici che vi contribuiscono, e sperano anche di capire l’influenza dell’ambiente sul loro sviluppo.


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Immagine: Pixabay

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.