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I pedoni si scontrano tra loro? Claudio Feliciani racconta il suo studio che ha vinto l’IgNobel

In occasione della Notte Europea dei ricercatori del prossimo 24 settembre, questa settimana racconteremo alcune storie particolari, di scienza, di ricercatrici e di ricercatori.

Anche quest’anno, come nel 2020, niente Sanders Theatre della Harvard University per gli IgNobel. L’annuncio dei vincitori per le scoperte scientifiche più particolari, non convenzionali e sorprendenti non è però tardato ad arrivare. Con un mese di anticipo rispetto al calendario abituale a comunicare i vincitori è stato, come al solito, il deus ex machina del premio Marc Abrahams, editor della rivista Annals of Improbable Research che fin dalla sua nascita, nel 1991, sponsorizza l’iniziativa.

Quale palcoscenico migliore per un premio che vuole fare sorridere e riflettere, se non la Maratona online di Sharper Night 2021? Il 24 settembre alle ore 21.00, in diretta streaming dalla Sala dei Notari di Perugia, Abrahams dialogherà con i vincitori italiani di quest’anno: Alessandro Corbetta, Roberto Benzi e Federico Toschi dell’università di Eindhoven e Claudio Feliciani dell’università di Tokyo.

Proprio Claudio Feliciani per Oggiscienza ha raccontato la propria ricerca e la sua esperienza in Giappone.

Per i Nobel l’annuncio arriva qualche minuto prima della conferenza stampa, con gli IgNobel come funziona?

Un ex vincitore giapponese dell’IgNobel ci ha contattati per chiederci se ce la saremmo presa per un’eventuale candidatura. Ne abbiamo parlato con Hisashi Murakami – coautore dei nostri studi – ma anziché offesi siamo stati contenti e orgogliosi. Poco dopo, Murakami ci ha comunicato che avevamo vinto l’IgNobel per la Cinetica. Probabilmente quando parliamo di questi riconoscimenti molti hanno una percezione sbagliata. Le motivazioni che vengono date da Marc Abrahams possono far sorridere, ma dietro ci sono studi scientifici importanti che vengono pubblicati anche su riviste prestigiose. A mio avviso questo premio serve a far riflettere sul mondo della ricerca e aiuta gli scienziati a non prendersi troppo sul serio.

Perché avete vinto l’IgNobel?

La nostra ricerca fa ridere se messa in contrasto con quella sviluppata dal gruppo di Alessandro Corbetta. Secondo le motivazioni ufficiali abbiamo vinto per aver condotto esperimenti per capire perché i pedoni a volte si scontrano con altri pedoni, mentre Corbetta ha cercato di capire perché i pedoni non si scontrano costantemente con altri pedoni. Questi esperimenti possono sembrare banali, una perdita di tempo e di denaro, ma non è così. Secondo me, Marc Abrahams ha voluto sottolineare il fatto che nella scienza, anche quando si fanno gli stessi esperimenti, si possono avere risultati opposti, perché probabilmente esistono condizioni a contorno che portano su strade diverse. Ma non è questo uno stimolo per approfondire e creare una nuova conoscenza?

Approfondiamo la vostra ricerca. Da dove siete partiti?

Sono un ingegnere nucleare e ho vissuto in Giappone le settimane difficili dell’incidente di Fukushima. Tutto questo mi ha messo in una prospettiva diversa rispetto alla tecnologia. Vedevo davanti a me crearsi una lontananza tra il mondo della ricerca e le persone comuni, che il più delle volte beneficiano della scienza ma altre volte ne pagano le conseguenze, come per l’incidente al reattore. Ho iniziato quindi a interessarmi alle scienze umane, senza dimenticare la mia passione per la fisica e la matematica. In questo cambio di studi mi è venuto in mente che le persone, così come i fluidi, si muovono seguendo delle leggi fisiche ma con in più l’aspetto psicologico da tenere in considerazione. Sono partito osservando i pedoni in corridoio: come si formano le file, per esempio. Dopo, grazie al supporto di Murakami, che veniva dalla ricerca in campo biologico, abbiamo cercato di capire se quello che osservavamo riproduceva qualche schema esistente del mondo animale. E di analogie ne abbiamo trovate molte.

Da lì avete deciso di complicare le cose…

Ogni individuo tende a seguire chi gli sta davanti e, spontaneamente, si formano subito delle file di persone. Noi abbiamo cercato di capire qual è il meccanismo che le fa formare e abbiamo creato delle condizioni che rendessero più difficile questa organizzazione spontanea. Abbiamo fatto sì che alcuni dei pedoni fossero distratti, chiedendo loro di camminare mentre utilizzavano uno smartphone. Con solo tre persone su 54 concentrate su altro, le file si formano molto meno velocemente, specialmente se i distratti sono in testa al gruppo.

Torniamo al raffronto tra la vostra ricerca e quella di Corbetta. All’apparenza due mondi opposti, che però forse, se messi a confronto, ci insegnano a essere pronti a capire la scienza oggi.

Non si può giudicare la scienza in base al titolo di una ricerca. Bisogna leggere i lavori e capire il perché si sia arrivati a conclusioni diverse. Poi, non possiamo considerare uno studio valido solo perché ci viene presentato in maniera complessa e invece ritenere poco credibile un altro, all’apparenza molto semplice.

La stampa giapponese ha dato grande risalto a questo riconoscimento.

Non mi aspettavo tutto questo clamore. In università sono stato accolto tra gli applausi e una nostra foto gigante è stata appesa in istituto. Siamo finiti anche in prima pagina nell’edizione serale di uno dei massimi giornali Giapponesi. È stata vissuta come una medaglia in più alle Olimpiadi, però hanno solo esaltato il risultato senza soffermarsi sulla ricerca e sull’ironia del premio.

Non capita spesso di incontrare un ricercatore italiano in Giappone, come ci sei arrivato?

Ho avuto l’opportunità di andare a lavorare in Giappone per un anno. Quel mondo mi aveva sempre incuriosito. Una volta lì mi sono detto: perché non imparare meglio il giapponese? E sono passati 10 anni. Fare ricerca qui è molto diverso rispetto all’Europa: ci sono molti finanziamenti e gli scienziati vengono lasciati liberi. Tanta libertà ha portato molti ricercatori a trasformarsi in personaggi, con il loro modo eccentrico di vestirsi e di comportarsi. Un’apparenza che ha determinato una diffidenza della popolazione nei confronti degli scienziati.

Di Francesco Aiello e Angela Giorgi


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Immagine: Wikimedia Commons

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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