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Passato presente e futuro delle conferenze del clima

Dal Summit di Rio al vertice di Glasgow, breve storia delle "Conferences of the Parties"

Si è aperta la COP26 di Glasgow, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, in programma dal 31 ottobre al 12 novembre. Organizzata dal Regno Unito in partnership con l’Italia, incontro si preannuncia essere fondamentale per aggiornare gli accordi presi a Parigi 5 anni fa e per tentare di dare una svolta decisiva alla lotta al cambiamento climatico.

Per comprendere meglio il ruolo delle COP, occorre però fare un passo indietro, partendo da quando e perché sono state istituite e come si sono evolute fino ad arrivare all’edizione di quest’anno.

Le origini delle conferenze sul clima, dal Summit di Rio al Protocollo di Kyoto.

La discussione sull’emergenza climatica affonda le sue radici in una serie di conferenze che, a partire dal 1992, hanno riunito i capi di stato di diversi paesi, preoccupati per quello che allora era un problema emergente: il riscaldamento globale. Le delegazioni di 154 nazioni si incontrarono in una prima assemblea a Rio de Janeiro, che si concluse con la stesura della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, meglio conosciuta come United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). 

Obiettivo del “Summit della Terra” di Rio era la riduzione delle emissioni di gas serra per contrastare l’impatto delle azioni umane sul clima terrestre. Entrato in vigore nel 1994 senza alcun vincolo per i paesi, il trattato ha sancito l’inizio di incontri annuali tra le delegazioni di diversi stati nelle cosiddette “Conferences of the Parties”, le conferenze delle parti, da cui l’acronimo COP.

Tra questi incontri annuali, di particolare rilevanza è stata la COP3 di Kyoto del 1997, durante la quale è stato elaborato il meglio conosciuto “Protocollo di Kyoto”, un accordo internazionale che, per la prima volta, proponeva obiettivi legalmente vincolanti per i paesi aderenti in materia di riduzione delle emissioni. Se infatti gli impegni presi a Rio erano stati su base volontaria, a Kyoto i paesi industrializzati (presenti nell’allegato I della UNFCCC), in quanto principali responsabili dell’effetto serra, si impegnarono con azioni giuridicamente vincolanti a ridurre le loro emissioni di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo dal 2008 al 2012. Dopo tese negoziazioni, il trattato entrò ufficialmente in vigore solo nel 2005, in seguito alla ratifica da parte della Russia. Infatti, perché potesse essere approvato, l’accordo doveva essere sottoscritto da almeno 55 paesi responsabili di almeno il 55% delle emissioni complessive di gas serra.

I successivi incontri annuali, prima dell’approvazione del Protocollo di Kyoto, tentarono ulteriormente di delineare politiche che supportassero gli stati nella lotta al riscaldamento globale. Si giunse, tra le altre cose, a un accordo, durante la COP6-BIS di Bonn nel 2000, per i cosiddetti “meccanismi flessibili” ovvero un credito ai paesi industrializzati per progetti che mirassero alla riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo. Inoltre vennero istituite diverse forme di finanziamento ai paesi meno sviluppati per supportarli nell’abbattimento della CO2.

L’accordo di Parigi: la COP21

Arriviamo dunque a una delle più conosciute conferenze per il clima, quella che si è tenuta a Parigi nel dicembre del 2015. Gli oltre 190 stati partecipanti firmarono uno storico accordo nel quale si impegnarono a mantenere l’innalzamento di temperatura entro i 2°C, e preferibilmente entro un 1.5°C, rispetto al periodo preindustriale. I Paesi, inoltre, concordarono che ogni cinque anni, in un’ottica di trasparenza, avrebbero presentato un piano aggiornato che riflettesse la loro massima ambizione possibile in materia di clima. L’Accordo di Parigi è stato il primo accordo giuridicamente vincolante su scala globale per il contrasto al cambiamento climatico. Il trattato è entrato in vigore, raggiungendo la ratifica da parte del 55% degli stati maggiormente responsabili delle emissioni, meno di un anno dopo, il 5 ottobre 2016.

Dopo Parigi

Le politiche climatiche discusse in questa serie di conferenze non sembrano però a oggi essere state efficaci nell’arginare l’emergenza climatica. Secondo l’Emission Gap Report 2021 dell’Unep, l’agenzia per la protezione ambientale dell’ONU, gli accordi presi a Parigi riguardo il contenimento delle emissioni sono già insufficienti per mantenere l’incremento della temperatura entro i 2°C. Infatti, tenendo conto delle azioni di mitigazione in atto e delle politiche nazionali, allo stato attuale, l’aumento di temperatura previsto entro la fine del secolo è di 2.7°C, ben al di sopra dell’ambizioso obiettivo dell’Accordo di Parigi. Per rimanere entro 1.5°C di aumento infatti, le emissioni dovrebbero essere almeno dimezzate nei prossimi otto anni.

Sempre secondo il report, le attuali misure, che comprendono anche molte di quelle che verranno discusse a Glasgow durante la COP26, avranno l’impatto di ridurre le emissioni previste entro il 2030 solo del 7,5%, quando invece sarebbe necessaria una riduzione del 30% per rispettare l’Accordo di Parigi.

La COP 26, le prospettive

Osservando i precedenti dati è chiaro come la COP26 si inserisca in un momento decisivo per tentare di contrastare gli impatti del cambiamento climatico, ormai inevitabili. La conferenza, rimandata di un anno a causa della pandemia, sarà anche il momento in cui i paesi dovranno presentare i piani aggiornati in merito alla riduzione delle proprie emissioni, prendendo atto di non essere riusciti a realizzare quello che si erano prefissati a Parigi. Il vertice di Glasgow però, sarà anche un’occasione per elaborare nuovi obiettivi, sia su scala globale che nazionale, per dare una svolta concreta all’emergenza. 

Tra gli obiettivi che verranno discussi c’è ad esempio il raggiungimento del “net zero emission” entro la fine del secolo, ovvero il momento in cui la CO2  immessa in atmosfera sarà pari a quella rimossa, arrivando a un bilancio “zero netto” del carbonio. Per fare ciò, verrà chiesto agli stati di porsi propositi ambiziosi riguardo alla riduzione delle emissioni da qui al 2030, riducendo ad esempio l’uso del carbone, investendo sulle energie rinnovabili, eliminando la deforestazione e accelerando il passaggio a veicoli elettrici. 

Altro obiettivo di questa COP è la tutela e il ripristino delle comunità e degli habitat naturali, sia quelli già danneggiati dalle conseguenze del cambiamento climatico, sia quelli a rischio per il futuro. Per raggiungere questi scopi occorre però che i paesi industrializzati mobilitino un’ingente quantità di fondi e occorre accelerare la collaborazione tra governi, imprese e la società per raggiungere gli obiettivi il più velocemente possibile. L’esperienza della pandemia ha dimostrato infatti come sia fondamentale trovare un accordo tra le nazioni per risolvere problemi globali. La COP26 potrebbe essere una delle ultime occasioni perché gli stati collaborino per salvaguardare un bene comune, il nostro pianeta.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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