Ecco come un progetto di fisica delle particelle elementari può rivelarsi prezioso per la tutela della biodiversità marina
NOTIZIE – Nella vita non si può mai sapere come vanno a finire le cose e un esperimento di fisica può sfociare nella biologia. Così è successo per NEMO (Neutrino Mediterrean Observatory) un progetto, intorno al quale gravitano circa 100 scienziati dell’INFN e altri istituti di ricerca italiani, che intende studiare i neutrini, particelle elementari piccolissime, sfuggenti e importanti per ricostruire la storia dell’Universo, dal fondo del mare attraverso un grande numero di sensori ottici stesi a 3.500 metri di profondità a largo delle coste della Sicilia. Questi sensori dovrebbero catturare la luce emessa quando un neutrino (raramente) si scontra con una molecola d’acqua.
Come riporta su Nature Nicola Nosengo, giornalista scientifico, la prima fase dell’esperimento ha portato, fra le altre cose, a conseguenze inaspettate: una serie di sensori acustici – il progetto ONDE, Ocean Noise Detection Experiment, che di Nemo è figlio – usati per posizionare i fotosensori sono stati usati anche per ascoltare i neutrini. “Teoricamente, i neutrini ad alta energia dovrebbero produrre anche onde sonore rilevabili,” ha spiegato Giorgio Riccobene, fisico delle particelle dell’INFN, “e dato che il suono nell’acqua viaggia meglio della luce, un recettore acustico dovrebbe moltiplicare le possibilità di catturare il passaggio di un neutrino.”
Riccobene dunque dal 2005 ha iniziato ad ascoltare il mare a grandi profondità (2000 m), solo che invece di catturare i neutrini, ha scoperto una nutrita presenza di capodogli in una zona in cui questi animali non sembravano essere particolarmente diffusi, il Golfo di Catania. È proprio sul fondo di questo tratto di mare che infatti sono disposti i sensori del progetto NEMO e qui Riccobene con l’aiuto di Giovanni Pavan, biologo marino dell’Università di Pavia, ha ascoltato il canto delle balene.
Riccobene ha inizialmente contattato Pavan per una consulenza sul rumore di fondo che avrebbe incontrato a quelle profondità, rumore che avrebbe potuto disturbare il rilevamento dei neutrini. Presto i due però si sono resi conto che nelle oltre 600 ore di registrazione c’era molto di più di quello che si aspettavano, e i ruoli si sono ribaltati, mettendo in primo piano il biologo.
Nelle registrazioni infatti i due scienziati hanno ascoltato una frequenza inusuale dei tipici click prodotti dai capodogli per comunicare. Questi suoni derivano dalla compressione dell’aria nel sistema respiratorio dei cetacei che “probabilmente li usano per stimare la profondità a cui si trovano e per localizzare il cibo, in un modo simile a quello usato dai pipistrelli per esempio,” ha spiegato Pavan.
La regolarità e la frequenza con cui questo tipo di suoni non corrispondevano con lo scarso numero di avvistamenti di esemplari nella zona, facendo sospettare agli scienziati dell’esistenza di una popolazione molto più numerosa del previsto. Fino ad oggi le tecnche per il censimento di questi animali si sono infatti basate sull’avvistamento o sulle registrazioni fatte a bassa profondità, che però non tengono conto dell’abitudine dei cetacei di passare molto tempo a nutrirsi a profondità considerevoli.
I risultati preliminari di queste osservazioni (condotte fra il 2005 e il 2006) hanno spinto organismi come ESONET (European Seas Observatory Network) a finanziare una nuova serie di esperimenti con sensori acustici ad alta profondità, con cui fra le tante cose si cercherà di stabilire se la comunità di capodogli mediterranei è una comunità chiusa o se intrattiene scambi con le popolazioni oceaniche.