I maschi non sono più immuni dai disturbi del comportamento alimentare: dall’ossessione per un corpo perfetto a quella per il cibo sano, passando per anoressia, bulimia e abbuffate compulsive. OggiScienza ne parla con la psichiatra Laura Dalla Ragione.
LA VOCE DELLA BILANCIA – Ragazze scheletriche, ma convinte di essere grasse. Ragazze che si abbuffano di cibo, e poi se ne liberano con il vomito per rimanere magre. Oppure ragazze obese, che mangiano senza freni. Ragazze. O donne. Fino a pochi anni fa, i disturbi del comportamento alimentare erano un patrimonio quasi esclusivamente femminile. Le cose, però, stanno cambiando, e sono sempre di più i maschi che entrano in questo universo patologico: oggi, il rapporto tra uomini e donne che soffrono di disordini alimentari è di uno a quattro. Solo una quindicina di anni fa era di uno a dieci. Ed è anzi possibile che i maschi ammalati siano molti di più di quelli contati nelle statistiche .
“Sono malattie considerate ‘da femmine’ e quindi i maschi hanno maggior difficoltà a venire allo scoperto, per paura di essere considerati effeminati. E il pregiudizio è talmente radicato che spesso anche i medici o i pediatri faticano ad attribuire certi comportamenti maschili a un disturbo alimentare”, afferma la psichiatra Laura Dalla Ragione, che a Todi dirige la prima struttura residenziale pubblica in Italia per la riabilitazione dei disturbi del comportamento alimentare, la residenza Palazzo Francisci.
Talvolta, la diagnosi è complicata dal fatto che gli ammalati sembrano stare benissimo. E’ il caso della bigoressia (dall’inglese big, grande), l’ossessione per un corpo scolpito. Chi ne soffre – adolescenti, ma anche uomini di 30-40 anni – può mostrare un fisico praticamente perfetto: tonico, atletico, muscoloso. Eppure, allo specchio si vede sempre troppo magro, poco prestante. Flaccido. Così corre, nuota o solleva pesi per ore ogni giorno e si affida a una dieta particolare, iperproteica e “condita” con integratori vari, magari anche ormoni steroidei e farmaci anabolizzanti. Ovviamente, squilibrata e pericolosa.
Secondo le stime del Ministero della Salute, in Italia sono circa 300.000 i maschi che soffrono di bigoressia. Il fenomeno riguarda soprattutto gli sportivi, non necessariamente a livello agonistico: i frequentatori di palestre, ma anche chi pratica calcio, nuoto, ciclismo, atletica leggera. “In un soggetto già predisposto sul piano psicologico, l’incontro con un ambiente e magari con un allenatore che insistono molto sul peso, sull’aspetto del corpo, sull’allenamento, può essere devastante”, spiega Dalla Ragione che, insieme alla collega Marta Scoppetta, ai disturbi alimentari maschili ha dedicato il primo libro pubblicato in Italia sull’argomento (Giganti d’argilla, Pensiero scientifico editore).
E se la bigoressia è un disturbo recente e tutto maschile è ormai un dato di fatto che anche i maschi possono ammalarsi di disturbi “classici” (e classicamente femminili) come l’anoressia, la bulimia, il disturbo da abbuffata compulsiva. “Ragazzi e uomini sono sottoposti a un costante pressing sociale e culturale sulle forme del corpo, che devono rispondere a determinati canoni estetici”, chiarisce la psicologa. “Come già quello femminile, anche il corpo maschile è diventato uno scenario su cui accadono cose che hanno una precisa rilevanza sociale. Così, per esempio, compaiono piercing e tatuaggi o si diffonde la moda della depilazione. E si comincia a prestare attenzione al peso”.
Non sempre, tuttavia, l’ossessione riguarda gli eventuali (o addirittura presunti) chili di troppo e l’aspetto corporeo. Nel caso dell’ortoressia, diffusa in ugual misura tra uomini e donne, riguarda piuttosto il cibo in quanto tale, che deve essere sano e incontaminato. “Spesso si comincia aderendo a una dieta vegeteriana o vegana, o con una particolare attenzione per i cibi biologici, ma poi si vira verso l’ossessione. In gioco c’è il terrore che il cibo possa far mal, per cui si pretende di avere un controllo assoluto su ciò che si mangia, restringendo via via la varietà di cibi assunti”, racconta Dalla Ragione. “C’è chi, per esempio, accetta solo verdure appena colte o chi si concede una fetta di pane solo se conosce la provenienza della farina con cui è fatto”. Va da sé che un disturbo così è fortemente invalidante sul piano sociale: diventa impossibile mangiar fuori con gli amici o i colleghi, anche perché si tenta di continuo di convincerli di quanto siano pessime le loro (normali) abitudini alimentari.
Ma perché, oggi, tutta questa ossessione per il cibo, nelle sue varie forme? “Intanto perché, almeno nel mondo occidentale il cibo c’è, e c’è in abbondanza. Poi perché c’è un dilagare di mode e di stili di vita che hanno a che fare con l’alimentazione. Ovviamente, non ci si ammala e non si muore di un disturbo del comportamento alimentare solo perché c’è una dieta di moda, ma perché ci sono un disagio, un dolore molto profondi. Disagio e dolore che, in questo momento storico, trovano conveniente esprimersi proprio attraverso il canale del corpo e quindi del cibo”, chiarisce Dalla Ragione.
Oltre che una responsabilità nella diffusione, però, modelli sociali e culturali possono avere una responsabilità anche nella prevenzione. “Purché si riesca a fare una corretta informazione in merito”, precisa la psicologa. Prendiamo la bigoressia: chi lavora con i ragazzi in ambito sportivo deve sapere che una certa percentuale di loro può andare incontro al problema e deve essere in grado di gestire la situazione. Oggi, invece, molti non sanno neppure di che cosa si tratta.