A Trieste dovrebbe sorgere un rigassificatore, che sta raccogliendo malumori e interessi locali. Ora però Legambiente propone un’ipotesi alternativa
AMBIENTE – Parlare in modo oggettivo di politiche energetiche (ma non solo) in Italia è molto difficile: non importano le cifre, le tempistiche, i dati, i rischi o le opportunità di un progetto; qualsiasi posizione è bollata come ideologica, e su qualsiasi realizzazione gravitano dubbi e sospetti. Al di là del merito, spesso ciò accade perché i decisori decidono senza un reale confronto con la popolazione e gli oppositori si oppongono senza reali proposte. Tuttavia almeno per quanto riguarda la seconda parte dello scenario, nel caso del progetto del rigassificatore di Trieste la cosa forse è un po’ diversa, perché Legambiente, una delle associazioni ambientaliste contrarie all’impianto, ha individuato un’alternativa alle proposte sinora avanzate. Si tratta di una nave che effettuerebbe l’operazione di vaporizzazione del gas naturale liquido al largo, a circa una quindicina di chilometri dalla costa, collegata a terra da tubazioni.
Facciamo però qualche passo indietro: l’Italia si approvvigiona di gas naturale soprattutto dalla Russia attraverso i gasdotti, un’operazione suscettibile di ricatti politici ed economici. Questo è una delle principali motivazioni ufficiali che ha spinto il Governo italiano, negli ultimi due mandati, a puntare su impianti collocati nel territorio nazionale che consentano un approvvigionamento alternativo, i rigassificatori, appunto. Uno dei siti individuati per la costruzione di un impianto del genere, che permetterebbe di trasformare il gas naturale dallo stato liquido a quello aeriforme, si trova in provincia di Trieste; inizialmente le proposte erano due, una off-shore e una in-shore, ma allo stato attuale sembra si stia portando avanti solo quella riguardante l’impianto a terra, proposto dalla società spagnola Gas Natural. Si tratta di un terminale di ricezione e rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL), la cui vita operativa è stimata intorno ai cinquant’anni; sono previste inoltre le infrastrutture necessarie all’attracco delle navi metaniere e allo scarico del GNL, i serbatoi di stoccaggio e la rete di tubazioni per il trasporto via terra del gas. Tutto questo dovrebbe sorgere in uno spazio di circa nove ettari in un’ex area industriale in località Zaule.
Non mancano però le proteste, non solo da parte delle associazioni ambientaliste, partiti e movimenti politici, ma anche dei due comuni limitrofi di Muggia e San Dorligo, oltre che dai sindacati dei Vigili del Fuoco. Tre i motivi principali di dissenso: l’insufficiente informazione alla popolazione, il rischio antropico dovuto alla vicinanza di Zaule con la periferia di Trieste e con gli altri abitati della provincia, e l’inquinamento, che sarebbe causato soprattutto dall’immissione di cloro e dal raffreddamento delle acque. Quest’ultimo fattore aveva provocato, inoltre, forti malumori da parte della vicina Slovenia, che però ora sembrano risolti. Durante un recente incontro tra i Ministri dell’ambiente italiano e sloveno, è stata annunciata la costruzione accanto al rigassificatore di una centrale elettrica da quattrocento megawatt che utilizzerà i derivati freddi del processo per produrre elettricità, che così non saranno scaricati in mare.
Ma ritorniamo alla soluzione alternativa individuata da Legambiente: la nave della società statunitense Excelerate Energy, con una capacità di centocinquantamila metri cubi di GNL rimarrebbe al largo ed effettuerebbe l’operazione di rigassificazione al suo interno, collegata a una boa sommersa a sua volta connessa con il sistema di tubazioni a terra. Stando ai proponenti, il raffreddamento dell’ecosistema marino sarebbe limitato, dato che la nave potrebbe utilizzare come vettore termico un sistema misto di acqua di mare e un circuito chiuso. A parte il gasdotto che porterebbe il gas a riva e il sistema di boe sommerse, non servirebbe alcuna infrastruttura: niente piattaforme al largo o serbatoi di stoccaggio. “In generale non c’è una politica accorta per quanto riguarda la sicurezza, sia a livello antropico che ambientale”, ha commentato Adriano Bevilacqua, rappresentante della UIL Vigili del Fuoco, che ha più volte criticato l’impianto di Gas Natural, ma l’alternativa della nave gasiera sembra raccogliere anche il suo consenso. Anche in questo caso, però, non mancano le criticità, non ultima la lunghezza dei tempi per lo scarico degli enormi volumi di GNL a terra, che varia da quattro a sei giorni. “C’è un innegabile vantaggio economico, tuttavia”, precisa Lino Santoro, coordinatore provinciale di Legambiente. “Mentre il costo di un rigassificatore fisso può arrivare fino a un miliardo di euro, questa soluzione costerebbe solo centottanta milioni di euro, più quaranta milioni per il sistema di boe e del gasdotto di collegamento”. Legambiente è in contatto con la società texana, e ha già proposto la soluzione ai rappresentanti della Provincia di Trieste, che però l’hanno giudicata troppo sperimentale. “È un impianto sicuramente innovativo, ma è già realtà negli Stati Uniti, in Inghilterra e Germania”, ribatte Santoro, ricordando che non è ancora troppo tardi per il cambio di rotta… nonostante i notevoli interessi economici mossi da Gas Natural, che ha pure annunciato l’insediamento della sede italiana proprio a Trieste.