SALUTE – Non sempre i microbi ce l’hanno con noi: uno studio (per ora condotto sui topi) suggerisce che a volte siamo solo “danni collaterali” di una pesante lotta tutta microscopica.
“Questo naso è troppo piccolo per tutti e due: te ne devi andare”. Con un po’ di retorica da vecchio film western possiamo immaginarcelo così il batterio Haemophilus influenzae mentre minaccia il collega Streptococcus pneumoniae: entrambi classici colonizzatori delle vie aeree di molti mammiferi, uomini e topi compresi. I due si fronteggiano, si studiano, combattono per rimanere ancorati al loro pezzetto di rivestimento interno del naso. E come in ogni battaglia che si rispetti, può darsi che a rimanere a terra sia qualcuno che non c’entra niente, per esempio l’essere umano che li ospita. Come dire: non sempre i batteri ce l’hanno con noi. A volte siamo solo “danni collaterali” di una furiosa lotta tra microbi .
A raccontare questa affascinante battaglia dagli esiti potenzialmente fatali è un articolo appena pubblicato su Current Biology da un gruppo di ricercatori dell’Università di Philadelphia. Per la verità, Elena Lysenko e colleghi si sono concentrati sui topi (sia con esperimenti in vivo sia con l’elaborazione di modelli matematici), ma questo è uno dei casi in cui è davvero ragionevole pensare che la stessa cosa accada anche nella nostra specie.
La questione biologica di partenza era questa: che cosa trasforma un batterio relativamente tranquillo come S. pneumoniae, che vive in moltissimi esseri umani senza dare alcun segno di sé, in un patogeno temibile, capace di provocare polmoniti, meningiti e sepsi anche letali? Vantaggi, per lui, sembrano non essercene, perché queste malattie non sono contagiose, non lo aiutano a diffondersi, Anzi, con la morte dell’ospite, finisce con il soccombere anche lui.
In effetti, la domanda non ha niente a che vedere con l’ospite, mentre c’entra molto con il “collega” H. influenzae, altro personaggio che si trova assai bene nel tessuto di rivestimento delle vie aeree. E che non tollera vicini. Così, una volta insediato, esso cerca di convincere il sistema immunitario dell’ospite a liberarsi di S. pneumoniae. Molti streptococchi soccombono all’attacco, ma alcuni resistono. Sono quelli dotati di un rivestimento particolarmente spesso e resistente, una sorta di armatura che li protegge, ma li rende anche più disponibile a lasciare le vie aree per raggiungere il circolo sanguigno e diffondersi nell’organismo. E che, soprattutto, li rende più aggressivi. In una parola, patogeni. Così, per difendersi da un attacco, S. pneumoniae si trasforma a sua volta in un potenziale killer.
Lo studio di Lysenko e collaboratori mostra ancora una volta la delicatezza e la complessità dell’equilibrio esistente tra i tanti batteri che vivono nel nostro organismo: un’interazione che dovrebbe essere tenuta in maggior considerazione quando si usano antibiotici e vaccini o se ne progettano di nuovi.