E’ l’anno della Tigre per i cinesi e della biodiversità per tutti, a novembre si terrà in Russia il summit mondiale della tigre, presieduto da primo ministro Vladimir Putin. I tentativi di salvarla sono quasi tutti falliti. Che fare?
IL CORRIERE DELLA SERRA – Nel 1910 l’Impero britannico aveva spedito in India i suoi zoologi a censire le tigri, e ne avevano contate 40.000 circa. Un secolo dopo ne restano meno di 1.400. Nel 2008 Robert Zoellick, il presidente della Banca Mondiale, ha chiesto ai 13 paesi che ancora ne hanno qualcuna, ai paesi donatori, alle organizzazioni per la protezione dell’ambiente e per la conservazione delle specie di studiare rimedi prima del vertice, e una volta riuniti, di decidere misure per evitare “l’impensabile”: la scomparsa definitiva delle ultime popolazioni in libertà.
Su Plos Biology, esce la proposta di 21 responsabili di altrettanti progetti di ricerca e di conservazione sotto un titolo che allude a Sherlock Holmes: “Bringing Tigers Back from the Brink: the Six Percent Solution“. Gli autori sintetizzano in alcune tabelle i dati più recenti. Nelle riserve, il divieto di caccia non è applicato, il contrabbando prosegue senza intralci. In Cina, Vietnam, Cambogia e Corea del Nord, non c’è traccia di animali in età riproduttiva. Il loro territorio s’è ridotto al 6% di quello di fine Ottocento e se non fosse per l’India , che può vantare il successo di alcune riserve, la percentuale sarebbe molto più bassa.
La soluzione, scrivono gli specialisti, è di far confluire le risorse nei 42 siti dove si concentra il 70% dei sopravvissuti, e abbandonare gli altri. I soldi non ci sono nemmeno per fare questo, servono tra i 600 e i 700 dollari a ettaro, ma forse si riusciranno a trovare. Comunque sarebbe soltanto un inizio:
Per una specie mobile su grandi distanze e a bassa densità come la tigre, occorre anche pianificare la conservazione del paesaggio che deve restare permeabile ai suoi spostamenti, il che richiede limiti stringenti alla conversione dell’habitat e allo sviluppo di infrastrutture. Inoltre va preso di mira il commercio illegale: se la domanda globale per i prodotti derivati dalle tigri continua come ora, proteggere le riserve costerà troppo. Occorrono quindi misure concertate, orchestrate e politicamente coraggiose da parte dei governi, e il sostegno del grande pubblico e della comunità internazionale per decenni.
Non sono pessimista (o non sarei del WWF!), ma non mi faccio illusioni. Ricordo che la prima operazione mondiale Save the Tiger è partita nel 1972 con le stesse buone intenzioni. A quelle di signori come questo o questo credo poco. L’articolo però potrebbe essere utili a tutti quelli che in migliaia di Ong locali e internazionali collaborano per salvare specie grandi e piccole.