Buone nuove: l’effetto placebo funziona anche senza inganno. Questo taglia la testa al toro a tutte le obiezioni etiche sull’uso di questo effetto in terapia medica
NOTIZIE – Ecco, un risultato come questo, se confermato e generalizzato a tutta una serie di situazioni terapeutiche, potrebbe essere maledettamente utile: si legge sull’ultima edizione di PLoS One che l’effetto placebo funziona anche se i pazienti non vengono ingannati. L’effetto placebo avviene quando un paziente ha una remissione dei sintomi dopo la somministrazione di un trattamento fasullo – per esempio gli si presenta come farmaco un pillola che in realtà è soltanto una caramella. È un effetto psicologico di cui ormai si iniziano a conoscere abbastanza le basi biologiche, mediate, pare, da circuiti nervosi.
La metodologia sperimentale usata e i dati non lasciano spazio a grandi dubbi o interpretazioni: Ted Kaptchuk e colleghi del Centro Osher, della Harvard Medical School, hanno diviso 80 pazienti (che soffrivano della sindrome del colon irritabile) in due gruppi. Uno non riceveva alcun trattamento, agli altri invece veniva somministrata una pillola di placebo (cioè una caramellina). La novità dello studio è che si trattava di un placebo con l’etichetta “sincera”: veniva cioè apertamente spiegato ai pazienti che la pillola non avrebbe avuto alcun effetto, che si trattava sostanzialmente di una caramella che “non dovevano credere” che avrebbe funzionato. L’etichetta del flacone in cui erano contenute le pillole inoltre, portava la chiara dicitura “placebo”.
Ebbene, nonostante questo, coloro che avevano assunto il placebo riportavano una remissione dei sintomi significativamente maggiore di coloro che non avevano ricevuto alcun trattamento.
Non è il primo studio che va in questa direzione. Già tempo fa avevamo parlato di un’ampia rassegna sui più importanti lavori sull’effetto placebo che dimostrava che a provocarlo basta anche solo il setting “medico” in cui avviene la somministrazione. Questo tipo di studi aprono una via promettente per il trattamento di disturbi lievi e la cui origine può essere almeno parzialmente riconducibile a cause psicologiche, e anche per l’ausilio nella terapia di disturbi meno lievi, allo scopo di ridurre il dosaggio di farmaci con controindicazioni pesanti. Qualche anno fa, per esempio, alcuni scienziati avevano valutato la possibilità di usare l’effetto placebo in ausilio ai farmaci cortisonici (i cui effetti avversi sono molto pesanti per l’organismo) nel trattamento della psoriasi, con risultati confortanti.
È una strada promettente, ma è chiaro che più di qualcuno ha sollevato questioni etiche. La domanda in soldoni è “il fine giustifica i mezzi?”, ovvero “è giusto mentire a un paziente, anche se potrebbe essere per il suo bene?”. Certo che no. Non si può fare. Ecco perché si è visto fiorire questo filone di ricerche che cerca di capire se il placebo funziona anche senza mentire.
C’era da essere scettici, e invece sembra proprio che questa sia una via percorribile.
PS: A me però il sospetto che potesse funzionare m’era già venuto nel sentire più di qualcuno dire: “i farmaci omeopatici? Giuro che non ci credo, eppure funzionano!”